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Dall’incipit del libro:
In un viottolo poco lungi dalla Piazza Castello in Milano avvi una casaccia coi muri qua e là screpolati e puntellati, una casaccia umida, o scura, immonda e dotata di tutte le qualità necessarie per destare ribrezzo in chiunque non abbia i sensi ottusi e grossolani affatto. Questa schifosa e pericolosa catapecchia è abitata da dieci o dodici inquilini, tutta gente miserabile, che sta in armonia col luogo, gente cenciosa, di cattivo odore e di sinistro o malaticcio aspetto. Pare impossibile che vi sia un uomo abbastanza sfrontato da confessarsi proprietario di un tale ammasso di pietre guaste, di legnami tarlati e di ferramenta corrose dalla ruggine. Si crederebbe che questo lurido albergo fosse per vergogna abbandonato in perpetuo a chi ha il coraggio di abitarlo. Ma non facciamo paradossi, nè strane osservazioni a danno della verità. Non vi è cosa materiale al mondo, e sia pur vile e spregevole, purchè utile, la quale non appartenga ad un padrone, sempre pronto con tutte le sue forze a difenderla dalle usurpazioni, e far valere i suoi diritti di proprietà. Anche la casa in proposito ha dunque un padrone, il quale è visibile alle scadenze per riscuotere il danaro degli affitti, danaro scaturito in complesso da tre fonti, vale a dire dal lavoro, dall’elemosina e dal delitto. Al padrone non importa un cavolo di queste provenienze: egli bada soltanto se le monete sono di buona lega e di giusto valore.


