Il romanzo Paul et Virginie pubblicato la prima volta nel 1788 ebbe vasta notorietà e successo fin dal suo apparire e fu tradotto più volte nelle principali lingue. Può essere visto come una sorta di reazione al razionalismo che si era radicato nel “secolo dei Lumi” e all’influenza dell’illuminismo in ogni aspetto della cultura umana. Sogno d’amore e di bellezza, illusione di una umanità senza peccato e di una impervia armonia tra natura e cultura, questo breve romanzo assurge a esempio di questo spesso sognato ma apparentemente impossibile equilibrio. Jacques-Henri Bernardin de Saint-Pierre dimostra con questa sua opera il proprio entusiasmo per il mondo “naturale” non mancando di scivolare in ingenuità che, specialmente oggi, appaiono evidenti. Ma Paul et Virginie resta tuttavia un esempio difficilmente superabile di sensibile espressività, di tratteggio di immagini che portano chi legge in un ambiente fatto di colori e rumori che non manca certo di esercitare il proprio fascino.
Nell’isola Isola Mauritius, ambiente remoto e incontaminato nell’Oceano Indiano e all’epoca colonia francese, due giovani cresciuti insieme in questo scenario naturale reso semi-paradisiaco dal lavoro delle rispettive madri e dagli aiutanti aborigeni, si amano fin dall’infanzia. Le madri, di diversa estrazione sociale, erano state costrette dalle contingenze del loro percorso di vita a ritirarsi nella lontana colonia per rifarsi una vita lontane dalla riprovazione sociale. Ignari quindi degli artifici e dei pregiudizi della civiltà, Paolo e Virginia vanno verso l’adolescenza e l’attraversano conoscendo solo la felicità e l’innocenza. Ma quando si presenta l’opportunità – che diviene deprecabile obbligo – del confronto con la cultura occidentale, l’idillio si trasforma in inevitabile dramma.
Attorno all’autore, discepolo di Rousseau, risorge oggi un interesse che è sfociato in convegni in occasione del secondo centenario della morte, nonché in una riedizione delle opere complete. Egli esprime in forma narrativa il senso della sua speculazione filosofica, che ha avuto sistemazione negli Études de la nature (oggi disponibili in edizione italiana grazie all’edizione Mimesis e alla cura di Marco Menin); tale intento sarebbe quello di giungere a una comprensione totalizzante della natura che possa giustificare a un tempo l’ordine “fisico” e quello “morale”. Lo stesso svolgimento del romanzo, come del resto quello dei quattordici studi sulla natura, sembra volerci far comprendere che lo stesso autore era ben consapevole della molto difficile realizzazione di questo piano di lavoro. Ma il fatto che questo tentativo non possa essere trascurato neppure oggi è ben espresso da Arthur Lovejoy, il cui contributo alla riflessione sulla storia delle idee è certamente tra i più rilevanti, il quale ha sottolineato come l’opera di Bernardin de Saint-Pierre debba essere considerata “uno dei capolavori del suo genere letterario” e uno dei tentativi più audaci e nello stesso tempo convincenti di conciliazione tra una valutazione scientifica del mondo naturale e la sua valutazione morale.
Comunque lo si voglia leggere, alcune pagine di questo breve romanzo restano in ogni caso memorabili; tra tutte la descrizione del naufragio che travolge la nave che riporta Virginia all’isola dove era rimasto Paolo. Non manca di trasparire una certa ostilità anticlericale, sempre presente nell’autore, nel mettere in rilievo la cattiva interpretazione delle “cause finali” che fa il prete dell’isola.
A testimonianza della grande popolarità di questo testo ci sono le innumerevoli “citazioni” letterarie che vanno da quella di George Sand nel suo romanzo Indiana a quelle di Maupassant (Bel Ami) e di Dickens (La piccola Dorrit) e molte altre. Numerose anche le trasposizioni cinematografiche, ma nessuna “memorabile”, come non apprezzato dalla critica fu lo sceneggiato televisivo francese in più puntate del 1974, e quelle teatrali tra le quali si possono ricordare il poema sinfonico di Italo Montemezzi e il melodramma di Gianandrea Gavazzeni su libretto di Mario Ghisalberti.
La traduzione italiana che presentiamo in questo e-book è di Milli Dandolo (https://liberliber.it/autori/autori-d/milli-dandolo/), accurata e completa ma che, purtroppo, tralascia il lungo preambolo che l’autore antepose al suo romanzo fin dall’edizione del 1806. Tra le traduzioni italiane di pubblico dominio da segnalare anche quella di Umberto Fracchia.
Sinossi a cura di Paolo Alberti
Dall’incipit del libro:
Su lato orientale della montagna che s’innalza dietro Port-Louis dell’Ile-de-France si vedono le rovine di due piccole capanne, in un terreno che un tempo fu coltivato, quasi nel mezzo d’un bacino formato da grandi rocce, e che ha una sola apertura verso nord. Si vede a sinistra la montagna chiamata della Scoperta, di dove si segnalano i bastimenti che approdano all’isola, e in basso della montagna una città, Port-Louis; a destra la strada che conduce dalla città alla zona chiamata delle Pampelimose; più avanti la chiesa dello stesso nome, che sorge, coi suoi viali di bambù, nel centro d’una vasta pianura; e più lontano ancora, una foresta che va fino all’estremità dell’isola. Si scorge di faccia, in riva al mare, la baia della Tomba; un po’ a destra il capo Disgraziato e al di là il gran mare, ove appaiono a fior d’acqua pochi isolotti deserti, tra i quali la Bietta fa pensare a un bastione in mezzo all’onde.

