Algernon Blackwood nacque il 14 marzo 1869 a Wood Lodge, Shooter’s Hill, nel Kent. Il padre, Stevenson Arthur Blackwood, aveva preso parte alla guerra di Crimea e successivamente si impiegò come segretario dell’ufficio postale; ebbe il titolo di cavaliere nel 1887. Stevenson era diventato un fervente cristiano evangelico nel 1856 e dedicò molto del suo tempo alla predicazione laica; di conseguenza, il giovane Algernon – la cui famiglia si trasferì più volte nella sua prima infanzia, stabilendosi infine a Shortlands House, Beckenham, Kent – crebbe in una famiglia di estrema severità religiosa, con un’attenzione particolare alla salvezza personale dell’anima e al pesante fardello del peccato.
Questo tipo di educazione per Algernon fu addirittura accentuato nell’anno 1885-86 trascorso nella “disciplina severa e semi-militare” della School of the Moravian Brotherhood nella Foresta Nera in Germania, un periodo che ebbe riflessi in alcuni suoi racconti (ad esempio in uno dei racconti del ciclo di John Silence). Il giovane Algernon provò a sfuggire alla opprimente religiosità del suo ambiente tentando diversi percorsi spirituali. Nel 1886 si imbattè nei Patanjali’s Yoga Aphorisms che gli consentirono di scoprire il Buddismo; successivamente iniziò approfondite letture di testi di spiritismo e teosofia. Ma questo percorso per raggiungere autonomia rispetto all’educazione familiare fu in pratica la base per la sua scoperta della Natura (sempre con la N maiuscola per Blackwood), scoperta che in sostanza ha costituito il nucleo della sua intera visione della vita. In Episodes Before Thirty scrive:
«Di gran lunga l’influenza più forte nella mia vita […] proveniva dalla Natura; si manifestò presto, crescendo di intensità ogni anno. Portando conforto, compagnia, ispirazione, gioia, l’incantesimo della Natura è rimasto per me dominante, un incantesimo davvero magico. Sempre immenso e potente, gli anni l’hanno rafforzato. La prima sensazione che tutto fosse vivo, una vaga sensazione che un qualche tipo di coscienza potesse manifestarsi attraverso ogni forma, che una sorta di comunicazione inarticolata con questa “altra vita” fosse possibile – rimaneva solo da scoprire il modo – tutti questi stati d’animo hanno dato forma e sostanza alla meraviglia iniziale.»
In un certo senso, la Natura compendiò e incorporò tutti gli altri suoi interessi, dall’occultismo allo spiritismo; tutti questi erano solo strumenti per il raggiungimento di una “coscienza estesa o espansa” che avrebbe condotto infine a una sorta di legame mistico con la Natura. In The Centaur – opera fortemente autobiografica, una sorta di testamento spirituale – il narratore così descrive O’Malley (praticamente l’alter ego dell’autore):
«Perché gli umori della Natura scorrevano attraverso di lui – in lui – potentemente evocative come le presenze di persone, e con significati ugualmente vari: il bosco con amore e tenerezza; il mare con riverenza e magia; pianure e vasti orizzonti con la malinconica pace e il silenzio di saggi e vecchi compagni; e montagne con uno splendido terrore dovuto a qualche mancanza di comprensione in se stesso, causata probabilmente da una lontananza spirituale dal loro stato d’animo. Il Cosmo, in una parola, per lui era psichico, e gli umori della Natura erano attività cosmiche trascendentali che inducevano in lui questi singolari stati di esaltazione ed espansione. Ha spalancato le porte della sua vita più profonda. È entrata, si è impadronita, ha immerso il suo io più piccolo nella sua personalità enorme e avvolgente».
L’incanto della Natura non tardò ad prendere il sopravvento nella sua esistenza: brevi viaggi in Svizzera e Canada nel 1887 e un tour a piedi nel nord Italia nel 1889 furono solo una anticipazione parziale di quello che sarebbe accaduto in seguito.
Nel frattempo, l’istruzione formale di Blackwood non procedeva con troppo successo. Trascorse solo un anno all’Università di Edimburgo (1888-89), formalmente studiando agricoltura, ma più interessato alla psicologia e all’occulto. A questo punto della sua vita aveva già iniziato a frequentare sedute spiritiche ed esplorare case infestate in compagnia di un membro della Society for Psychical Research; era stato presentato all’Ordine Ermetico della Golden Dawn, una società occultista che includeva tra i suoi membri un certo numero di importanti scrittori inglesi, tra cui W.B. Yeats e lo scrittore gallese del soprannaturale Arthur Machen; formalmente si unì alla Golden Down solo nel 1900. Nel 1891 divenne anche membro della Società Teosofica. Ma questi gruppi non soddisfacevano le esigenze di Blackwood il cui misticismo naturistico era personale e caratteristico e faticava ad adattarsi alle ristrette vedute dogmatiche delle associazioni.
Nel 1890 Blackwood decise di cercare fortuna in Canada. Poco avvezzo alle formalità di una vita sociale che gli risultava estranea, perse l’opportunità – avendo involontariamente offeso un importante funzionario – di avere un lavoro presso la Canadian Pacific Railway. Alla ricerca di un’altra occupazione avviò un caseificio in società con Alfred Cooper nei pressi di Toronto. Blackwood, le cui capacità imprenditoriali erano nella migliore delle ipotesi rudimentali – a causa sostanzialmente della mancanza di interesse per qualunque aspetto del mondo finanziario – perse rapidamente gran parte delle 2000 sterline che aveva investito nell’attività; la successiva impresa di gestione di un hotel e un bar con un amico britannico, Johann Kay Pauw (che troviamo nelle vesti di “Hohn Kay” nell’autobiografia Episodes Before Thirty), fu altrettanto disastrosa. Si trasferì quindi a New York. Viene subito da pensare che la megalopoli americana avrebbe dovuto essere uno degli ultimi posti per un adoratore della natura come Blackwood; nonostante l’impiego di reporter per il “New York Sun”, l’effetto del suo soggiorno a New York si rivelò psicologicamente devastante. Scrive in Episodes Before Thirty:
«Sembravo ricoperto di punti dolenti e sensibili su cui New York spalmava sale e acido a ogni ora del giorno. Mi feriva, non solo perché mi sentivo infelice, ma proprio per se stessa. Mi colpiva dove voleva. La terribile città, con la sua vita torrenziale e vertiginosa, aveva per me qualcosa di mostruoso. Tutto era esagerato. La sua velocità da capogiro, i suoi tetti tra le nuvole e gli ingolfati canyon sottostanti, i suoi sgargianti viali grondanti oro che correvano quasi a braccetto con strade poco migliori delle fogne del decadimento e della miseria umana, il suo rumore frenetico, sia di voci che di meccanismi, la sua sontuosa carità organizzata e il suo splendore vanaglorioso, e la sua profonda corruzione nella morsa di un Tammany [antica organizzazione di scopo sociale strettamente connessa con il Partito democratico] senza cuore e degradato: era tutto questo che dipingeva l’orrore nella mia immaginazione come di qualcosa di mostruoso, non umano, quasi soprannaturale. Divenne, per me, una crosta sulla pelle del pianeta etc…»
Certamente questa reazione fu acuita da una serie di altri eventi che sembrarono cospirare per rendere i suoi primi giorni a New York ancora più difficili: una dolorosa malattia che lo rese inabile per settimane; l’estrema povertà che lo costringeva a vivere cibandosi prevalentemente di mele essiccate (una abbondante bevuta di acqua permetteva a queste di espandersi nel suo stomaco e quindi alleviavano i suoi morsi della fame); e, cosa più fantasmagorica di tutte, la sua strana relazione con un ladro e canaglia, Arthur Bigge (“Boyde” in Episodes Before Thirty), che lo derubò di quei pochi soldi che aveva e che Blackwood si diede a braccare riuscendo infine a farlo arrestare. Tra gli espedienti ai quali dovette ricorrere per non morire di fame ci fu persino l’attività come modello per l’illustratore Charles Dana Gibson. Tuttavia nell’autunno del 1895 Blackwood aveva raggiunto una posizione più accettabile come reporter del “New York Times”, e all’inizio del 1897 iniziò un periodo di due anni come segretario privato di un ricco banchiere e filantropo, James Speyer. Questa fu probabilmente la fase più piacevole del periodo newyorkese di Blackwood. Una spedizione di caccia alle alci in Canada nel 1898 contribuì certamente a rinnovare e rinsaldare la sua intimità con la natura.
All’inizio del 1899 Blackwood sentì il desiderio di tornare nella sua terra natale, e a marzo si stabilì nuovamente in Inghilterra. Ma la voglia di viaggiare che rimaneva una parte essenziale della sua natura non tardò a manifestarsi: nel 1900 e nel 1901 trascorse gran parte dell’estate in canoa lungo il Danubio, viaggi che alla fine sarebbero stati narrati in uno dei suoi racconti più memorabili, The Willows. Difficile ricostruire i viaggi di Blackwood nel periodo dal 1902 al 1905; pare che sia stato in Francia, che sia tornato nella Foresta Nera e alla Moravian School, e che abbia viaggiato per tutta l’Inghilterra, traendo impressioni e sensazioni che avrebbero ispirato tanta parte della sua narrativa.
Già aveva avuto una qualche esperienza di narratore: la sua prima storia, A Mysterious House, fu pubblicata già nel 1889, e alcuni articoli erano apparsi sul “Methodist Magazine” e sul giornale teosofico “Lucifer” nei primi anni 1890. Blackwood, nel 1905, aveva probabilmente accumulato una consistente mole di racconti, ma senza aver fatto alcuno sforzo particolare per giungere alla pubblicazione. Poi un incontro casuale con un vecchio amico, Angus Hamilton, all’inizio del 1906 lo portò a presentare una raccolta di storie all’editore Eveleigh Nash, che l’accettò prontamente. The Empty House and Other Ghost Stories apparvero alla fine del 1906 e ebbero buona accoglienza di critica e di pubblico. The Listener and Other Stories – raccolta che comprende molti dei racconti più importanti di Blackwood, tra cui il racconto già citato The Willows, Max Hensig e The Woman’s Ghost Story – fu pubblicata nel 1907. Ma fu John Silence-Physician Extraordinary (1908) a lanciare definitivamente Blackwood nel mondo letterario. Grazie a un’abile campagna pubblicitaria, il volume divenne un best-seller e permise a Blackwood la libertà di dedicare i successivi sei anni alla scrittura, senza la necessità di doversi più preoccupare di cercare altrove il proprio reddito.
Decise di stabilirsi in Svizzera e nei cinque anni successivi produsse alcuni dei lavori più notevoli nella storia della narrativa fantastica: le raccolte The Lost Valley and Other Stories (1910), Pan’s Garden (1912) e Incredible Adventures (1914); i romanzi The Human Chord (1910) e The Centaur e le fantasie per bambini Jimbo (1909) e The Education of Uncle Paul (1909). È difficile inquadrare in un “genere” opere così diverse; certamente tutte esplorano la nebulosa terra di confine tra fantasia, stupore, meraviglia e orrore. Blackwood è maestro nell’usare la suggestione per trasformare gli eventi più semplici – o anche le reazioni psicologiche dei suoi personaggi a quegli eventi – caratterizzandoli con una portentosa grandezza, come se fosse coinvolto il tessuto stesso dell’universo. Questo lo troviamo in particolare in The Human Chord, un romanzo con una delle premesse più inusuali di tutta la narrativa fantastica: la possibilità che un “accordo umano” cantato da quattro individui apparentemente ordinari possa in qualche modo riorganizzare tutta la materia nel cosmo.
Successivamente e in conseguenza al suo viaggio in Egitto del 1912, scrisse numerosi racconti tra cui ricordiamo Sand (nel già menzionato Pan’s Garden) e A Descent into Egypt (in Incredible Adventures). La scena culminante di quest’ultimo non è altro in definitiva che la descrizione di tre personaggi seduti in attesa dell’alba, eppure, è uno dei finali più avvincenti che si possano immaginare nel quale vediamo due sfortunate figure letteralmente assorbite dall’incantesimo dell’Egitto:
«Ho visto i loro contorni nitidi e terribili come un orribile inserto contro l’enorme scenario. Sebbene così vicini a me nello spazio reale, erano lontani secoli nel tempo. E intorno a loro c’era un’ombra vasta e fioca che non era la semplice ombra delle sagome. Li comprendeva; si muoveva, strisciando sulla sabbia, cancellandoli. Al suo interno, come insetti perduti nell’ambra, divennero visibilmente imprigionati, diminuirono di grandezza, portati in profondità, assorbiti». [Da Incredible Adventures (New York: Macmillan, 1914).]
Quando la natura non ha la forza intimamente nutriente e diventa malevola e potenzialmente distruttiva allora Blackwood sfiora l’horror puro come nel racconto The Regeneration of Lord Ernie. Ma forse la responsabilità non è della Natura, ma dell’umanità: la civiltà ci ha separato dal mondo naturale, e la nostra alienazione può aver generato nella Natura un’indifferenza che rasenta l’ostilità. Il narratore di The Wendigo diventa consapevole di “quell’altro aspetto del deserto: l’indifferenza alla vita umana, lo spirito spietato di desolazione che non ha preso nota dell’uomo”. E nel racconto “svedese” The Willows troviamo ribaditi gli stessi concetti:
«Ci sono forze qui vicino che potrebbero uccidere un branco di elefanti in un secondo con la stessa facilità con cui tu o io potremmo schiacciare una mosca. La nostra unica possibilità è restare perfettamente immobili. La nostra insignificanza forse può salvarci».
The Centaur, la cui struggente e delicata evocazione della vitalità della Natura lo rende il fulcro del lavoro di Blackwood, è la chiave per la comprensione sia della sua opera che della sua filosofia. Cosa simboleggia il misterioso russo (del quale non sappiamo il nome), che O’Malley incontra su un piroscafo diretto da Marsiglia alle montagne del Caucaso? È un “Essere Cosmico”, così vicino alla Natura che la sua stessa presenza in una civile compagnia di turisti sembra anormale e anche vagamente spaventosa. Conduce O’Malley nel Caucaso – lo stesso Blackwood infatti vi si recò in viaggio nell’estate del 1910 – da quello che sembra essere un branco di centauri; inoltre, non solo il russo, ma lo stesso O’Malley sembrano, momentaneamente, diventare centauri. Per O’Malley è un momento di trasformazione spirituale:
“Il Giardino ora lo racchiudeva. Aveva trovato il cuore della Terra, sua madre. L’autorealizzazione nella perfetta unione con la Natura si è compiuta. Conobbe la Grande Espiazione” [The Centaur (1911; reprint, Harmondsworth, England: Penguin, 1939) pagg 214-15].
Il ricordato viaggio di Blackwood in Egitto all’inizio del 1912 fu fatto in compagnia di Mabel (Maya) Stuart King (la baronessa de Knoop) e di suo marito, e generò non solo le opere già menzionate, ma anche il curioso romanzo The Wave (1916). Non si tratta certo del suo lavoro migliore, ma il suo significato autobiografico lo rende interessante. È dedicato, come diversi altri volumi, a “M. S. K.”, e ci si chiede quale ruolo abbia avuto Maya nella vita di Blackwood. Dato che The Wave racconta di un antico schiavo egiziano che ama la moglie di un generale, e dato che lo stesso Blackwood credeva fermamente nella reincarnazione, le implicazioni autobiografiche del romanzo diventano intriganti. Maya è al centro di molte altre opere in cui si concentra un desiderio nebuloso e mal definito di unione spirituale con un altro essere umano. Forse, per Blackwood, scapolo impenitente per tutta la vita, Maya, sposata e quindi irraggiungibile, era l’oggetto perfetto di adorazione, anche se ci sono prove che Maya abbia ricambiato l’affetto di Blackwood, almeno in parte. Sembra difficile negare che Blackwood, come Poe e Lovecraft, fosse in gran parte asessuale, sublimando tali tendenze nel suo lavoro e nel suo misticismo della natura.
Blackwood trascorse gran parte dei primi due anni successivi allo scoppio della prima guerra mondiale nell’adattare il racconto fantastico per ragazzi A Prisoner in Fairyland (1913) in un musical, The Starlight Express, con musica di Edward Elgar. Tra la sua numerosa produzione per l’infanzia, solo Jimbo, The Education of Uncle Paul e The Fruit Stoners (1934) ebbero un notevole successo. Lui stesso era un geniale “Uncle Paul” per svariati nipoti, nonché per i figli di alcuni dei suoi amici. I bambini, come gli animali, hanno un legame psicologico istintivo con la Natura e questo rendeva immediatamente comprensibile a Blackwood il loro mondo di immaginazione e le loro fantasie.
In un certo senso, la guerra segnò la fine definitiva di una fase – e, forse, la fase più vitale e significativa – della carriera di Blackwood. L’ostilità alla scienza e alla civiltà materiale che Blackwood ha rivelato attraverso O’Malley (“E io detesto, detesto lo spirito di oggi con le sue invenzioni a buon mercato, le sue superfluità assassine e la sordida volgarità, senza un sufficiente vero senso di bellezza; di questo ci rendiamo conto nel vedere che una margherita è più vicina al cielo di un dirigibile” [The Centaur p. 40]) poteva solo venire accentuata dalla guerra, un prodotto di forze distruttive che non potevano che portare tutta l’umanità sempre più lontano dalla Natura. Julius LeVallon (1916), un altro romanzo sulla reincarnazione, risulta confuso e annebbiato, e il suo seguito, The Bright Messenger (1921), lo è ancora di più; la sua caratteristica è un crescente pessimismo:
“Il recente sconvolgimento è stato più che una guerra intertribale. È stato un evento planetario. Ha scosso la nostra natura fondamentalmente, radicalmente. La mente umana è stata scioccata, spezzata, dislocata.” [The Bright Messenger (London: Cassell, 1921), p. 166.]
L’ispirazione di Blackwood sembra a questo punto essersi inaridita. I racconti di Day and Night Stories (1917) sono, nel complesso, superficiali; The Wolves of God and Other Fey Stories (1921) consiste in racconti le cui trame erano in gran parte derivate dalle esperienze condivise di Blackwood con il suo vecchio amico Wilfrid Wilson, che è indicato infatti come coautore; anche Tongues of Fire and Other Sketches (1924) è deludente. Questa è stata la sua ultima raccolta originale di racconti fino a Shocks (1935). Blackwood, nel frattempo, si dedicava in gran parte al dramma. Karma : A Re-incarnation Play, scritto con Violet Pearn, fu pubblicato nel 1918, ma pare che non sia mai stato eseguito. Gli spettacoli successivi – The Crossing (1920; con Bertram Forsyth), Through the Crack (1920; con Violet Pearn), White Magic (1921; con Bertram Forsyth) e Halfway House (1921; con Elaine Ainley) – furono invece messi in scena. Solo The Crossing e Through the Crack ebbero un certo successo. Probabilmente la più importante delle opere di Blackwood degli anni ’20 è il suo toccante resoconto dei primi tre decenni della sua vita, Episodes Before Thirty (1923). I viaggi, sia all’estero che nelle case dei suoi numerosi amici in Inghilterra, resero però gli anni ’20 un periodo di grande soddisfazione per Blackwood.
Fu nella seconda metà di quel decennio che Blackwood tornò a scrivere per bambini. Durante questo periodo fu prodotta una vasta gamma di opere, ma nessuna si distingue particolarmente a parte Dudley e Gilderoy : A Nonsense (1929), una deliziosa favola sulle avventure di un pappagallo e di un gatto che si allontanano dalla loro casa, a bordo di un treno, ed incorrono in divertenti e sorprendenti avventure. Diverse storie in Shocks, nelle quali traspare evidente l’influenza della filosofia mistica di Gurdjieff e del suo discepolo Pyotr Ouspenskii, dimostrano che Blackwood non aveva del tutto esaurito la sua vena nel regno dell’orrore soprannaturale, mentre altri racconti di quel volume, in particolare “Elsewhere and Otherwise” e “The Man Who Lived Backwards”, entrambi ispirati alla concezione seriale del tempo – secondo la quale l’uomo potrebbe distendersi mentalmente attraverso il tempo soprattutto grazie ai sogni – dell’ingegnere inglese J.W. Dunne, che, formulata proprio in quegli anni, stava suscitando interesse e discussioni, potrebbero essere considerati come fantascienza.
Eppure, gli anni ’30 portarono un cambiamento nella carriera letteraria di Blackwood che nessuno avrebbe potuto prevedere: il suo passaggio da autore a personaggio radiofonico. Il suo lavoro per la BBC iniziò nel 1934, adattando le sue storie precedentemente pubblicate o creando racconti originali per le trasmissioni radiofoniche. Ancora più sorprendentemente, Blackwood apparve in uno spezzone di tre minuti della prima trasmissione televisiva commerciale britannica il 2 novembre 1936, nello spettacolo di varietà Picture Page. Il biografo Mike Ashley spiega perché Blackwood era “ideale per la televisione”:
«La sua faccia era segnata dalle intemperie, abbronzata e immensamente rugosa, la sua testa era completamente calva tranne una breve frangia, il cranio a punta rugoso e lentigginoso. Attraverso il suo viso brillavano due occhi penetranti, avvincenti, ipnotici che erano allo stesso tempo amichevoli, fiduciosi e persuasivi. Illuminato correttamente, il suo viso sembrerebbe risaltare in tre dimensioni dallo schermo.»
Ma non fece altre apparizioni in televisione fino a dopo la seconda guerra mondiale. Blackwood era ormai troppo anziano per poter avere ruoli militari; ma questo non lo preservò certo dai pericoli. Il 13 ottobre 1940 la casa di suo nipote a Lawn Road, Hampstead, dove Blackwood risiedeva, fu colpita da una bomba tedesca. Il caso gli consentì di sopravvivere, ma molti dei suoi documenti rimasero distrutti. Sono i documenti che avrebbero potuto colmare le lacune nella conoscenza che si ha di certi periodi della sua vita dei quali rimangono solo pochi accenni.
Blackwood continuò a scrivere per la radio e la televisione, ma il suo lavoro nella narrativa fantastica fu scarso in quegli anni. Il nuovo editore americano Arkham House, volendo dare prestigio alla sua attività, lo persuase a mettere insieme una raccolta di soli due racconti, The Doll and One Other (1946). Questa sarebbe stata la sua ultima raccolta di racconti.
Nel 1949 Re Giorgio VI lo nominò Commander of the British Empire; il suo commento sul suo diario fu: “Odd to be a Commander of an Empire which the bestowers of the honour have destroyed!”. Un mese dopo ricevette la Television Society Medal for Outstanding Artistic Achievement. Il suo lavoro per la radio e la televisione continuò quasi fino alla sua morte, avvenuta il 10 dicembre 1951, all’età di ottantadue anni.
In The Centaur O’Malley, dopo la sua trascendente esperienza nel Caucaso, vuole raccontare al mondo ciò che ha sentito e imparato: immagina di poter salvare l’umanità dallo sprofondare nel pantano del materialismo e del cinismo. Il suo amico, simpatico ma scettico, Stahl, lo avverte:
“Non raggiungerai uomini d’azione; e pochi di intelletto. Riuscirai a suggestionare semplicemente i sognatori che sono già abbastanza provvisti di sogni. A che serve, ti chiedo? A che serve?”.
Ma O’Malley è deciso a perseverare. E così era Blackwood. Forse nei suoi ultimi anni sentiva che la causa era persa; che la scienza e le comodità materiali erano così avanzate che lo stupore e la meraviglia della Natura rimanevano relegate tra le cose del passato. Nel saggio Dreams and Fairies (1929) nutriva tuttavia una debole speranza che la tecnologia potesse non annientare del tutto la nostra percezione dei misteri del cosmo. Mantenne il suo senso del meraviglioso fino alla fine e cercò di trasmetterlo agli altri nel modo più serio e potente possibile. Anche se le sue opere migliori sono state scritte nel relativamente breve periodo compreso tra i primi due decenni del ventesimo secolo, tutti i suoi romanzi, racconti, opere teatrali e persino saggi e recensioni cercano di scoprire quei livelli di mistero che si nascondono dietro la facciata del noto, del conosciuto: il mistero delle foreste, dei deserti, delle cime innevate e, cosa più significativa di tutte, della psiche umana. Questa è l’ultima lezione che O’Malley impara:
“Che il Giardino è ovunque! Non è necessario andare nel lontano Caucaso per trovarlo. Riguarda anche questa vecchia città di Londra, e queste strade nebbiose e marciapiedi sporchi. È anche in questa stanza angusta e senza polvere. Ora in questo momento, mentre quella lampada tremola e migliaia di persone vanno a dormire. Le porte di corno e avorio sono qui” battendosi il petto. “E qui sono i fiori, le lunghe e pulite colline aperte, l’immensa moltitudine di ninfe, il sole e gli dei!”.
Fonti:
- A. Blackwood, The Education of Uncle Paul. London, 1909).
- A. Blackwood, The Bright Messenger. London, 1921.
- S.T. Joshi, Introduction in A. Blackwood, Ancient Sorcieries and other Strange Tales. New York, 2002.
- Mike Ashley, Algernon Blackwood : A Bio-bibliography. Westport, Conn., 1987.
- G. Spina, voce Blackwood, in Arcana Milano 1969.
- G. Spina, Il superuomo e la speculazione sull’occulto nel Novecento inglese e americano, in AA.VV. Il superuomo. Firenze 1974.
- A. Blackwood, Dreams and Fairies, in Bookman no. 459 (December 1929) London 1929.
- A. Blackwood, The Centaur 1911; reprint, Harmondsworth, England, 1939.
- A. Blackwood, Episodes Before Thirty. New York, 1923.
Note biografiche a cura di Paolo Alberti
NOTA: Le traduzioni dei brani originali sono di Paolo Alberti.
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- Il medico miracoloso
John Silence
Questa raccolta di racconti è indubbiamente un capolavoro della letteratura fantastica, scritto da uno dei più raffinati specialisti del soprannaturale. Il medico Silence, l'investigatore, ha la capacità di mettere a nudo lo stretto legame che esiste tra il mondo misterioso, arcano e crepuscolare e la psiche dell'uomo.