Peleo Bacci nacque a San Marcello Pistoiese, nella provincia di Pistoia, il 17 maggio 1869. Compì gli studi di legge, laureandosi presso l’Università di Siena nel 1893 con una tesi sull’influenza del De Monarchia di Dante sul diritto pubblico italiano. I suoi interessi spaziavano infatti ben al di là dell’ambito rigidamente tecnico del diritto, e già durante gli anni universitari si era appassionato agli studi storici e alla storia dell’arte, svolgendo ricerche nel campo e pubblicando dei saggi. In quegli stessi anni aveva dato inoltre prova della sua inclinazione poetica con una raccolta di versi, intitolata Flatus vocis, che aveva dato alle stampe nel 1894, dimostrando «vere attitudini all’arte», come ebbe a scrivere Giovanni Marradi nella Prefazione all’opera.
Nel 1897 prese parte alla spedizione filo-ellenica di Ricciotti Garibaldi durante la guerra d’indipendenza greca, partecipando alla battaglia di Domokós in Tessaglia (17-18 maggio 1897). In seguito accompagnò il governatore Ferdinando Martini in Eritrea, dove svolse le funzioni di segretario particolare, per poi diventare ufficiale coloniale del commissariato di Cheren. Durante questa sua esperienza politico-amministrativa, durata fino al 1903, Bacci ebbe modo di entrare in contatto con pressoché tutti i funzionari, civili e militari, dell’amministrazione coloniale. Le impressioni, le opinioni, gli aneddoti e la galleria di personaggi che animano la sua fitta corrispondenza epistolare di questo periodo ci restituiscono un interessante spaccato della realtà coloniale italiana di fine Ottocento e inizio Novecento. Durante la sua permanenza in Eritrea, Bacci ebbe inoltre un frequente scambio epistolare con Carlo Conti Rossini (1872-1949), noto orientalista, divenendone corrispondente privilegiato.
Ritornato in patria, fece ingresso nell’amministrazione delle Belle Arti con la nomina di ispettore straordinario alle Gallerie, mentre nel 1907 entrò nel Ministero della Pubblica Istruzione quale ispettore destinato alle Gallerie di Firenze. Nel 1910 fu nominato reggente della Soprintendenza ai Monumenti di Pisa; con questo ufficio promosse gli imponenti restauri della basilica di San Piero a Grado. Infine, dal 1923 al 1941, ricoprì l’incarico di soprintendente ai Monumenti, Gallerie e Scavi archeologici a Siena, dove si occupò di lavori di grande rilevanza come il restauro dell’abbazia di San Galgano (1924) e della cattedrale di Pienza (1932). Contribuì anche alla complessa ricostruzione del pergamo di Giovanni Pisano nel Duomo di Pisa, oltre a occuparsi del restauro di numerosi edifici sacri della campagna senese.
I suoi lavori furono sempre accompagnati da una costante e fruttuosa attività di studioso, coniugando l’analisi iconografica e stilistica con un’infaticabile e paziente ricerca condotta in archivi e biblioteche. Le sue approfondite conoscenze paleografiche e storiche, unite al suo spirito acuto, gli permisero di raccogliere notizie inedite sulla storia dell’arte senese, e in particolare sulla scultura pisano-senese del Quattrocento. A lui si deve un importante studio critico su Jacopo della Quercia (Jacopo della Quercia. Nuovi documenti e commenti, Siena 1929) e la pubblicazione di diverse notizie storico-artistiche su Giovanni Pisano, nonché la riscoperta di due scultori di grande levatura come Domenico di Niccolò (Fonti e commenti per la storia dell’arte senese, Siena 1944) e Franceso di Valdambrino (Francesco di Valdambrino emulo del Ghiberti e collaboratore di Jacopo della Quercia, Firenze 1936). Nel corso delle sue vastissime ricerche, Bacci contribuì inoltre a far luce sulle vicende biografiche di numerosi pittori toscani, quali Giunta Pisano, Coppo di Marcovaldo, Francesco Traini, Benozzo Gozzoli, ed altri. Pubblicò molti dei suoi lavori in “Rivista d’arte”, periodico edito dalla casa editrice Leo S. Olschki. Fu anche membro dell’Accademia senese degli Intronati, presiedendone a lungo la Sezione d’arte.
Nel corso della sua lunga e proficua carriera, ricevette diversi attestati e riconoscimenti per la sua attività, tra cui la Medaglia d’Argento dei Benemeriti della Scienza nel 1906, ottenuta grazie al copioso materiale documentario e di oggettistica esotica donato al Museo Etnografico di Firenze; il Cavalierato dell’Ordine della Corona d’Italia, sempre nel 1906; la Commenda dell’Ordine Cavalleresco della Quercia del Lussemburgo, nel 1921.
Di ingegno acuto e profonda cultura, Bacci viene ricordato da Giovanni Cecchini come un uomo di «carattere vivace, spirito polemico, entusiasmi generosi». La sua attitudine alla generosità è testimoniata da un episodio in cui il parroco di Camaldoli gli aveva espresso, in una sua lettera del 1934, il desiderio di costruire una cancellata di ferro nella gradinata della sua chiesa, ma che la sua mancanza di mezzi non gli permetteva di realizzare: Bacci, come risposta, gli donò subito 140 lire.
Morì a Siena il 10 febbraio 1950, a un giorno di distanza dalla morte della moglie. Buona parte delle sue carte e dei suoi libri andarono alla Biblioteca Comunale degli Intronati, dove sono tutt’ora conservati; il carteggio e le fotografie del periodo africano, insieme a una metà della sua biblioteca personale, si trovano invece presso la Biblioteca Forteguerriana di Pistoia, mentre alcuni suoi appunti e un buon numero di schede sono custoditi nell’Archivio Generale della Soprintendenza Archeologica, Belle Arti e Paesaggio di Pisa.
Le ricerche di Peleo Bacci dettero un contributo importante alla storia dell’arte toscana, avendo egli lasciato numerosissimi scritti, saggi e note di storiografia artistica, eppure le sue pubblicazioni furono accolte dal «silenzio quasi generale da parte dei critici», come riporta Giovanni Cecchini nel necrologio dedicatogli. I monumenti da lui curati testimoniano però il valore della sua opera e ancora oggi è possibile trovare tracce della sua attività, come la lapide all’interno della pieve dei Santi Vito e Modesto di Corsignano, vicino a Pienza, che così lo ricorda: «sollertia, ingenioque Pelei Bacci opus dirigentis arte», «l’opera di Peleo Bacci dirigente dei lavori con solerzia e ingegno».
Notizie sull’archivio personale di Peleo Bacci si trovano in SIUSA: https://siusa.archivi.beniculturali.it/
Fonti:
- C. B., Necrologio, in “Bollettino d’Arte”, vol. 35, n. 1 (1950), pp. 52-53.
- G. Cecchini, Necrologio, in “Bullettino senese di storia patria”, 57 (1950), pp. 222-228.
- G. Dore, Carlo Conti Rossini in Eritrea tra ricerca scientifica e prassi coloniale (1899–1903), in Linguistic, Oriental and Ethiopian Studies in Memory of Paolo Marrassini, a cura di A. Bausi, A. Gori e G. Lusini. Wiesbaden, 2014, pp. 221-242.
- F. Guazzini, Frammenti di realtà coloniale nell’epistolario eritreo di Peleo Bacci, in “Studi piacentini”, vol. 28, n. 2 (2000), pp. 97-144.
- P. Ircani Menichini, Il generoso soprintendente. Péleo Bacci cultore di storia e arte in Toscana, in “Reality Magazine”, n. 97, settembre 2020, pp. 36-37.
- M. C. Pavan Taddei, Bacci, Peleo – Dizionario Biografico degli Italiani – Vol. 5 (1963), p. 37.
- F. Torchio, Pèleo Bacci, in “Dizionario biografico dei soprintendenti storici dell’arte (1904-1974)”, Bononia University Press, Bologna 2007, pp. 47-53.
Note biografiche a cura di Sofia Fagiolo
Elenco opere (click sul titolo per il download gratuito)
- Flatus vocis...
Versi
L'opera è una raccolta di versi di Peleo Bacci pubblicata nel 1894: poesie brevi, spontanee, che racchiudono temi semplici ma al tempo stesso profondi attraverso un mondo di paesaggi rurali e atmosfere suggestive soffuse da una profonda malinconia.