Aurelio Bertòla (così il cognome nella dizione accreditata dall’Enciclopedia Italiana) nacque a Rimini da nobile ma non ricca famiglia nel 1753. Compiuti gli studi nel seminario di Todi, entrò sedicenne, controvoglia e senza vocazione nel monastero senese di Monteoliveto, mutando in Aurelio il nome di battesimo Severino.
Insofferente della disciplina e attratto dalla vita di società, dopo poco fuggì e abbracciò la carriera militare che lo condusse fino in Ungheria, senonchè la gracile costituzione e la salute precaria ben presto lo costrinsero a tornare fra i confratelli, che gli concessero un posto di lettore in cambio di un atto di sottomissione. Nel 1776 la notorietà letteraria nel frattempo acquisita con i primi componimenti poetici gli valse la cattedra di storia e geografia all’Accademia di marina di Napoli, e nella ospitale città partenopea le doti della sua eloquenza, il carattere estroverso e il considerevole fascino personale gli dischiusero le porte più esclusive della società aristocratica, permettendogli di cogliere invidiate conquiste femminili e facilitandogli importanti entrature nei circoli dei letterati, oltre all’ingresso nella massoneria. Nel 1783 di propria iniziativa lasciò Napoli per raggiungere Vienna, allettato dalla presenza del concittadino monsignor Giuseppe Garampi, nunzio apostolico presso la corte imperiale, che gli fece dismettere il troppo vincolante abito di monaco olivetano per indossare quello, meno impegnativo e più libero, di prete secolare. In tal veste il Bertòla andò a infoltire il numero degli abati colti, galanti e mondani, assidui frequentatori dei salotti culturali del tempo.
Lo stesso Garampi si adoperò perché ottenesse la cattedra di storia universale nell’università di Pavia, dove poco più che trentenne venne chiamato nel 1784. In questa città, allora tra i più brillanti centri culturali dell’Italia nord-occidentale, il Bertòla fu accolto non meno bene che a Napoli, ed eletto principe dell’Accademia degli Affidati, vi promosse la cooptazione di noti esponenti del mondo letterario, non ultimi il Parini e il Tiraboschi. Nel capoluogo pavese si consolidò all’interno degli ambienti massonici con pari zelo che nell’insegnamento, spesso tuttavia spostandosi in diverse città lombarde e venete per visitarvi colleghi e amici: tra l’altro a Venezia conobbe un Ugo Foscolo giovinetto e come lui frequentatore del circolo di Isabella Teotochi Albrizzi, ma all’ombra della Serenissima si ritagliò anche il tempo per intrattenersi in intimità con non poche ammiratrici di grande cultura quali Alba Corner Vendramin ed Elisa Contarini Mosconi, che gli diede la figlia Lauretta.
L’attività letteraria del Bertòla va inserita nell’ambito del rinnovamento del gusto che matura all’interno delle correnti arcadico-illuministiche negli ultimi decenni del Settecento e ne segna il superamento. Esordì nelle lettere con Le Notti Clementine, poemetto ispirato dalla morte del papa Clemente XIV ed edito per la prima volta a Perugia nel 1774, che proponeva in sesta rima i motivi della poesia notturna e sepolcrale dello Young. Fu ben recepito, e ad accrescere la notorietà del suo autore contribuì la raccolta Versi e Prose, uscita anonima a Siena nel 1776 e come tale poi a lungo circolata, contenente sonetti e apologhi di moderata impostazione erotico-libertina, pervasi dall’invito a una vita spensierata e trascorsa nel piacere edonistico in simbiosi con la natura. A segnalarlo ulteriormente concorsero quindi le Nuove poesie campestri e marittime (Genova 1779) e le Lettere campestri (apparse nel secondo volume delle Operette in verso e in prosa, Bassano 1785), dove il bagaglio convenzionale del classicismo arcadico è stemperato una volta di più dalla gioia della scoperta dei sensi e di più fresche emozioni sentimentali.
La ricerca di nuove soluzioni formali si riverbera pure nei lavori critici del Bertòla e sovente non manca di risolversi in originali spunti di acume interpretativo: così, nelle Osservazioni sopra Metastasio (Bassano 1784), accanto alla chiarezza e alla limpidezza dello stile, nel massimo esponente d’Arcadia egli riconosce la suggestione musicale e compositiva di una scrittura protesa alle novità espressive; nel Saggio sopra la favola (Pavia 1788), premessa a un repertorio di 130 fiabe (Pavia 1788) dalle 38 inizialmente apparse, rivede i giudizi tradizionali sui principali favolisti antichi e moderni, apprezzando nei primi l’equilibrio tra naturalezza e raffinatezza, e riscoprendo però nei secondi una carica di malizia psicologica e artistica di cui intende cogliere gli aspetti più innovativi; e, nel Saggio sopra la grazia nelle lettere ed arti (letto nel 1786 ed edito postumo ad Ancona nel 1822), il concetto di “grazia” lo apre a giudizi schietti e non di rado intriganti, in una serie di analisi non esclusivamente letterarie.
Ma è nel campo della letteratura tedesca dove il Bertòla ha lasciato gli apporti critici più significativi, con contributi che lo annoverano tra i suoi primi divulgatori italiani. Esperto di lingue straniere già in età giovanile, aveva cominciato a interessarsi della poesia germanica durante il soggiorno napoletano per poi approfondirne la conoscenza nel periodo viennese, dapprima traducendo soprattutto liriche di Kleist, Wieland, Goethe e Klopstock, e in seguito componendo i saggi riuniti nel volume Idea della poesia alemanna (Napoli 1779), successivamente ampliato nei due tomi dal titolo Idea della bella letteratura alemanna (Lucca 1784). Più di tutte ammirò la produzione di Salomon Gessner (1730-1788), verseggiatore svizzero allora molto letto e soprastimato, i cui temi di ispirazione bucolica e classica prese a modello e arricchì con una sensibilità più fine e variegata; del Gessner tradusse gli Idillii in prosa ritmica e poetica (1777), e volle fare anche diretta conoscenza a Zurigo, scrivendone poi l’elogio postumo (Pavia 1789).
La visita al Gessner si inserì nel viaggio che il Bertòla fece in Svizzera e in Germania fra l’estate e l’autunno del 1787, ma rese noto soltanto otto anni dopo, intitolandolo Viaggio sul Reno e ne’ suoi contorni (Rimini 1795): è la sua opera più conosciuta e descrive un itinerario principiato a Spira e concluso a Düsseldorf, scandito da frequenti digressioni in barca. Si tratta dell’adattamento letterario di una parte dei diari che egli redasse in quella circostanza e conservò per risistemarli sotto forma di 46 epistole dedicate a Orintia Sacrati Romagnoli, eccentrica animatrice di salotti culturali e in relazione con i maggiori letterati coevi. Dal rimaneggiamento scaturì la descrizione di un percorso in molti punti dissimile da quello effettivamente svolto, dove l’autore eliminò quasi tutti i nomi di coloro che aveva incontrato, passò sotto silenzio molte osservazioni sugli usi e i costumi degli abitanti, e tralasciò parecchie notizie di carattere storico, artistico e letterario dei luoghi attraversati: sorvolò, insomma, su quegli aspetti che nella letteratura di viaggio di ogni epoca costituiscono solitamente il lato di maggiore interesse e di più immediata curiosità per il lettore (pochissime le eccezioni, in pratica ridotte alla descrizione degli zatteroni di Namedy nell’epistola 36, e ai giacimenti di basalto a Unkel nell’epistola 41). E non solo: il libro, infatti, si limita a raccontare unicamente il viaggio di andata, mentre gli appunti diaristici comprendono il ritorno; taluni brani dei diari, poi, nella relazione a stampa occupano un contesto ambientale diverso (emblematico l’incontro con gli ortolani di Heidelberg, che nel Viaggio diventano pescatori tra Bingen e Sankt Goar); inoltre, il Bertòla non visitò mai alcune regioni di cui parla estesamente, ma (come la valle della Nahe e il circondario di Andernach) le delineò sulla base di relazioni altrui; e, ancora, nei diari si esaurisce in appena due giorni la navigazione fluviale da Magonza a Colonia, che però nel Viaggio è fatta durare dieci giornate e dà luogo a finti pernottamenti.
Sebbene non vi difettino carte e illustrazioni, è chiaro che, così impostato, il Viaggio non sarebbe riuscito di alcuna utilità pratica per chi avesse voluto organizzarsi un “grand tour” sulle orme del Bertòla, e nemmeno sarebbe servito a dargli un’idea men che sommaria di paesi ed abitanti. Ma non con questo spirito andava e tuttora va letto il libro, che contiene non tanto l’accurata descrizione odeporica lasciata da un curioso viaggiatore mosso dall’intento di osservare, quanto le suggestioni scaturite dall’aspetto immutabile dello spettacolo naturale al contatto con i mutanti stati d’animo del proprio io: più che conoscere, qui il viaggiatore immagina, e lo fa sullo sfondo di contorni malinconici e in scenari tra il pittorico e il pittoresco che oggi collocano il Viaggio fra le prime e già valide manifestazioni del preromanticismo europeo.
Nel 1793 le sempre più instabili condizioni di salute indussero il Bertòla a lasciare la cattedra dopo un magistero decennale, al quale erano strettamente legati i due libri Lezioni di storia (Napoli 1782), e Della filosofia della storia (Pavia 1787, il primo con questo titolo in Italia), entrambi condotti sulla linea dell’influenza dei fattori climatici e naturali enunciati dal Montesquieu e dal Rousseau. Tornato nella città natale, visse ancora abbastanza per assistere all’occupazione francese, e da convinto assertore di una società migliore o quantomeno migliorabile, appoggiò apertamente le nuove forme di governo: sotto la Repubblica Cisalpina nel 1797 divenne membro dell’amministrazione centrale per l’Emilia oltre che del suo Comitato d’istruzione pubblica, e nelle sue ultime funzioni collaborò al Giornale patriottico, dando alle stampe anche un opuscolo intitolato Idee di un repubblicano sopra un piano di pubblica istruzione.
Aurelio Bertòla si spense a Rimini il 30 giugno 1798, prossimo ai quarantacinque anni.
Bibliografia:
Letterato fecondo (un elenco delle opere in G. Biancardi – C. Francese, Prime edizioni di scrittori italiani, Milano 2004, pp. 59-60), sul Bertòla la biografia più completa e soddisfacente è dovuta a E. Bigi, in Dizionario biografico degli Italiani, IX (1967), pp. 564-566, che si è soprattutto seguita nella redazione delle presenti note, aggiornate con le indicazioni in Wikipedia, s.v.; ampie scelte antologiche precedute da una premessa biografica sono in B. Maier, Lirici del Settecento, Milano-Napoli 1959, pp. 741-803; in E. Bigi, Dal Muratori al Cesarotti, IV, Milano-Napoli 1960, pp. 785-839; e, più di recente, in Scrittori italiani di viaggio, I (1700-1861), a cura di L. Clerici, Milano 2008, pp. 803-847. La sua figura è ben rappresentata nelle principali storie letterarie e nei repertori critici generali, fra i quali principalmente ricordiamo i riferimenti di W. Binni, in Storia della letteratura italiana, diretta da E. Cecchi e N. Sapegno, Il Settecento, Milano 19882, pp. 706-711; di M. Cerruti, in Storia della letteratura italiana diretta da E. Malato, VI, Roma 1998; pp. 696-698; e di A. Piromalli, in Dizionario critico della letteratura italiana, I, Torino 1986, pp. 296-299, oltre ai più essenziali lineamenti nel Dizionario enciclopedico della letteratura italiana, 1, Bari – Roma 1966, pp. 344-347. Sul Viaggio sul Reno e ne’ suoi contorni è ora disponibile l’edizione critica e commentata per cura di M. e A. Stäuble, Firenze 1986, con una esaustiva introduzione sulla sua complessa genesi redazionale.
Note biografiche a cura di Giovanni Mennella
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- Viaggio sul Reno e ne' suoi contorni
Molto interessante resoconto di viaggio della fine del ‘700: non è più solo una testimonianza del Grand Tour ma emerge anche un’attenzione alla relazione tra paesaggio e sé stessi viaggiatrici e viaggiatori, che rende l’opera un pregevole annuncio del preromanticismo.