Luigi Angiolini, nato a Seravezza (Lucca) nel 1750 in una rispettabile famiglia del luogo, fece in Versilia i primi studi, che completò a Pisa e perfezionò poi all’università di Padova.
A Pisa fu ammesso nel salotto di Lucrezia Monti Quarantotto, venendo a contatto con il fiore dell’intellettualità toscana e cercando di ottenervi un interessamento per potersi onorevolmente impiegare alla corte del granduca Leopoldo I. Non ci riuscì soprattutto per le sue idee politiche considerate eccessivamente liberali, e nel 1781 si diede allora a viaggiare per un triennio nel Veneto e in Lombardia: tra l’altro, a Padova fece amicizia con il medico Giovanni della Bona e col Cesarotti; a Venezia non mancò di frequentare la casa di Anna Morosini Vidman, con la quale avrebbe in seguito intrattenuto una duratura corrispondenza; a Milano conobbe il Parini nella cerchia della marchesa Paola Castiglioni-Litta.
Dopo una breve sosta a Pisa, nel 1783 partì per Napoli, nella speranza (presto frustrata dalla gelosia di Lord Acton), di ricevere dalla corte della regina Carolina quell’impiego che gli era mancato in Toscana. La delusione non lo distolse dal dedicarsi per qualche tempo a scrivere saggi sul commercio, l’industria e l’economia, e dall’entrare in amicizia con la sorella di Filippo Pananti, Bettina, con la quale intrattenne un carteggio epistolare fino alla morte.
Finalmente nell’autunno del 1787 gli riuscì di imbarcarsi per l’Inghilterra al seguito di una missione diplomatica napoletana, giungendovi dopo aver visitato la Spagna e il Portogallo.
Questo viaggio, che l’Angiolini decise di completare con una prolungata permanenza in Scozia, si protrasse dalla fine del 1787 agli ultimi giorni del luglio successivo, quando, rientrato attraverso l’Olanda e il Belgio, ebbe modo di stabilirsi a Parigi fino al principio del 1789, prima di tornare in Toscana e di diventare assiduo del cenacolo fiorentino della contessa d’Albany, dove fece la conoscenza dell’Alfieri.
Tuttavia solo nel 1794 poté soddisfare le sue reiterate e fin allora frustrate aspirazioni: in quell’anno, infatti, fu lo stesso granduca Ferdinando III a nominarlo incaricato d’affari della Toscana presso il Vaticano, ufficio che mantenne fino al 1798, sgradito alla corte pontificia per le manifeste simpatie verso il protestantesimo inglese, ma specialmente inviso al potente cardinale Braschi, da lui giudicato principale responsabile di un indirizzo di governo troppo conservatore e inadeguato ai nuovi mutamenti politici.
Al sorgere dei tumulti antifrancesi, nel 1797 si adoperò efficacemente per comporre la pesante crisi diplomatica fra la Santa Sede e la Francia, e per essersi prodigato a favore dei sudditi di questa nazione, si guadagnò la stima e la riconoscenza ufficiale del Direttorio.
Divenuto ben accetto ai francesi (nei cui confronti aveva nel frattempo ammorbidito l’impressione negativa che gli aveva lasciato il primo soggiorno parigino), anche per queste benemerenze nel 1798 Ferdinando III lo inviò ministro di Toscana a Parigi, dove l’Angiolini si mise a difendere la causa di Pio VI, ormai malato, e con le sue bene ascoltate intercessioni contribuì a rendergli meno amari gli ultimi momenti dell’esilio e della vita. In seguito, quando il granduca venne espulso dalla Toscana, sfruttando la personale amicizia con Talleyrand poté evitargli di essere trasferito come ostaggio a Parigi.
Nel 1801 fu a Vienna, chiamatovi dallo stesso Ferdinando III, che dopo il trattato di Lunéville aveva avuto in risarcimento l’arcivescovato di Salisburgo assieme a un modesto territorio contiguo, e gli conferì l’incarico, infine coronato da successo, di ottenere condizioni a lui più favorevoli assieme al ripristino del titolo granducale.
Rimasto fedele al granduca, sotto Napoleone l’Angiolini continuò a rappresentarlo ufficiosamente presso il governo francese, ma per il resto si tenne prudentemente appartato dagli affari politici, senza tuttavia tirarsi indietro quando, per desiderio e sollecitazione del Bonaparte, nel 1803 si vollero combinare le nozze di sua sorella Paolina con il principe Camillo Borghese.
Agli anni napoleonici risale pure il suo matrimonio, avvenuto per procura con una donna versiliese, che poi egli chiamò e trattenne per qualche tempo a Parigi, allo scopo recondito di accreditare come figlia legittima una bambina lì avuta da una giovane amante e da lui riconosciuta, perché non si sapesse di quel legame una volta rientrato in Toscana.
Tornò definitivamente in Versilia nel 1809, in seguito alla morte del fratello, per la necessità di provvedere agli affari di famiglia. Non si mosse più dal paese natale.
Già nel 1806 aveva rifiutato di ricoprire elevati incarichi diplomatici offertigli dal Regno di Napoli, giustificandosi per l’età ormai avanzata.
Nominato presidente dell’assemblea elettorale di Seravezza, per un po’ accarezzò la lusinga di diventare senatore dell’Impero, ma la mancata affermazione lo indusse a ritirarsi nella sua villa di campagna, e negli ultimi dodici anni rimastigli da vivere si divise fra l’agricoltura, l’allevamento del bestiame e le sedute dell’Accademia dei Georgofili di Firenze, ormai al di fuori dei giochi diplomatici ed estraneo all’attività politica.
Morì settantunenne il 14 luglio 1821.
L’Angiolini ha lasciato una importante testimonianza nella letteratura italiana di viaggio con le Lettere sopra l’Inghilterra, la Scozia e l’Olanda, pubblicate anonime in due volumi a Firenze nel 1790. L’epistolario, indirizzato a un destinatario altrettanto anonimo, avrebbe dovuto contenere anche le lettere dall’Olanda (sulla base delle annotazioni di viaggio raccolte al rientro dall’Inghilterra), che però non videro mai la luce. Esperto conoscitore della politica, dell’amministrazione e dell’economia dell’Inghilterra, oltre che della sua lingua e della sua cultura, più che insistere sugli aspetti di vita e di costume degli inglesi, l’autore preferì appuntarsi sui loro risvolti comportamentali e caratteriali nel contesto di un discorso complessivo che trova un filo conduttore ben identificabile: l’apprezzamento di una concezione tutta anglosassone del valore della libertà e dell’educazione individuale in un paese che, da illuminista moderato, egli riteneva giunto al punto più alto della sua maturità, e di conseguenza esposto ai rischi implosivi insiti nelle società civili pervenute al massimo grado del benessere collettivo.
Il valore letterario e insieme documentario delle Lettere ha modo di emergere al meglio nella descrizione del paesaggio scozzese, delineato con tratti pittoreschi e con un sentimento partecipativo al quale non erano estranee la recente acquisizione dei Canti di Ossian nel patrimonio culturale europeo e la fresca curiosità verso un mondo che rimaneva ancora in larga misura incognito, e che le Lettere dell’Angiolini contribuirono opportunamente a dischiudere anche al pubblico colto italiano.
Bibliografia
Nei repertori della letteratura italiana difficilmente si incontrerà il nome dell’Angiolini, di fatto estraneo al mondo dei letterati di professione. Della scarsa bibliografia più a portata di mano, si ricorda il profilo di E. Bonora, Letterati, memorialisti e viaggiatori del Settecento, Milano-Napoli 1951, pp. 1059-1067, poi ripreso e ampliato dallo stesso nel Dizionario Biografico degli Italiani, 3, Roma 1961, pp. 292-294, che è servito per la stesura di queste note. Per la sua attività diplomatica (ma con diverse puntualizzazioni di interesse biografico) un inquadramento tuttora valido ha dato G. Ferretti, Bonaparte e il granduca di Toscana dopo Lunéville, Genova-Roma-Napoli 1947. La più recente e completa edizione delle Lettere è quella curata da M. e A Stäuble, con il titolo Lettere sopra l’Inghilterra e la Scozia (Modena 1990).
Note biografiche a cura di Giovanni Mennella.
Elenco opere (click sul titolo per il download gratuito)
- Lettere sopra l'Inghilterra Scozia e Olanda
Apparse anonime nel 1790, le Lettere furono scritte durante un soggiorno che Luigi Angiolini, protagonista di spicco della politica estera toscana nell’età napoleonica, trascorse in Inghilterra e in Scozia fra il 1787 e il 1788.