Dialogo scritto a Martinsbourg in Alsazia nel gennaio del 1786 per commemorare la morte dell’amico senese Francesco Gori Gandellini, avvenuta il 3 settembre 1784. Largamente rielaborato e corretto negli anni successivi, fu stampato per la prima volta nel 1789 a Kehl (ma con la falsa data 1786, cioè l’anno di composizione). L’autore, Vittorio, dialoga con l’amico scomparso, Francesco, sul tema della memoria e della gloria: Gori, buon conversatore e uomo esemplare, è morto senza lasciar nulla di scritto; è Gloria la sua? Esiste virtù che possa essere sconosciuta?
Nota: il testo di riferimento (BUR, 1996) riporta soltanto accenti gravi, all’uso antico; sono state normalizzate le “e” accentate in acute dove necessario. Il testo di riferimento riporta inoltre “sè” accentato anche se seguito da “stesso”; in quei casi si è trascritto “sé”.
Dall’incipit del libro:
VITTORIO
Qual voce, quale improvvisa e viva voce dal profondo sonno mi appella e mi trae? Ma, che veggio? al fosco e muto ardere della notturna mia lampada un raggiante infuocato chiarore si è aggiunto! Soavissimo odore per tutta la cameretta diffondesi… Son io, son io ben desto, o in dolce sogno rapito?
FRANCESCO
E che? non conosci la voce, l’aspetto non vedi del già dolce tuo amico del cuore, e dell’animo?
VITTORIO
Oh vista! e fia vero? gli attoniti abbagliati miei occhi a gran pena in cotanta tua luce fissarti si attentano… Ma sì, tu sei desso; quella tua voce, che quand’eri mortale, amistade e virtù mi suonava, rispetto or m’infonde, e con dolcezza misto uno ignoto tremore.




