Boccaccio, primo biografo ed estimatore di Dante, mescola alle lodi per il poeta notizie curiose sulla sua opera. Se è abbastanza noto che Dante interruppe con l’esilio la “Commedia” ai primi canti dell’inferno, e la proseguì anni dopo quando venne in possesso fortunosamente del manoscritto, è meno noto quello che afferma Boccaccio sugli ultimi canti del Paradiso, ignoti alla morte del poeta e ritrovati dal figlio a cui il padre in sogno aveva svelato il nascondiglio.
Dall’incipit del libro:
Solone, il cui petto uno umano tempio di divina sapienzia fu reputato, e le cui sacratissime leggi sono ancora alli presenti uomini chiara testimonianza dell’antica giustizia, era, secondo che dicono alcuni, spesse volte usato di dire ogni republica, sì come noi, andare e stare sopra due piedi; de’ quali, con matura gravità, affermava essere il destro il non lasciare alcuno difetto commesso impunito, e il sinistro ogni ben fatto remunerare; aggiugnendo che, qualunque delle due cose già dette per vizio o per nigligenzia si sottraeva, o meno che bene si servava, senza niuno dubbio quella republica, che ‘l faceva, convenire andare sciancata: e se per isciagura si peccasse in amendue, quasi certissimo avea, quella non potere stare in alcun modo.
Mossi adunque più così egregii come antichi popoli da questa laudevole sentenzia e apertissimamente vera, alcuna volta di deità, altra di marmorea statua, e sovente di celebre sepultura, e tal fiata di triunfale arco, e quando di laurea corona secondo i meriti precedenti onoravano i valorosi; le pene, per opposito, a’ colpevoli date non curo di raccontare.


