Nulla si conosce su Tommaso Alberti, e resta incerto anche il luogo della sua nascita, Bologna o Venezia. Di lui esiste solo una relazione che rimase a lungo trascurata fra le carte manoscritte della biblioteca dell’Università di Bologna, finché il filologo Alberto Bacchi della Lega non se ne avvide e la pubblicò col titolo di Viaggio a Costantinopoli (1609-1621) nella “Scelta di curiosità letterarie inedite o rare dal secolo XIII al XIX”, una deliziosa quanto poco nota collana di operine curata da Giosuè Carducci.
La relazione consta di tre parti, di cui le prime due si riferiscono a tre viaggi commerciali da lui compiuti nel 1609, nel 1612, e nel 1614.
Il primo viaggio, effettuato per mare, iniziò a Venezia il 18 maggio del 1609 e si concluse a Costantinopoli il 19 luglio del medesimo anno.
Il 26 novembre 1612 da Costantinopoli prese le mosse il secondo viaggio, che si svolse per via di terra concludendosi a Leopoli in Polonia il 30 gennaio 1613, col ritorno a Costantinopoli il 24 aprile. Arrivato nella capitale turca l’1 giugno, il 21 dello stesso mese l’Alberti principiò una nuova spedizione che lo condusse di nuovo in Polonia, per tornare infine in Italia e sostare a Bologna il 25 ottobre.
Del terzo viaggio c’è solo uno smilzo accenno, che informa come l’attivo e instancabile mercante, partito da Bologna il 20 aprile dell’anno dopo, si imbarcò a Venezia e si diresse ancora a Costantinopoli, dove pervenne il 30 giugno, fermandosi lì per sette anni. Solo il 14 maggio del 1621 avrebbe intrapreso il viaggio di ritorno lungo un itinerario terrestre, giungendo infine a Bologna l’1 agosto.
I resoconti, redatti forse sul momento sotto forma di stringati ma puntuali appunti diaristici del tutto privi di concessioni stilistiche, danno un’idea efficace delle enormi distanze percorse dai mercanti italiani impegnati nei traffici commerciali con l’Europa orientale nella prima metà del XVII secolo, fra i disagi nei carriaggi, in mezzo a una natura spesso ostile e a pericoli incombenti lungo strade malagevoli e malsicure, sempre sorvegliati dall’occhiuto e corrotto Impero ottomano in una geografia di paesi con pochi splendori e molte miserie.
La terza parte della relazione descrive minutamente l’organizzazione della corte e del Serraglio di Costantinopoli, ma non è opera dell’autore, come invece si credeva fino a non molti anni fa: la critica più recente, infatti, ha rivelato che si tratta di una versione desunta quasi alla lettera da un ragguaglio intitolato Il Serraglio del Gransignore, compilato da Ottaviano Bon, ambasciatore della repubblica di Venezia a Costantinopoli, che in forma manoscritta era consultabile nella sede dell’ambasciata giusto nel periodo in cui l’Alberti vi soggiornò per la terza volta. Poiché l’autore non previde di pubblicare il suo resoconto, è molto probabile che la copia non rappresenti il frutto di un meditato plagio, ma sia un apografo trascritto a uso personale e da lui poi unito ad altri documenti adespoti, con i quali nel libro a stampa andò a formare una sorta di non dichiarata appendice.
Bibliografia
Mancando notizie certe su di lui, il nome dell’Alberti non figura nei repertori enciclopedici e nelle storie letterarie. Sul valore dell’opera e per la parte del testo non originale è ora essenziale il contributo di B. Basile, Tommaso Alberti, Ottaviano Bon e il Serraglio del Gransignore, in “Filologia e Critica”, XXVII (2002), pp. 124-134. Altre osservazioni ha fatto Andrea Scardicchio nell’introduzione alla sua edizione del Viaggio per le edizioni digitali del CISVA (2006), che è adesso quella di riferimento. Una breve scelta antologica con un essenziale inquadramento critico è in M. Guglielminetti, Viaggiatori del Seicento, Torino, Utet, 1967, pp. 10-11, 313-325.
Note biografiche a cura di Giovanni Mennella
Elenco opere (click sul titolo per il download gratuito)
- Viaggio a Costantinopoli
1609-1621
Negli asciutti ma puntuali resoconti di due viaggi commerciali effettuati nel 1609 e nel 1612 tenendo Costantinopoli come meta, rivive la dura esperienza delle enormi distanze percorse dai mercanti italiani impegnati nei traffici commerciali con l’Europa orientale nella prima metà del XVII secolo, fra i faticosi disagi delle trasferte nei carriaggi, in mezzo a una natura spesso ostile e a pericoli incombenti lungo strade malagevoli e malsicure, sempre sorvegliati dall’occhiuto e corrotto Impero ottomano in una geografia di paesi con pochi splendori e molte miserie.