L’opera, secondo importante saggio storico di Carlo Botta, fu pubblicata nel 1824 a Parigi. Suddivisa in due parti, dallo scoppio della Rivoluzione francese all’incoronazione di Bonaparte e dalla proclamazione del Primo Impero al Congresso di Vienna, traccia un primo bilancio sugli esiti della mancata insurrezione italiana. Ebbe una grande fortuna editoriale e rimase per tutto il 19° secolo uno dei testi di storia più diffusi in Italia.
Dall’incipit del libro:
Due pensieri operavano massimamente a questo tempo nella mente di Buonaparte, securo omai di poter fare, o buon grado o mal grado del suo governo, ciò che più volesse. Siccome la fortuna tanto se gli era dimostrata prospera, così intendimento suo era, posti in non cale i pensieri del re di Sardegna, di creare un nuovo stato in Lombardia, acciocchè egli fosse della sua potenza, e del suo nome testimonio perpetuo. Ma il direttorio, che aveva anche capriccio in questo nuovo stato, desiderava tuttavia temporeggiarsi pel desiderio che aveva della pace con l’imperatore. Così il capitano della repubblica andava continuamente moltiplicando in Milano i segni del voler sottrarre dal dominio dell’Austria il paese per crearne una repubblica, mentre i deputati Milanesi mandati a Parigi per pregare libertà, riportavano dal direttorio solamente parole grate senza effetti. Si proponeva oltre a ciò Buonaparte, solito a fabbricare ne’ suoi concetti grandissimi disegni, tostochè si diminuisse l’asprezza della stagione, di varcare con tutto l’esercito le Alpi Giulie, e di far sentire le sue armi nel cuore della Germania, a fine di obbligare l’imperatore alla pace, pensiero, che già aveva concetto fin dai tempi delle sue prime vittorie in Italia, e che solo era stato interrotto dall’incredibile costanza dell’Austria nel sostituire nuovi eserciti ad eserciti vecchi. Confortavano massimamente questa sua deliberazione la singolarità, e la grandezza dell’impresa non più tentata dai Francesi dal secolo di Carlomagno in poi, l’avere a cimentarsi con l’arciduca Carlo, fratello dell’imperatore, che aveva recentemente combattuto vittoriosamente le armi repubblicane sulle sponde del Meno e del Reno, e che era stato preposto, come ultima speranza, all’esercito Italico; il fare finalmente quello, dall’Italia venendo, che non avevano potuto fare Moreau e Jourdan, che avevano guerreggiato sulle terre stesse dell’Alemagna; perciocchè o l’imperatore Francesco, sbigottito a quel suono tanto insolito dei Francesi nel cuore degli stati ereditari avrebbe consentito agli accordi, ed in tale caso acquistava Buonaparte un segnalato favore in Francia; ovvero il sovrano Alemanno si ostinava nel voler usare le armi, ed in tale caso il capitano di Francia distendeva i suoi pensieri sino all’occupazione di Vienna, impresa anch’essa, che avrebbe fatto il suo nome immortale.
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