Tra le opere di Cardile che spaziano dalla poesia simbolista a qualche passo con il futurismo, dalla ricerca cabalistica all’attenzione per le tematiche alchemiche e iniziatiche, troviamo a un certo punto questa raccolta di brevi novelle, delicate e gradevoli. Fu pubblicata a Catania nel 1934 durante il periodo del soggiorno etneo dell’autore, nello stesso anno nel quale vide le stampe anche il saggio La filosofia della Tradizione e l’opera di P. Vulliaud. Forse però queste novelle non sono così tanto fuori strada rispetto al percorso culturale dell’autore, che certamente ha voluto raccontare anche qualcosa di sé stesso. La guerra, per esempio, che certamente tanto incise sulla sua formazione, vista attraverso lo sguardo di chi indossa la divisa ma si confronta con il mondo circostante, di chi aspetta, di chi si prodiga per alleggerire le sofferenze. E le tematiche del simbolismo le ritroviamo presenti attraverso la capacità di penetrare la natura delle cose e di suggerire emozioni piuttosto che di descrivere la realtà. Per cui abbiamo l’incontro con il dio Pan e l’improbabile tentativo di incatenarlo; e assistiamo impotenti al tentativo patetico di due anziani umbri in miseria di vendere a Roma il loro unico tesoro: un quadro di san Giovanni. Lo scrittore, in più di un frangente, in queste poche pagine, tradisce i suoi interessi. Attraverso uno sguardo alla sua terra, la Sicilia, non manca di parlare di trasmutazione alchemica, ancorché metaforica.

E se il simbolismo in genere considera la scienza strumento poco adatto a sondare i comportamenti umani, Cardile tuttavia riesce a mediare efficacemente la sua propensione per la conoscenza iniziatica e il suo interesse per la scienza, quando questa sembra percepire le vibrazioni che possano mettere in relazione la materia con lo spirito. Non a caso il Cardile si interessò giornalisticamente all’opera di un neuroscienziato “atipico” come Giuseppe Calligaris e le sue “catene lineari del corpo e dello spirito” che mettono in collegamento il “reticolo cutaneo” con le “energie” dell’universo. E come dimenticare l’entusiasmo dello scrittore per gli esperimenti che portarono la prima volta alla disgregazione atomica, espresso nella poesia La Scienza, pubblicata in un’antologia del 1941 e che mi piace riportare qui:

Finalmente! Nel laboratorio
di Cavendish
i fisici Cockroft e Walton
son riusciti a disintegrare
l’Atomo:
Nuclei d’idrogeno
protoni
particelle alfa…
Sogno degli alchimisti.
– Non vi pare ben chiaro codesto? –
Con un altro miliardo di protoni
opereremo tutto il resto.
La Scienza ogni dì progredisce.
È aperto, quasi, il gran cuore
dell’Universo,
si sente vibrare da presso
la celeste armonia…
(Scienza?… Chi sa! Poesia…)
– Un attimo solo d’amore –
la febbre che ci corrode
il nostro tremendo lavorio
che ci sospinge verso plaghe ignote
non ci avvicina di un protone
a DIO.

E questa trasmutazione attendono i coniugi russi a Taormina per curare la tubercolosi, raggiungono forse plaghe ignote, ma non certo Dio… e forse l’attende anche Prisciantella, nella novella che dà il titolo alla raccolta e la chiude, la giovane donna “cascata quaggiù dal settentrione” dove le donne sono “più leggère”. Ma la sua “trasmutazione” sarà tragica. Nel suo complesso quindi riesce ad esprimere in questi brevi racconti la propria vivacità intellettuale consolidando il proprio posto tra le avanguardie letterarie del primo novecento.

Sinossi a cura di Paolo Alberti

Dall’incipit della prima novella Miss Cavera:

Stemperiamo un po’ di sentimento in una misurata dose di patriotismo fuor di moda. E ciò, non mai per ottenere degli effetti eroici (il nostro tempo ha per caratteristica la posa eroica dell’«antieroismo»), ma per la determinazione precisa di un puro atto di civico riconoscimento.
Dobbiamo, inesorabilmente, ricordare la Guerra.
E occorre, quindi, fare i conti con qualcuno prima di affrontare la situazione. Questo qualcuno è il lettore. Il lettore è qualche volta (come nel caso in ispecie) degno di tutti i riguardi.
Ora, il lettore ha fondato motivo di mettersi in sospetto e in allarme, se gli si annuncia che la dissertazione, il ricordo, l’episodio, il racconto – quello che vi pare e piace – si riferisce alla Guerra.
Perchè il lettore è stanco di queste cose. E ha ragione.
I «postumi» letterarî della guerra, sono, senza dubbio, più perniciosi dei postumi economici. Ed hanno, senza dubbio, anche le loro vittime.
Ogni uomo che «ha fatto» la guerra, ha creduto, al ritorno, improvvisarsi «storico» della guerra; per lo meno, storico della «propria guerra». Ne sorgono conseguenze spaventose. Soltanto quattro o cinque libri, venti o trenta episodi, si salvano dalle inevitabili quarantene.

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