Fausto Nicolini disse, quando nel 1932 uscì questa raccolta di novelle, che
«Erano anni che non compariva a Napoli una raccolta così notevole di novelle artistiche. Ora che le rileggo non posso non ripensare a Mattinate Napoletane e a Rosa Bellavita di Salvatore di Giacomo: novelle diversissime, per natura e stile, da queste del Geremicca, ma a cui, tuttavia, queste del Geremicca si ricongiungono idealmente».
Tra le cose che colpiscono maggiormente in questa raccolta di novelle è l’estrema cura con la quale scrive l’autore. Lontano da affettature di toscanismo, così di moda all’epoca e così ridicole specialmente negli autori dell’Italia meridionale; privo dell’esibizione di un ricco vocabolario che a una prima occhiata sembra meravigliosa, ma è solo un facile espediente; distanza abissale dal periodare a singhiozzo o a “pistolettate”. Geremicca mira invece alla adeguatezza del vocabolo, alla precisione della frase, alla disposizione armoniosa del periodo. La sua scrittura sembra sgorgata di getto, ma certo ha richiesto un attento lavoro per riuscire a non cadere mai, da un lato, nella sciatteria e dall’altro nell’artificiosa leccatura e abbellimento.
Geremicca è abilissimo a presentare a lettrici e lettori il cuore umano che sogna e che si tormenta, la passione d’amore che si abbatte su anime buone per le quali non possiamo non provare una partecipe pietà. E la struggente malinconia pervade la descrizione degli scivoloni ai quali si è condotti dalla voluttà di un breve vivere, spezzato spesso da improvvisa morte. Quell’eterno cuore umano è ancora al mondo, oggi come al momento nel quale Geremicca scrisse queste undici novelle, la prima delle quali dà il titolo alla raccolta.
Mentre abbiamo tra le più commoventi Antonietta e Scarpine di seta, troviamo poi in altre tre o quattro l’anelito verso un amore sognato, sperato, creduto, ma non raggiunto e perduto per sempre. Sorge, questo amore, timido e casto ma non per questo meno rigoglioso anche nell’animo del fanciullo; si propone come l’ideale più alto, ma la realtà della vita lo tronca d’un tratto brutalmente lasciandone il ricordo che è però rassegnato e sereno se pure indelebile come solo momento di vera felicità, il solo frangente che consente di poter dire a posteriori che valeva la pena vivere. Questo è il significato di L’orologio col carillon, Una sera d’autunno e, più d’ogni altra Biemme, che per la sua struttura ha quasi l’andamento di un romanzo breve. Ma non del “romanzesco”, inteso come complicato, cerebrale, misterioso, impreveduto. In Bianca Maria Finamore, la protagonista di Biemme, possiamo ritrovare, senza essere per questo esagerati o irriverenti, la determinazione realistica di fatti e circostanze, brani di vita, di una Eugénie Grandet di Balzac.
Sinossi a cura di Paolo Alberti
Dall’incipit della prima novella Amore mattutino:
Nel piccolo paese natio, Giorgio si preparava da solo, con la guida del padre medico, agli esami liceali che sarebbe andato a fare in città. Per disporre di più tempo e dar maggiore raccoglimento allo studio, decise d’alzarsi assai presto, ogni mattina, quando ancora tutti in casa dormivano. E come già aveva preso e manteneva da più giorni quest’abitudine, Adelaide, la vecchia serva che non si liberava mai dalla tosse, lo pregò di volere aprir lui al capraio, cosicché ella potesse restarsene a letto un po’ più a lungo. Le capre salivan proprio fin dinanzi alla porta, a cui l’uomo batteva con una mano: poi mungeva il latte sul pianerottolo, sotto gli occhi di Giorgio.
— Sta’ attento che riempia il bicchiere fin qui: l’altra volta era mancante – aveva detto Adelaide – Abbi giudizio anche in questo, come l’hai nello studio. —
Ora, una mattina, là, sul pianerottolo, non gli apparve il capraio, ma una ragazza con uno scialletto sulle spalle e in mano un ramo al quale era rimasta attaccata qualche foglia. Tutt’e due si guardarono meravigliati: ella aveva un visino grazioso sotto dei bruni capelli crespi, le folte sopracciglia che si congiungevano, due occhi tranquilli e una vaga rassomiglianza con le sue caprette; ma già, avvolto nello scialle, il palpito del seno. Come Giorgio le porse il bicchiere, si chinò a mungere, quasi in ginocchio, dopo aver deposto a terra il ramo; e faceva tutto con più lentezza, più attenta cura dell’uomo, senza mai levare il viso. Il crespo dei suoi capelli, la frangia dello scialletto, insieme con la lana delle capre e il loro belato, davano a Giorgio un piacevole senso di tepore, come se riscaldassero, su quel pianerottolo sfinestrato, il mattino invernale.
Scarica gratis: Amore mattutino di Achille Geremicca.