Dall’incipit del libro:
Se Dante non fosse stato altro che poeta o letterato, io lascerei l’assunto di scriverne a tanti, meglio di me esercitati nell’arte divina della poesia, o in quella così ardua della critica. Ma Dante è gran parte della storia d’Italia; quella storia a cui ho dedicati i miei studi, che ho tentata in più guise, ma che non ispero guari di poter compiere oramai. Quindi è che non avendo potuto o saputo ritrarre la vita di tutta la nazione italiana, tento ritrarre quella almeno dell’Italiano che più di niun altro raccolse in sè l’ingegno, le virtù, i vizi, le fortune della patria. Egli ad un tempo uomo d’azioni e di lettere, come furono i migliori nostri; egli uomo di parte; egli esule, ramingo, povero, traente dall’avversità nuove forze e nuova gloria; egli portato dalle ardenti passioni meridionali fuori di quella moderazione che era nella sua altissima mente; egli, più che da niun altro pensiero, accompagnato lungo tutta la vita sua dall’amore; egli, insomma, l’Italiano più italiano che sia stato mai. S’aggiugne, che l’età di Dante è, rispetto all’insegnamento morale, la più importante forse della storia d’Italia; quella in che si passò dalle brevi virtù ai lunghi vizi repubblicani. E s’aggiugne, che colle opere, e collo scritto ei tentò di rattener la patria in su quel precipizio; e che cadutovi egli stesso più o meno, rimase pure in tutto lo scrittore più virtuoso che abbiamo: ond’è, che il nome di Dante tanto più risplendette sempre tra le generazioni successive, quanto più elle tornarono a virtù; e che non ultima fra le ragioni di patrie speranze, è il veder redivivo il culto e lo studio di lui.

