L’analisi delle cause del declino della civiltà greca prosegue nel secondo volume, trattando delle guerre, diretta conseguenza del continuo sforzo imperiale descritto nel primo. Naturalmente la condizione di guerra continua era dannoso per l’economia, danneggiando direttamente le colture e l’allevamento, e causando fenomeni contraddittori di crisi demografica (oltre il 10% della popolazione era impegnata nell’esercito) e di sovrappopolazione nelle città, a scapito delle campagne.
Solo con la conquista della Grecia da parte della Macedonia e poi di Roma verrà a cessare questa situazione di guerra continua, ma questa porterà con sé altri problemi: la condizione di provincia metteva la Grecia in balìa dello sfruttamento fiscale di Roma, aggravato dalla pratiche disoneste dei governatori (‘i divoratori delle provincie’, li chiama Barbagallo). Ai tempi dell’impero romano la Grecia non era più al centro dei commerci marittimi: altre regioni (l’Egitto, l’Oriente) avevano un’importanza nettamente superiore.
Sinossi a cura di Claudio Paganelli
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Dall’incipit del libro:
La Grecia antica fu, per tutta la sua non lunghissima, ma neanche brevissima, esistenza storica, profondamente afflitta dal male, endemico e inguaribile, della guerra. Sotto questo riguardo, le sue gloriose repubbliche non hanno che un solo termine di paragone (e il ripetersi del fenomeno non fu casuale): i Comuni italiani del Medio Evo. La sua vita fu tutta una serie ininterrotta di lunghe ostilità e di brevi armistizi, un affilare, un brandire, un incrociare, un risonare incessante di armi.
L’età, che potremmo dire preistorica, della Grecia antica si dischiude al nostro pensiero con la evocazione di due grandi serie di guerre: la guerra troiana e le altre infinite, che vanno sotto il nome di «migrazione dorica». Poi, in età cronologicamente più sicura, troviamo, nei secc. VII-VI, le incessanti guerre contro Messeni, Argivi, Arcadi, ecc., attraverso le quali Sparta conquista l’alta sovranità sul Peloponneso.

