Filippo BurzioFilippo Burzio nacque a Torino il 16 febbraio 1891, figlio dell’ingegnere municipale Antonio e di Enrichetta Prette.

Si diplomò all’istituto tecnico industriale G. Sommeiller con licenza fisico-matematica. Di vasti interessi, si dedicò autonomamente allo studio della letteratura europea e della storia del pensiero politico. Nel dicembre del 1914 conseguì la laurea al Politecnico in ingegneria industriale meccanica. Particolarmente stimato dal noto ingegnere aeronautico e docente al Politecnico, Modesto Panetti, divenne subito, nel gennaio 1915, assistente ordinario alle cattedre di Meccanica Applicata e di Costruzioni aeronautiche.

Nel 1915 partecipò alla guerra come ufficiale d’artiglieria e ne approfittò per condurre ricerche sperimentali di balistica; era stato destinato all’ufficio tecnico dell’Arsenale di Torino. Tutto senza abbandonare il posto di assistente universitario.

Dal 1919 al 1933 fu docente incaricato di Meccanica applicata sempre al Politecnico ed ebbe altri ruoli nell’ambito dell’insegnamento di meccanica, aeronautica e balistica. Nel 1928 fu nominato Professore di ruolo di Meccanica Razionale presso l’Accademia Militare di Artiglieria e Genio di Torino.

Sempre nel 1928 ebbe il premio Montyon dell’Istituto di Francia. Nonostante la sua fama scientifica fosse allora piuttosto vasta, non ebbe in Italia alcun riconoscimento formale a causa del suo reciso rifiuto della tessera del partito fascista.

Legato da amicizia con Benedetto Croce fin dal 1918, fu certamente influenzato da lui e dallo studio degli scritti di Vilfredo Pareto, nell’elaborazione della sua teoria delle élites e del liberalismo; teoria nella quale prende forma la sua concezione del “demiurgo”, che svolge le funzioni del superuomo, senza tuttavia identificarsi con questo. Nell’idea del “demiurgo” trovano sintesi i tratti caratterizzanti dell’attività intellettuale di Burzio, cioè la scienza e la cultura umanistica. I suoi scritti più significativi sul tema, la raccolta di scritti Politica demiurgica e il Discorso sul demiurgo sono rispettivamente del 1923 e del 1926, ristampato il secondo in edizione definitiva nel 1929.

Cadute dapprima le illusioni sulle attitudini demiurgiche di Giolitti e subito dopo quelle relative a Mussolini, anche gli entusiasmi per le trasformazioni radicali dell’epoca subirono una frenata. Fin dal 1922, anno della sua fondazione, collaborò con «La rivoluzione liberale» di Piero Gobetti, pur mantenendo una sua visione del liberalismo non del tutto coincidente con quella del Gobetti stesso. “Amico e ammiratore del prodigioso giovinetto, ma non gobettiano nel senso stretto della parola” lo definisce Norberto Bobbio in «Trent’anni di storia della cultura a Torino». Fu collaboratore anche de «Il Baretti», rivista letteraria anch’essa fondata da Gobetti e attiva dal 1924 al 1928.

Nel 1925 fu firmatario del manifesto degli intellettuali antifascisti di Benedetto Croce. Questo non gli precluse tuttavia diverse collaborazioni tra le quali, a partire dal 1934, quella alla terza pagina di «La Stampa»; ebbe una breve collaborazione anche con la rivista «Quadrante», diretta da Bontempelli e Bardi.

Ispirato dalla frequentazione di personalità come André Gide e Paul Valery, si fece promotore, insieme a Carlo Linati e Piero Gadda, del “cenobio” laico di Villadeati, dove poter approfondire quelli che per Burzio erano gli aspetti più autentici della vita, “quelli della meditazione e del sogno”.

Legatissimo alla sua terra si dedicò allo studio della storia del Piemonte e dei personaggi più importanti che in Piemonte ebbero i natali, pur non dimenticando mai i valori del cosmopolitismo.

Collaboratore della «Stampa» fin dal gennaio 1934, ne divenne direttore il 24 agosto del 1943 ma per poco tempo perché il 10 settembre dovette ritirarsi, dopo aver scritto articoli nei quali chiedeva al generale Adami-Rossi di difendere Torino dai tedeschi. Condannato a morte dal tribunale nazifascista dovette ricorrere alla clandestinità, nascondendosi sulle montagne valdostane. Riprese la direzione della «Nuova Stampa» dopo la liberazione, il 21 luglio 1945, in coabitazione con Giulio De Benedetti.

Nel 1945 pubblica il libro Essenza e attualità del liberalismo che lo pone nell’alveo del pensiero politico di Piero Gobetti e Guido Dorso.

Il 15 febbraio 1947 è nominato Socio corrispondente dell’Accademia dei Lincei nella Classe di Scienze Morali su proposta di Luigi Einaudi.

Muore improvvisamente a Ivrea il 25 gennaio 1948 e viene sepolto al cimitero di Cunico.

Nel 1992 viene costituita la Fondazione Filippo Burzio, dal sito della qual fondazione questa nota biografica è tratta e riassunta.

Fonti:

Note biografiche a cura di Paolo Alberti

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  • Favole e moralità
    L'attenzione dell'autore per le dinamiche della società e dei suoi cambiamenti, per un'idea di Italia libera e laica emerge da questa raccolta di scritti brevi ed eterogenei, che spaziano da una descrizione di fenomeni sociali, di testimonianze personali e aneddotiche, spesso legate alla sua terra, il Piemonte, a descrizioni di pensatori di ogni tempo, alle loro intuizioni profetiche, fino ad aspetti letterari legati in qualche modo al Vecchio e Nuovo testamento.
 
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Filippo Burzio
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Burzio, Filippo
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