Giovanni Bovio (Trani, 6 febbraio 1837 – Napoli, 15 aprile 1903) è stato un filosofo e politico italiano, sistematizzatore dell’ideologia repubblicana e deputato al Parlamento del Regno d’Italia.
Giovanni Scipione Bovio nasce a Trani da Nicola Bovio di Altamura, impiegato, e Chiara Pasquini. Autodidatta, pubblica nel 1864 Il Verbo Novello, un poema filosofico scritto con intonazione enfatica.
Fra i suoi scritti si ricordano la Filosofia del diritto, il Sommario della storia del diritto in Italia, il Genio, gli Scritti filosofici e politici, la Dottrina dei partiti in Europa, i Discorsi. Sotto il Ministero Minghetti, nel 1872, ottenne il pareggiamento della cattedra di Storia del Diritto all’Università di Napoli e, nel 1875 consegui la libera docenza in Filosofia del diritto.
Bovio fu anche deputato alla Camera: nel 1876, con il subentrare della Sinistra costituzionale alla Destra, fu eletto nel collegio di Minervino Murge. Il suo atteggiamento, diversamente da quello dei suoi compagni che condividevano l’idea repubblicana, non fu incline all’astensionismo. Nel 1880 Bovio sposò a Napoli Bianca Nicosia dalla quale ebbe due figli, Corso Bovio, così chiamato in onore agli italiani di Corsica sottomessi al dominio francese e Libero Bovio, poeta ed autore dei testi di molte celebri canzoni napoletane.
Napoli fu la sua città di adozione, dove morì il 15 aprile 1903. La città gli ha dedicato una piazza, che i napoletani continuano però a chiamare con l’antico nome di Piazza Borsa. La città di Firenze gli ha dedicato una strada. La città di Piombino (LI) gli ha intitolato la piazza sul mare più grande d’Europa Piazza Bovio. La città di Teramo gli ha intitolato un importante viale.
Come ideologo repubblicano, Bovio ebbe il motto “definirsi o sparire”: palesò insomma ai repubblicani l’esigenza urgente di un’impostazione non confusa e non settaria, di una chiara direzione che spinse poi i repubblicani a definirsi in partito di moderno tenore.
Bovio stabilì per il Partito repubblicano nessi e prospettive nazionali ed europee.
Egli considera la monarchia come l’attuale realtà italiana. Ne segue che la repubblica è utopia, e Bovio si dichiara utopista. Nel suo pensiero la monarchia cadrà, proprio quando dovrà risolvere il problema della libertà. Serve comunque un lungo periodo perché la situazione monarchica si deteriori. Colma evidentemente di determinismo, la sua filosofia si definiva come naturalismo matematico.
Differentemente dalla teoria socialista, Bovio riteneva che il nuovo Stato a venire avrebbe avuto una “forma storica”, non potendo dimensionarsi unicamente sulla base di azioni economiche. Bovio introduceva dunque una concezione formale dello Stato, che si sforzò di divulgare anche presso i ceti operai.
Fu molto considerato anche a Matera dove non si dimenticava perartro che nella locale “scuola detta regia, fondata nel 1769 da Bernardo Tanucci, libero pensatore dei tempi suoi, quando era libertà contrastare alle pretensioni papali, fu insegnante di letteratura e di diritto Francesco Bovio, il quale intese queste dottrine nella libertà e per la libertà. Quell’insegnamento fu seme fecondo, e dalla sua scuola venne fuori la nobile schiera dei nostri martiri del 1799, i cui militi rispondono ai nomi di Giovanni Firrao, Giambattista Torricelli, Fabio Mazzei, Liborio Cufaro, Antonio Lena-Santoro, Gennaro Passarelli, Marco Malvinni-Malvezzi”.
Nel 1904, a circa un anno dalla sua morte, nella “giornata più adatta” come “il fatidico XX Settembre”, gli intellettuali laici materani con la loro associazione “G.B. Torricelli”, tengono una solenne commemorazione “per pagare un tributo di affetto e di riverenza al Grande, che ci fu Maestro e ci amò di quell’amore di cui sono capaci soltanto gli educatori come Lui” dice un oratore. E un secondo aggiunge che “la titanica figura di quell’illustre profeticamente ci addita il sole dell’avvenire”, per cui il tributo di affetto al suo carattere fiero ed onesto è tanto più doveroso “in questi tempi borgiani”. Un terzo oratore, rivolgendosi al Sindaco Raffaele Sarra, e nel consegnargli la lapide, lo invita ad additare “quel nome a questi onesti operai per indirizzarli sulla via della dea ragione, scuotendo così il giogo dell’oscurantismo e della superstizione, che li avvince e li abbruttisce”.
Promessa che il Sindaco Raffaele Sarra non esita a fare, ritenendo quel marmo “un severo monito all’indirizzo di tutti coloro i quali nulla fecero e tuttora nulla fanno per strappare la nostra plebe dalla miseria, dalla ignoranza, dalla superstizione, dall’abbruttimento secolare”. Per la precisione, la lapide commemorativa, scoperta quel giorno sulla facciata del palazzo di giustizia, sarà tolta negli anni ’30 per iniziativa della sezione fascista (e gli incauti scalpellatori si riferiranno nell’operazione).
Bovio ebbe comunque anche l’esigenza di definirsi rispetto agli anarchici. La forma repubblicana, scrisse, è a metà strada fra la monarchia e l’anarchia, vale a dire fra l’ipertrofia dello Stato e la sua totale anarchica abolizione. Non a caso, quando l’anarchico Gaetano Bresci compì l’attentato contro Umberto I, il nostro filosofo invitò tutti gli anarchici a desistere dalla violenza. In sostanza, un’esagerazione utopistica tradotta in atti sanguinari (l’opera degli anarchici) avrebbe prodotto un rafforzamento reattivo dell’autorità costituita, allontanando proprio il momento dell’avvento della repubblica. Troviamo in lui un tentativo di superare l’idealismo della metafisica idealistica e insieme con essa l’approccio empirico del positivismo. Fondamentalmente Bovio introdusse in Italia l’eco delle nuove correnti speculative nella filosofia del diritto.
Fonti
Note biografiche a cura di Pier Filippo Flores