Giovanni Fidenza nacque a Viterbo nel 1221. Una leggenda racconta che S. Francesco lo abbia guarito quando, ancora bambino, era stato colpito da grave e mortale malattia e che questo fatto sia stato determinante perché la madre ottemperasse al voto di consacrarlo all’ordine francescano che era stato richiesto da S. Francesco per esaudire la preghiera di guarigione. Quello che è certo è che entrò molto presto nell’ordine francescano, presumibilmente nel 1243, anche se varie fonti oscillano tra il 1238 e il 1244. Nella sua vita monastica – intrapresa con il nome di Bonaventura e talvolta Doctor Seraphicus – seppe fondere un ardente slancio mistico con notevoli capacità di affinamento di spirito speculativo. La sua vita si snodò tra lo studio e l’insegnamento e il governo dell’Ordine al quale venne destinato nel 1257. Forse, ma non vi è certezza, studiò a Parigi sotto la guida di Alessandro di Hales. Alla fine del 1253 o all’inizio del 1254 divenne maestro reggente nell’Università di Parigi.
Ma l’anno successivo in seguito alla battaglia che i maestri secolari dell’Università di Parigi stessa, sotto l’influenza di Guglielmo di Saint-Amour, i rappresentanti degli ordini mendicanti – francescani e domenicani – furono esclusi dall’insegnamento parigino. Gli scritti di Bonaventura e di Tomaso d’Aquino, suo amico, furono decisivi per far decidere il papa Alessandro IV a risolvere la disputa favorevolmente agli ordini mendicanti. Bonaventura fu reintegrato nell’insegnamento sembra già nel 1256 anche se la nomina ufficiale, avvenuta congiuntamente a quella di S. Tommaso, che per la prima volta veniva nominato maestro, è dell’ottobre 1257. Ma, come anticipato più sopra, nel febbraio del 1257 Bonaventura era divenuto ministro generale dell’ordine francescano che fu da lui totalmente riorganizzato. La sua opera principale fu scritta tra il 1248 e il 1254, durante il suo insegnamento parigino, e fu il Commentario alle Sentenze di Pietro Lombardo in 4 libri. Tuttavia la più celebre è l’Itinerarium mentis in Deum scritto nel 1259.
Nel 1273 venne nominato arcivescovo di Albano e poi cardinale. Morì a Lione durante i lavori del concilio che lì si teneva nel 1274. La sua opera è stata raccolta in dieci volumi (più uno di indici) a cura dei Padri Quaracchi a conclusione di un lavoro critico che si svolse tra il 1879 e il 1902. Fu questo il primo lavoro di edizione critica ad opera dei padri Quaracchi.
Lo sviluppo della sua opera e del suo pensiero lo colloca al vertice di quella tendenza mistica presente e preponderante nella teologia medievale ispirata al neoplatonismo e a S. Agostino, che già aveva trovato terreno fertile per il proprio sviluppo nella mistica dei vittorini. Già per Ugo di san Vittore infatti la «ricerca della sapienza è un’amicizia verso Dio e verso la sua altissima intelligenza. Questa Sapienza partecipa a tutte le anime umane i doni della Sua divina realtà e le richiama e riconduce alla pura ed integra perfezione del proprio essere. Da quest’incontro ha origine la verità delle speculazioni e delle riflessioni, ed anche l’onestà e la purezza delle azioni umane.». È partendo da questi assiomi che S. Bonaventura filosofeggia per affermare il primato della fede sulla ragione: le verità della fede suscitano quella totale adesione della nostra personalità che non lascia luogo a dubbi e per la quale si è capaci di giungere alla suprema testimonianza del proprio convincimento: il martirio.
Anche il rapporto tra uomo e natura che Bonaventura sviluppa nelle sue opere è già presente nel Didascalion del sassone Ugo. Quest’ultimo condivide e sviluppa l’idea abelardiana secondo cui i filosofi dell’antichità , con Platone a riferimento principale, raggiungono la verità del mistero trinitario tramite l’uso della ragione. Bonaventura mette però in guardia perché la mente alla ricerca della verità scivola nell’intellettualismo e la travisa frequentemente se non è illuminata dalla fede. Per questi passaggi certamente trae ispirazione anche da S. Bernardo e da Riccardo di S. Vittore.
Altre sue opere importanti sono De Scientia Christi, Quaestiones disputatae, Breviloquium, Collationes in Hexaëmeron. Scrisse anche commentari esegetici a scritti biblici, numerosi opuscoli mistici e scritti relativi alla sua attività nell’ordine francescano.
Nella sua opera principale commenta il testo forse più importante e più diffuso e conosciuto della teologia medievale, cioè il libro delle Sentenze del teologo Pietro Lombardo che ebbe per questo suo lavoro riconoscimento a livello mondiale, essendo il primo testo a condensare in un’opera organica tutto quello che della conoscenza dogmatica era diffuso nella sua epoca. Bonaventura con grande sistematicità ripercorre tutto il pensiero di Pietro Lombardo riconducendolo costantemente nell’alveo platonico. Troppo lungo sarebbe esaminare in questa sede ogni aspetto di questo lavoro del Bonaventura. A solo titolo di esempio consideriamo come ribadisca e approfondisca le idee sulla fisica della luce dell’inglese Robert Grosseteste, secondo le quali la luce non è un corpo ma è la forma di tutti i corpi. Se fosse un corpo, visto che ha la proprietà di moltiplicarsi da sé, saremmo costretti ad ammettere che un corpo abbia la capacità di moltiplicarsi senza l’aggiunta di materia, cosa che è impossibile.
La luce è quindi forma sostanziale di ogni corpo naturale e tutti i corpi ne partecipano in diversa misura in funzione della scala gerarchica sulla quale sono disposti per valore e dignità tutti gli esseri. Nella costituzione di un corpo possono quindi entrare più forme che coesistono nel corpo stesso. La forma della luce coesiste con la forma propria del corpo. Facile constatare che una teoria di tal fatta si collochi saldamente nell’alveo del neoplatonismo andando successivamente a costituire un autentico caposaldo metafisico dell’agostinismo. Concessione all’aristotelismo ebraico (Avicebron) è invece il principio propugnato da Bonaventura della composizione ilomorfica universale, secondo cui una materia deve essere attribuita non solo agli essere corporei ma anche a quelli spirituali. Questi ultimi, infatti, essendo stati creati, non sono esseri semplici ma composti da potenza e atto e convertibili in materia e forma.
Fonti:
- N. Abbagnano, Storia della filosofia, volume I. Torino, 1966. [Abbagnano desume i dati biografici dalle ricerche di Pelster, Literargeschichtliche Problem im Anschluss an die Bonaventuraausgabe, Innsbruck 1924].
- R. Lazzarini, S. Bonaventura, filosofo e mistico del cristianesimo. Milano 1946.
- L. Stefanini, Il problema religioso in Platone e S. Bonaventura. Torino, 1934.
Note biografiche a cura di Paolo Alberti
Elenco opere (click sul titolo per il download gratuito)
- Itinerario della mente in Dio. Riduzione delle arti alla teologia
Questo testo è il capolavoro mistico di S. Bonaventura; lo si può considerare la massima espressione teologica e mistica della scolastica latina intesa come argine all’avanzare della corrente aristotelica. Lo sforzo di elaborazione compiuto dall’autore è teso a dimostrare la non incompatibilità tra fede e ragione, che possono coesistere potendo la ragione configurarsi come sostegno sussidiario alla fede.