Anton Pavlovič Čehov«Volete la mia autobiografia? Eccola:
Io sono nato a Taganròg nel 1860 (17 di gennaio). Nel 1878 finii i miei corsi al ginnasio di Taganròg. Nel 1884 terminai il mio corso all’Università di Mosca nella facoltà di medicina. Nel 1888 ricevetti il premio Puškiniano. Nel 1895 feci un viaggio a Sahalìn, tornando per mare. Nel 1891 feci una tournée in Europa, dove bevvi del buonissimo vino e mangiai delle ostriche. Nel 1892 mi divertii per l’onomastico di V. H. Tìhonov. Cominciai a scrivere nel 1879 sulla “Libellula”. Le raccolte delle mie opere sono le seguenti: “Nel crepuscolo”, “Gente imbronciata”, e il racconto “Il duello”. Ho peccato anche nel genere drammatico, benché moderatamente. Sono tradotto in tutte le lingue, eccetto quelle straniere. Però già da molto tempo sono stato tradotto dai Tedeschi. I Cechi e i Serbi anch’essi mi approvano, ed i Francesi non sono estranei all’approvazione. I misteri dell’amore li conobbi a 13 anni. Con i compagni, tanto letterati che medici, mi trovo in ottimi rapporti. Di medicina mi occupo a tal punto che, durante l’estate, eseguo talvolta le autopsie che non ho più fatto da due tre anni. Tra gli scrittori preferisco Tolstoj e tra i medici Zahárin. Del resto tutte queste sono sciocchezze. Se mancano i dati, sostituiteli con il lirismo».

Da una lettera a Vladimir Tìhonov, Mosca, 22 febbraio 1892

Così Anton Pavlovič Čehov (Anton Čechov) ironicamente sintetizza, su richiesta di Tìhonov, la propria esistenza, omettendo curiosamente ogni riferimento alla vita privata ad eccezione della nascita a Tanganròg, un porto sul mar d’Azov, e del percorso scolastico. Il motivo della rimozione emerge da un’altra sua lettera, inviata a Leont’ev-Ščeglov il 9 marzo 1892, in cui scrive che, picchiato come i fratelli dal padre fin da quando aveva cinque anni, e da lui costretto a seguire i dettami della sua rigida religiosità, per reazione era uscito dall’infanzia, definita «un’autentica sofferenza», senza «alcun sentimento religioso». Il nonno paterno era un servo della gleba, riuscito finalmente, nel 1841, a riscattare se stesso e tutta la sua famiglia, il padre un uomo autoritario e violento che maltrattava anche la moglie, donna affettuosa con i sei figli ma debole e sottomessa al marito. «Per me non esiste nulla di più caro di mia madre in questo mondo pieno di cattiveria», scrive Čehov, sottolineando in questo modo l’intenso legame affettivo che lo univa a lei così come alla sorella Marija, destinata a restargli vicina fino alla morte.

Nonostante le ristrettezze familiari, Čehov frequentò dapprima una scuola greca, poi il liceo russo di Tanganròg, con risultati poco brillanti a causa sia della necessità di aiutare il padre nella sua drogheria che dell’inadeguatezza di insegnanti da lui definiti “miserabili funzionari“. Unici svaghi, i viaggi per raggiungere il nonno paterno in campagna, a Kniajaja, nel Donec attraversando quella pianura che sarebbe poi stata lo scenario del racconto La steppa, e la passione per il teatro, che fin da piccolo aveva manifestato organizzando in casa piccoli spettacoli con i fratelli. Nel 1876 il fallimento della drogheria causò la disgregazione della famiglia: i figli maggiori si allontanarono dalle violenze del padre, e questi fuggì con la moglie e i più piccoli a Mosca, lasciando Anton e Ivan a Taganròg per terminare il liceo. Nel 1879, Čehov ottenne con successo il sospirato diploma, tanto da meritare una borsa di studio che gli consentì di iscriversi alla facoltà di medicina di Mosca e di venire in aiuto alla famiglia ridotta in miseria.

Fin dal periodo studentesco collaborò con diverse riviste, inviando oltre a brevi testi teatrali (atti unici) e recensioni di spettacoli, racconti e bozzetti umoristici, poi raccolti in due volumi, Favole di Melpomene, del 1884, e Racconti variopinti, del 1886, pubblicati sotto lo pseudonimo di Antoša Čechonté (dal soprannome attribuitogli a scuola dall’insegnante di religione), usato perché si vergognava di quei testi, scritti su commissione solo per mantenersi agli studi e provvedere alla famiglia. Si laureò in medicina nel 1884 ed iniziò a lavorare dapprima nell’ospedale del villaggio di Čikino, poi in un ambulatorio proprio, in casa, conquistando per sé e per la sua famiglia la sospirata agiatezza. Inizialmente, di giorno curava i pazienti (da uno di essi forse contrasse nel 1884 la tubercolosi che doveva portarlo alla morte a soli 44 anni) e di notte scriveva; in seguito, grazie al successo ottenuto come scrittore, decise di votarsi alla letteratura (scriverà più di 600 racconti e numerosi drammi), relegando ad un ruolo marginale l’attività di medico, che pur lo appassionava («La medicina è la mia moglie legittima, la letteratura è la mia amante») e alla quale tornò a dedicarsi durante l’epidemia di colera del 1892.

A partire dal 1886 abbandonò i bozzetti umoristici per dedicarsi a racconti più lunghi. Ricordando i viaggi a Kniajaja e quello in Ucraina del 1877, e soprattutto quel paesaggio che tanto l’aveva affascinato, nel 1888 scrisse La steppa; seguirono poi nel 1889 Una storia noiosa e nel 1890 L’isola di Sachalin, un’inchiesta, realizzata grazie ad una permanenza di quasi tre mesi nel lager dell’isola e a numerose interviste ai detenuti, sulla tragica condizione di questi e delle loro famiglie, che portò all’eliminazione delle pene corporali.

Nel 1891, dopo un viaggio in Europa, andò a vivere con tutta la famiglia in una tenuta di campagna a Melichovo, ma nel 1897, in seguito ad un ricovero causato dall’aggravarsi della sua malattia, dovette trasferirsi dapprima a Biarritz, poi a Nizza e infine a Yalta, dove si fece costruire una villa per stabilirvisi con la madre e la sorella. Nel frattempo, nel 1892 aveva pubblicato Il reparto n. 6, nel 1893 Il racconto di uno sconosciuto, nel 1894 Il monaco nero, nel 1896 La mia vita e nel 1897 Contadini. Iniziò anche a scrivere commedie più lunghe come Il Gabbiano che, rappresentato a Pietroburgo il 17 ottobre 1896, fu accolto dai fischi del pubblico, tanto da spingere l’autore a fuggire dal teatro e da farlo dubitare delle proprie doti di drammaturgo. Due anni dopo, però, proprio con Il gabbiano iniziò il suo sodalizio lungo e fortunato, anche se non privo di contrasti, con il Teatro d’Arte di Mosca, fondato nel 1897 da Stanislavskij e Nemirovič-Dančenko; lo spettacolo stavolta ottenne il favore del pubblico e della critica. Čehov scrisse poi Lo zio Vanja (1899), che ebbe subito successo grazie anche all’interpretazione del personaggio di Elena da parte di Andreevna Ol’ga Leonardovna Knipper, la giovane attrice di cui l’autore si innamorò, contraccambiato. Dopo una relazione iniziata nel 1900, nonostante la scarsa propensione al matrimonio e la salute sempre più precaria Čehov decise di sposare Ol’ga, seppure a determinate condizioni, come testimonia questa lettera che le scrisse nell’aprile 1901:

«Cara Olguccia!
Io arriverò i primi giorni di maggio. Non appena ricevi il telegramma, va’ subito all’albergo «Dresden» e informati se è libera la stanza n. 45 cioè, in altre parole, fissa una qualsiasi stanzuccia a buon mercato…
Se mi dai parola che non ci sarà a Mosca anima viva che sappia del nostro matrimonio, finché non avrà avuto luogo, allora ti sposo il giorno stesso del mio arrivo. Non so perché, ho una paura terribile degli sposalizi, delle congratulazioni, dello champagne che bisogna tenere in mano e nello stesso tempo sorridere con aria vaga. Dalla chiesa vorrei andare non a casa, ma partire direttamente per Zvenigorod. Oppure sposarci a Zvenigorod. Pensaci, pensaci, tesoro! Sei ben una donna giudiziosa tu, dicono.
A Yalta il tempo è piuttosto lurido. Vento furioso. Le rose fioriscono, ma poco; ma più in là avranno una ricca fioritura. I giaggioli sono splendidi.
Ho tutto in ordine, tutto, all’infuori d’una sciocchezzuola: la salute…»

Nel rispetto di questi suoi desideri, si sposarono a Mosca il 25 maggio 1901, all’insaputa della famiglia di Čehov, che se ne risentì, e in presenza dei soli testimoni, e subito partirono per il viaggio di nozze in un battello sul Volga. Andarono poi a vivere a Yalta, nella casa di Čehov, ma dopo qualche mese i dissidi con suocera e cognata e il richiamo del teatro spinsero Olga a ritornare a Mosca, al Teatro d’Arte, dove recitò ne Le tre sorelle mentre lui inseguiva un’improbabile guarigione a Yalta, Biarritz, Nizza e infine a Badenweiler, nella Foresta Nera, in una clinica specializzata nella cura delle malattie polmonari. Il loro fu quindi un matrimonio a distanza, come testimonia una delle numerosissime lettere di Čehov (in sei anni lui ne scrisse 412, lei quasi altrettante): «Se non siamo insieme adesso, non è colpa mia né tua, ma di quel diavolo che ha insinuato un bacillo in me ed in te, l’amore per il teatro».

A Badenweiler, contrariamente alle aspettative, le sue condizioni rapidamente peggiorarono e nella notte tra il 14 e il 15 luglio 1904 Anton Čehov morì, dopo aver chiesto alla moglie un’altra coppa di champagne ed averlo lentamente sorseggiato. Le sue ultime parole, più di un secolo dopo, daranno il titolo allo spettacolo del Teatro dell’Elfo È tanto che non bevo champagne, una ricostruzione del legame fra Anton ed Ol’ga basata sulla loro corrispondenza.

Fonti

Note biografiche a cura di Mariella Laurenti

Elenco opere (click sul titolo per il download gratuito)

  • La steppa
    Racconti
    Questa raccolta di tre racconti di Čechov si apre con forse il più noto di essi: La steppa, un affresco straordinario dei luoghi più amati dall’autore e insieme dell'umanità di ogni classe sociale che popola quei grandi sconfinati spazi. Completano la raccolta Una storia noiosa e Mia moglie.
 
autore:
Anton Pavlovič Čehov
ordinamento:
Čehov, Anton Pavlovič
elenco:
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