Dall’incipit del libro:
Queste sono note di viaggio, non vogliono essere altro che note, tirate giù alla buona, frettolosamente, finchè la memoria aiuta, per non perdere il filo delle cose vedute, per aggiungere qualche ricordo personale, col suggello del vero, a più nobili e più ordinati racconti.
Si va a Roma, lettori, o si tenta di andarci. Il viaggio, come sapete, prima del Settanta era piuttosto difficile. C’erano troppi, e potenti, che non volevano andar essi, e lo proibivano con tutte le forze loro a chi ne aveva voglia; donde stiracchiamenti, urti, malumori, guerre in famiglia; insomma, una vita da cani. Rallegriamoci che le cose si siano un bel giorno mutate, o non ci fermiamo a ragionarne di più.
Per le necessità del racconto vi dirò solamente che nella estate del ’67, tra coloro che non volevano lasciarmi partire da Genova per andare a Roma, c’era il conte Nomis di Cossilla, prefetto, e il cavalier Verga, questore; due ottime persone, ma cocciute a quel modo. Sui primi giorni dell’ottobre, quando in me si era fatta più forte la voglia, il cavalier Verga, incontrato in una casa di amici, mi aveva detto col suo solito garbo signorile, ma con altrettanta sicurezza di accento:
– Lei non andrà, e i suoi amici nemmeno. Del resto, che cosa andrebbero a fare, senza Garibaldi? –

