Johann Jacob Bachofen nacque a Basilea il 22 dicembre 1815, primogenito di Johann Jacob, appartenente ad antica e ricca famiglia di industriali svizzeri, e di Valeria Merian appartenente a una famiglia di ricchi commercianti originari del Giura bernese. Alla madre – donna colta e artisticamente dotata – è dedicata la sua opera più nota, il Mutterrecht. Questa la dedica: «Del tuo amore e della tua fedeltà non cesseremo di parlare, finché vita ci duri».
Il suo avo Heinrich Bachoffner si era trasferito a Basilea, da Zurigo, nel 1546. Di mestiere faceva il sarto; il suo primo figlio si chiamava Johann Jakob, nome che sarà una costante nella storia della famiglia.
Nel 1724 il Johann Jakob Bachofen di quella generazione entrò come socio nella fabbrica di passamanerie di suo suocero Martin Straub, dando così inizio al successo industriale ed economico della famiglia. Alla morte di Straub l’azienda divenne di proprietà esclusiva dei Bachofen e rimase in attività fino al 1906. Il Johann Jakob Bachofen del quale ci interessiamo noi non si dedicherà mai all’attività industriale e commerciale paterna, alla quale invece si dedicarono i suoi due fratelli e la sorella, Carl, Adelheid e Wilhelm.
Compì nella sua città i primi studi, dapprima privatamente seguito dal signor Munzinger, poi presso la scuola comunale del Duomo di Basilea, la Münstergemeindeschule, e infine nel celebre istituto “Paedagogium” dove ebbe per insegnante di latino Franz Dorotheus Gerlach, che fu successivamente suo insegnante anche all’Università e al quale fu legato per tutta la vita.
Dal 1835 al 1837 studiò all’Università di Berlino, ove ebbe per insegnanti Ritter e Savigny che su di lui ebbero grande influenza; soprattutto la personalità scientifica del Savigny suggestionò il giovane Bachofen che si appassionò allo studio del diritto, inteso, secondo la concezione savigniana, come diritto vivente, nel quale si esprimeva lo spirito del popolo, il Volksgeist. Proseguendo gli studi a Göttingen conobbe Karl Otfried Müller e si dedicò con grande passione allo studio di autori antichi e del diritto romano. Ottenne la laurea in giurisprudenza a Basilea nel 1838 con la tesi De Romanorum iudiciis civilibus, de legis actionibus, de formulis et de condicione, pubblicata nel 1840 a Göttingen. Studiò quindi a Parigi e Cambridge approfondendo le conoscenze giuridiche, e nel 1841 divenne professore ordinario di diritto romano nell’Università della sua città, Basilea. Secondo Eva Cantarella – che ha ottimamente curato e introdotto la raccolta di scritti di Bachofen Il potere femminile – questa attività di insegnante avvenne invece all’Università di Berlino. Tutte le altre fonti consultate indicano invece l’università di Basilea. Mantenne questo incarico per tre anni. All’insediamento tenne la prolusione sul tema Das Naturrecht und das geschichtiliche Recht in ihren Gegensätzen (Il diritto naturale e il diritto storico nelle loro incongruenze).
Nel 1842 si recò in visita in Italia e, soprattutto, a Roma. Nel 1854, tra il 24 e il 27 settembre scriverà a Savigny (e questa lettera è nota come Lebens-Rückschau – Retrospettiva di una vita e pubblicata poi postuma nel 1916 come Autobiografia) parlando della «rivoluzione mentale» procurata dalla visione della sua «patria spirituale» – Roma, appunto e il Lazio e le campagne romane, che saranno descritti in Paesaggi dell’Italia centrale. Fin da questo primo viaggio si mise in contatto, e lo mantenne per tutta la vita, con l’Istituto di studi archeologici per gli “Annali” del quale scriverà, nel 1858 e 1867, due saggi: Sul significato dei dadi e delle mani nei sepolcri degli antichi e La lupa romana sui monumenti sepolcrali dell’Impero.
Nel 1842 divenne giudice, precisamente Statthalter, cioè vicepresidente di Corte d’Assise nel tribunale di Basilea e nel 1845 consigliere di Corte d’Appello – che era la massima istanza a Basilea –, incarico che mantenne fino al 1866.
Nel 1843 pubblicò uno studio sulla Lex Voconia, in materia di successioni, nel quale Mommsen riconobbe una “prova del reale senso storico” del suo autore. Pubblicò nello stesso anno un saggio sulla dottrina del computo civile del tempo. Un altro saggio sul “pegno” – Das römische Pfandrecht – pubblicato a Basilea nel 1847, lo consacra tra i giuristi più noti e considerati di quegli anni.
Contemporaneamente, e in contraddizione con i metodi rigorosi della scuola critica del diritto che fondava le proprie ricostruzioni sullo studio accurato di fonti documentali e di analisi filologica, Bachofen iniziò una ricerca di più ampio respiro sull’antichità, che non separasse la narrazione dei “fatti” dall’analisi dei miti, visti come espressione della vita reale e dei sentimenti dei popoli la cui storia andava studiando e analizzando. Le testimonianze che sono giunte fino a noi dai tempi antichi vanno viste nella loro complessità e nelle loro interconnessioni e in questo senso il “mito” diviene “rappresentazione dell’esperienza di vita di un popolo”. Non come rappresentazione di fatti realmente accaduti, quindi, ma non per questo meno importante. Secondo Bachofen non è determinante un riscontro rigorosamente storiografico del mito: «Ciò che può non essere accaduto è stato tuttavia pensato». Per essere più libero in queste ricerche rinunciò all’insegnamento universitario anche per superare la sospettosa diffidenza dell’ambiente accademico. Per lo stesso motivo rifiutò un invito da parte dell’Università di Zurigo e, nel 1850, la stessa cosa fece con l’Università di Friburgo in Brisgovia.
Nel 1847 viaggiò molto visitando Austria, Germania e Inghilterra. Tra il 1848 e il 1849 si recò nuovamente in Italia e pubblicò a Bonn il volume Ausgewählte Lehren des römischen Civilrechts (Scelta di dottrine del diritto civile romano). Del 1850 è invece Politische Betrachtungen über das Staatsleben des römischen Volkes, testo che è rimasto inedito fino al 1943.
Nel 1856, e precisamente il 24 settembre, in occasione della XVI Philosophenversammlung, a Stuttgart, Bachofen svolse una relazione intitolata Das Wesen des Weiberrechts, letteralmente sul «diritto femminile”, in pratica sul matriarcato, dando così inizio all’attività pubblica relativa ai suoi studi innovativi come metodo di indagine e portatori di una teoria della storia che era certamente accademicamente poco ortodossa. In realtà questa strada “storiografica” era stata intrapresa già dal 1851, pubblicando a Basilea, in collaborazione con lo storico F.D. Gerlach, le prime due sezioni di una Storia dei romani, (Die Geschichte der Römer) nella quale opera non è certo difficile scorgere la polemica verso le correnti storiografiche del tempo e in particolare nei confronti di Mommsen e di Barthold Georg Niebuhr. Nello stesso anno visitò la Grecia e il resoconto – che tale viaggio renderà celebre – sarà pubblicato postumo a Heidelberg solo nel 1927 con il titolo Griechische Reise.
Nella relazione suddetta anticipa l’esame della trilogia eschilea Agamennone, Coefore ed Eumenidi che poi compiutamente elaborò nel Mutterrecht. Egli sostenne che tale trilogia dimostra che in Grecia vi è stato un momento in cui il potere era in mano alle donne. Nel 1861, a Stuttgart, pubblicò Das Mutterrecht. Una ricerca sulla ginecocrazia nel mondo antico, nella sua natura religiosa e giuridica. Portando numerosi esempi storici, fra i quali quello del popolo dei Lici, della società cretese, di Atene, dell’Egitto, di Locri Epizefirii, e molti altri ancora, Bachofen sosteneva che il matriarcato era una fase di evoluzione attraverso la quale l’umanità intera era passata, prima di arrivare alla società patriarcale. Bachofen identifica nell’intreccio tra diritto e religione il fondamento delle civiltà antiche nel suo complesso; tale fondamento sarebbe legato ad avvenimenti mitici raccontati in varie saghe (Bellerofonte, Teseo, Eracle). Bachofen insiste sulla differenziazione tra «ius naturale» e «ius civile». Il mito diventa quindi lo strumento di “autointerpretazione” dell’umanità antica, la quale si rispecchia nel mito stesso facendone emergere il significato cosmico-storico. Significativo il suo insistere su immagini di derivazione egiziana; lo scritto di Plutarco su Iside e Osiride ha grande importanza per comprendere il punto di vista teorico di Bachofen. Per lo sviluppo di queste tematiche e per comprendere anche in che rapporto Bachofen poneva le proprie idee sul mito nell’antichità con il romanticismo tedesco a lui contemporaneo è utile la lettura della raccolta di scritti curata da Giampiero Moretti Dal simbolo al mito. Nello stesso anno della pubblicazione della sua opera più importante compì un viaggio in Spagna.
Nel 1862, ne Il popolo licio, (Das lykische volk und seine Bedeutung für die Entwickling des Alterthuns) riprese le medesime tesi, argomentando i legami tra il “carattere nazionale” licio e il sistema matriarcale secondo il quale egli riteneva che questo popolo fosse organizzato.
Nel 1863 pubblicò a Basilea Der Baer in den Religionen des Alterthums (L’orso nelle religioni dell’antichità) e Die Grundlagen der Steuerverfassung des römischen Reichs (I fondamenti del sistema tributario dell’Impero romano). Un nuovo viaggio in Italia lo condusse a Bologna, Firenze, Roma e Napoli. L’anno successivo si recò invece a Parigi,
Morta la venerata madre ormai da nove anni, il 4 aprile 1865 si sposò con la ventenne Louise Elisabeth Burckhardt, di una delle famiglie più prestigiose di Basilea. Il viaggio di nozze non poteva che avere come meta l’amata Roma. La casa della coppia di coniugi diventò quella che era appartenuta ai nonni materni; fino ad allora Bachofen era vissuto nella casa paterna. Il 27 dicembre nacque l’unico figlio, Johann Jacob naturalmente, che morrà giovane, a soli trentotto anni nel 1904 per una malattia polmonare. Sposato, Bachofen rinunciò definitivamente a ogni impegno in tribunale e da quel momento si dedicò esclusivamente ai suoi studi.
Tali studi negli anni successivi si concentrarono sulla antica storia romana, per dare una risposta pubblica alla Storia romana di Mommsen, e proporre un modello di storia a questa metodologicamente alternativa. La distanza dal Mommsen si era fatta sempre più netta. In una lettera a Meyer-Ochsner si era così espresso: «Con Mommsen non ho niente da spartire. Per me, è il rappresentante tipico del pensiero odierno. Tutta la sua opera è piena di chiacchiere sul commercio e sui capitalisti, e sembra arrivare alla follia di ritenere che la grandezza di un popolo riposasse sul grado di perfezione delle sue teorie nazional-economiche». E poco oltre: «Mommsen e la storia romana è il mio compito… dedicherò un anno a questo tema».
Secondo Bachofen, Mommsen aveva trascurato l’importanza degli aspetti religiosi. La religione aveva invece per lui un ruolo fondamentale nelle dinamiche di trasformazione storica. D’altra parte la centralità di questi concetti li aveva già espressi nell’Introduzione al Diritto materno: «Più che mai, ho coscienza dell’abisso che separa la mia concezione dell’antichità dalle idee di moda e dalle ricerche storiche che vi si ispirano. Attribuire alla religione un’influenza preponderante nella vita dei popoli, assegnarle il primo posto fra le cause del loro sviluppo, cercare in essa la spiegazione dei lati più oscuri della mente antica, è cosa che rivela una predisposizione nefasta per le concezioni teocratiche; è cosa che tradisce senza alcun dubbio uno spirito incapace, imbevuto di grandi pregiudizi. Certo, una ricaduta nella più sorpassata superstizione non potrebbe essere peggio! Tutte queste accuse mi sono familiari, ma cionondimeno io persisto nelle mie convinzioni reazionarie… La potente, l’unica leva di ogni civilizzazione è la religione».
Non bastò un anno a Bachofen per definire organicamente la sua risposta a Mommsen. Dopo aver pubblicato nel 1867 a Basilea Die Unsterblichkeitslehre der orphischen Theologie auf den Grabdenkmälern des Alterthums (La dottrina dell’immortalità della teologia orfica nei documenti funerari dell’antichità), solo nel 1870, pubblicò ad Heidelberg Die Sage von Tanaquil, eine Untersuchung über den Orientalismus in Rom und Italien (La leggenda di Tanaquilla, ricerca sull’orientalismo a Roma e in Italia) nella quale ricostruisce la storia romana arcaica, riprendendo la tesi del matriarcato, inteso come momento necessario nello sviluppo della società: e, in questa prospettiva, la lettura dei miti romani stava secondo lui a dimostrare che anche a Roma era esistita una fase matriarcale, superata abbastanza rapidamente dal consolidarsi del principio patriarcale che proprio a Roma avrebbe conosciuto una compiuta realizzazione.
Sempre nel 1870 acquistò una nuova casa, situata, come tutte le sue abitazioni precedenti in prossimità del Duomo. Nella cosiddetta “St. Johanns-Kapelle” abiterà sino alla morte. La nuova abitazione gli consentirà di dare sistemazione all’immensa mole di materiale archeologico che aveva raccolto e dopo la sua morte la vedova lo trasformò in un vero e proprio museo. Tutto questo materiale della “collezione J.J. Bachofen” è conservato adesso nel Völkerkundemuseum di Basilea.
Nel 1876 morì il padre; nel 1878 acquistò, come residenza estiva, un piccolo castello tra i boschi a Gundeldingen, alla periferia di Basilea.
Tra il 1880 e il 1886 pubblicò a Strasburgo, in due volumi, Antiquarische Briefe Vornehmlich zur Kenntniss der ältesten Verwandschaftsbegriffe (Lettere archeologiche, principalmente per conoscere le più antiche nozioni di parentela).
L’isolamento culturale di Bachofen era tuttavia ormai profondissimo. Ma l’influenza delle sue teorie si sarebbe esplicitata su alcuni aspetti del marxismo, in particolare da Engels, che le utilizzò per dimostrare la transitorietà della famiglia e della società borghese. La sua ipotesi sul matriarcato avrebbe aperto, in tutti i campi della scienza sociale e dell’archeologia, un dibattito che, trascurato per molti anni è poi vivacemente ripreso. La sua intuizione dell’opposizione tra un “principio femminile” e un “principio maschile” si sarebbe rivelata un’idea guida nel campo delle ricerche della psicanalisi. Ma la scienza ufficiale a lui contemporanea lo ignorava totalmente. Il 25 novembre 1887 morì, a Basilea, in completa solitudine per un colpo apoplettico. La notizia della sua morte destò così poco interesse nel mondo della cultura, che lo storico della chiesa Overbeck ne diede notizia a F. Nietzsche con queste parole: “Circa un mese fa, è morto improvvisamente il vecchio Bachofen. Pare che dei quindici milioni verosimilmente lasciati, non abbia dato neanche un soldo all’Università”. A cura della vedova e del figlio venne pubblicato postumo, nel 1890 il suo scritto Römische Grablampen (Lucerne funerarie romane).
Bachofen riconobbe nel 1871 l’importanza che aveva avuto nei suoi studi il lavoro, compiuto dieci anni prima del suo Mutterecht, di Lewis H. Morgan il quale, attraverso un’analisi sinottica dei sistemi parentali in America e in Asia, aveva dedotto l’esistenza di una società fondata sul “diritto della madre” diffusa in tutto il mondo nella fase pre-patriarcale. La sistemazione di queste argomentazioni era stata pubblicata in due volumi: The league of the Ho-dé-no-sau-nee or Iroquois.
Le opere di Morgan e Bachofen costituivano quindi un primo riconoscimento di un ordine matristico affermato e stabile prima delle forme storicizzate nella vita, in Europa e nel vicino Oriente per Bachofen, e come detto, in America e Asia per Morgan. Si dovette attendere quasi un secolo perché il lavoro di Bachofen fosse riscoperto e rivestito da nuove interpretazioni soprattutto dal lavoro archeologico iconografico della lituana Marija Gimbutas. Tale lavoro ha aperto la strada per superare il blocco, creatosi col lavoro di Bachofen, di una contrapposizione semplice e dualistica tra matriarcato e patriarcato, scaturito dalla confusione tra società matrilineari e matriarcato. Bachofen, come poi Bebel, hanno ben percepito il grave danno arrecato all’umanità dal dominio dei maschi sui beni della terra, ma non è stato in grado di distinguerlo dalla tappa successiva: per giungere al patriarcato, schema universale della società umana con qualche rara eccezione, ci sono certamente tappe intermedie e non certo un «grande capovolgimento», come dice Walfgang Lederer o la «grande sconfitta» delle donne per citare Bebel. Per quanto concerne l’Italia da segnalare in questo ambito di studi l’opera di Momolina Marconi, i cui scritti sono stati riproposti di recente nel volume Da Circe a Morgana.
Fonti:
- A. Cesana, Johann Jakob Bachofens Geschichtsdeutung: Eine Untersuchung ihrer geschichtsphilosophischen Voraussetzungen. Stuttgart, 1983.
- E. Cantarella, Introduzione a J.J. Bachofen, Il potere femminile. Sesto san Giovanni MI, 2021.
- P. Davies, Myth, Matriarchy and Modernity: Johann Jakob Bachofen in German Culture. Göttingen, 2010.
- E.Fromm, Bachofens Entdeckung des Mutterrechts Bachofen’s Discovery of the Mother Right. München, 2015.
- G. Schiavoni, Cronologia della vita e delle opere di J.J. Bachofen, in Il Matriarcato: ricerca sulla ginecocrazia del mondo antico nei suoi aspetti religiosi e giuridici. Torino, 1988.
Note biografiche a cura di Paolo Alberti
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- Il popolo licio
In questo lavoro l'autore riprende e sviluppa la tesi già sostenuta nel Mutterrecht. la sua opera più nota. Egli mette in rilievo la relazione tra il sistema matriarcale, visto come una tappa nell’evoluzione dell’umanità, e le caratteristiche del popolo licio che egli riteneva avesse costruito la propria organizzazione secondo questo sistema.