Sono poche le informazioni che si hanno su Paolo Angelo (o Angeli, nella dicitura moderna del cognome), del quale solo negli ultimi anni è stata perfezionata l’identità autoriale, restando però ancora ignota la data di nascita.

Sappiamo che era uno dei cinque o forse sei figli di Pietro, nel 1478 espatriati a Venezia da Drivasto (oggi Drishti) durante la grande diaspora migratoria degli abitanti dell’Albania, caduta in mano turca nel medesimo anno. Gli Angelo erano inseriti nel patriziato della loro città natale, e nell’albero genealogico annoveravano l’omonimo zio paterno di Paolo, che dopo la morte del papa Pio II (1464) era stato una pedina di punta nella politica veneta nei Balcani come vescovo di Durazzo; tuttavia, dopo aver terminato gli studi a Padova, dove la famiglia si era trasferita, ed essere designato protonotario apostolico (carica peraltro affatto onorifica), sul piano esistenziale nella nuova patria egli poté contare solamente sul modesto appannaggio di dieci ducati annui che gli derivava da un beneficio sulla chiesa parrocchiale di S. Giovanni Battista a Briana, nel Trevigiano; nel 1513 ne divenne titolare e, su dispensa papale, alla cura dei fedeli riuscì ad alternare gli studi di natura teologica e la frequentazione di biblioteche e archivi nel Veneto e a Roma. Rimangono di lui alcuni scritti di contenuto profetico e antiereticale, ai quali di recente si è aggiunto il libello intitolato Commentario de le cose de Turchi et del S. Georgio Scanderbeg, la cui paternità gli è stata assegnata con prove inoppugnabili.

Se all’apparenza sfugge il movente che lo avrebbe indotto a occuparsi di un tema così distante dai suoi interessi in materia religiosa, va nondimeno ricordato che, arrivati in Italia, con tenace perseveranza gli Angelo non tardarono ad adoperarsi nel ricostruire la propria immagine nobiliare, e a ricomporre nella terra della Serenissima quel blasone che in Albania la dominazione turca aveva irrimediabilmente infranto: un ripristino che essi man mano amplificarono sia con la rivendicazione di privilegi, diritti e antenati che in realtà non avevano mai avuto, sia con ben concertate falsificazioni miranti ad accreditarsi discendenze da maggiorenti in Tessaglia, nell’Epiro e perfino da lontane radici bizantine. Su questo indirizzo sembra allinearsi il volumetto, che apparve anonimo nel 1539 e assecondava il vezzo (non inconsueto nella produzione libraria del tempo e soprattutto riconoscibile nelle opere di Pietro Aretino), di lasciare a chi leggeva il compito e la sorpresa di scoprire il nome dell’autore attraverso un labirinto di allusioni, citazioni e riferimenti sparsi nel contesto del libro. Nella fattispecie il sottile filo rosso è rappresentato dallo zio, che nel Commentario viene rammentato in tutte le occasioni utili a sottolineare la partecipazione patriottica della famiglia alla causa albanese, sfruttando all’uopo gli stretti legami che gli Angelo vantavano con Giorgio Castriota detto Scanderbeg (1405-1468), il celebre condottiero balcanico che nel XV secolo cacciò con successo i turchi dall’Albania, e che nell’ultimo triennio di vita aveva nominato lo zio al rango di suo ambasciatore a Venezia.

Dalla morte di Scanderbeg all’apparizione del Commentario era passato più di mezzo secolo, e tuttavia la sua figura carismatica, presto divenuta mitica anche presso gli stessi nemici, continuava a restare quanto mai viva per l’indiscusso prestigio memoriale del personaggio. Stavano a testimoniarlo i precoci e valorosi trascorsi nelle file dell’esercito ottomano come ostaggio convertito all’Islam; la clamorosa defezione dalle armi turchesche col ritorno alla fede cattolica; la consumata accortezza politica nel destreggiarsi fra giochi di potere infidi e continuamente mutanti; l’audacia tattica e strategica alla testa di truppe galvanizzate dal suo entusiasmo nazionalistico e sempre vittoriose negli scontri ultraventennali contro le soverchianti forze di un avversario ovunque invincibile; e, ancora, le salde qualità morali che ne avevano animato l’azione di governo, additandolo a insperato salvatore della cristianità occidentale.

Le vicende di colui che sarebbe assurto a eroe patrio dell’Albania sono passate in rassegna in 42 agili capitoletti, ed esposte con un taglio biografico incline a una narrazione cronachistica che non manca di indulgere in particolari leggendari e ricorre sovente all’impiego del discorso diretto, concludendosi con un elenco cronologico delle principali conquiste turche dal 1353 al 1529. Il lavoro manca comunque di originalità, essendosi accertato che l’Angelo tradusse in italiano, non senza rimaneggiarla con sostanziosi apporti personali, un’opera scritta in latino da Demetrio Franco, autore del primo libro su Scanderbeg. La formula adottata però non dispiacque, e l’opera ebbe una ristampa nel 1544; nei successivi decenni fu variamente riedita in forma sempre anonima e ulteriormente rielaborata da altri.

Oltre all’orgoglio patriottardo unito a calcolati tornaconti familiari, forse a determinare la scelta dell’argomento non furono nemmeno estranee le discussioni, allora assai vivaci, su come arginare l’inarrestabile espansione di un impero che sul versante occidentale si era riusciti a contenere per un ventennio, ma era ripresa con forte aggressività dopo la morte di Scanderbeg, né aveva risparmiato la stessa Albania. Fra le diverse opinioni non mancava neanche quella che ventilava la possibilità di convertire il sultano al cristianesimo: una soluzione tanto utopistica e irrealizzabile quanto emblematica del terrorizzato disorientamento politico in un’Europa che sembrava aver perso il senso del reale, benché a prospettarla per primo fosse stato il papa Pio II già nel 1461; pure Scanderbeg aveva sostenuto l’idea, e di identico parere sarebbe stato l’Angelo, che pubblicando nella sua biografia due lettere, vere o false che fossero, con cui il Castriota nel 1444 e nel 1463 invitava Maometto II a farsi cristiano, avrebbe pertanto conferito nuova e inopinata linfa a un dibattito nel quale ben gli conveniva introdursi.

Non pare che nell’immediato il disegno di rinnovare l’antico lignaggio avesse garantito all’autore quella promozione élitaria che forse col Commentario egli s’era proposto, ma alla lunga i sistematici e pervicaci maneggi orchestrati prima dalla famiglia e poi dalla discendenza ebbero buon gioco, perché gli Angelo furono infine ammessi nella nobiltà veneta: però non in quella del Maggior Consiglio e solamente nel 1667, ovvero 94 anni dopo la morte di Paolo, avvenuta nel 1573.

Bibliografia:

Il non molto che si conosce su Paolo Angelo è leggibile nelle pagine dedicate al suo casato da P. Petta, Despoti d’Epiro e principi di Macedonia. Esuli albanesi nell’Italia del Rinascimento, Lecce 2000, pp. 207-217, e nel libro di A. Laporta, La Vita di Scanderbeg di Paolo Angelo. Un libro anonimo restituito al suo autore, Galatina 2004, pp. XVIII-XXI, dove lo studioso spiega come sia giunto ad attribuirgli ilCommentario e presenta il testo del 1539 in edizione anastatica; di entrambi i lavori ci siamo avvalsi per delineare queste note, assieme all’articolo di I. Sarro, Discorso di Giorgio Castriota Scanderbeg ai principi albanesi e scambio di lettere con i sultani in un opuscolo vaticano, in “Studia Albanica”, 1 (2018), pp. 223-239, attingibile anche in internet. Su Scanderbeg gli studi sono numerosi e parimenti le biografie, talora non prive di risvolti encomiastici; volendo rimanere su un’informazione generale e più speditiva, si può partire dall’inquadramento fornito dalla ancora valida voce di A. Perrone nell’Enciclopedia Italiana, XXX (1936), pp. 1011-1012, per aggiornarlo e approfondirlo con quella, assai dettagliata, consultabile in Wikipedia.

Note biografiche a cura di Giovanni Mennella

Elenco opere (click sul titolo per il download gratuito)

  • Commentario de le cose de Turchi, et del s. Georgio Scanderbeg, principe di Epyrro
    Con la sua vita, et le uittorie per lui fatte con l'aiuto de l'altissimo Dio, et le inestimabili forze, et virtu di quello, degne di memoria
    Apparso anonimo nel 1539 e solo di recente attribuito ad Angelo, il Commentario è la biografia di Giorgio Castriota detto Scanderbeg (1405-1468), il condottiero balcanico divenuto celebre per aver cacciato i turchi dall’Albania e per aver guidato per oltre un ventennio i propri compatrioti nel respingere con altrettanta fortuna tutti i loro tentativi di riconquistarla.
 
autore:
Paolo Angelo
ordinamento:
Angelo, Paolo
elenco:
A