Benedetto Croce scrisse l’ampio saggio La storia come pensiero e come azione per Laterza nel 1938, saggio ripubblicato più volte anche nel dopoguerra. Il testo che qui viene proposto in formato digitale apparve invece un anno prima – nel primo numero del 1937 della rivista “La Critica. Rivista di Letteratura, Storia e Filosofia diretta da B. Croce” – e corrisponde a dodici capitoli, nella rivista indicati come un’introduzione al volume che sarebbe stato pubblicato nel 1938. Il volume ha infatti lo stesso titolo di questo breve saggio, e consta di altri cinque saggi oltre a questo, che è il primo; i titoli di questi cinque ulteriori saggi sono: Lo storicismo e la sua storia; La certezza e la verità storica; Storiografia e politica; Storiografia e morale; Prospettive storiografiche. Diversi temi di questa prima parte sono quindi ripresi ed ampliati nel volume del 1938, ma non si può pensare che questo saggio, scritto con già in mente la sua collocazione nell’opera completa, ne sia un “riassunto”.
La domanda alla base di questo breve saggio è: se la storia è conoscenza, cosa spinge una teoria ad attuarsi in pratica? Domanda particolarmente attuale negli anni Trenta, in cui si contrappongono i fautori dell’assolutismo morale, che prescinde e sta al di sopra della storia, contro chi “legge” nella storia la morale che si invera.
E così la “bontà” di un libro di storia non sta nella qualità letteraria del suo stile, non è un romanzo! E neppure nell’abbondanza delle notizie riportate, non è cronaca! E non deve importarci se il lettore si annoia o si commuove, il libro di storia non è poesia e neppure satira o retorica. Quello che ci fa valutare un libro di storia come tale è la sua “storicità”, intesa come un atto di comprensione, che tenda a risolvere un bisogno di vita pratica attraverso una azione. Questa azione è concreta solo quando diventa chiaro il problema teorico da risolvere. I “bisogni di vita pratica” possono avere natura economica, natura morale (cioè: comprendere se una certa azione sarà buona) o altra natura; la storia di tutti i tempi e di tutti i popoli viene scritta quando la situazione di partenza è chiarita, e si deve risolvere un nuovo bisogno.
Leggere un libro di storia può essere motivato da erudizione o da piacere emotivo, ma dalla lettura del libro, ci aspettiamo anche di capire come, nella storia passata, sia stato risolto quel bisogno che oggi ci affligge, e come collegarlo al nostro presente nella ricerca della soluzione attuale.
Questa dialettica tra passato e presente è particolarmente viva nei periodi di mancanza di libertà (come appunto erano gli anni Trenta in Italia), che si alternano “naturalmente” a quelli in cui la libertà è maggiore. Molta libertà fa pensare agli uomini che essa sia una abitudine scontata, e quindi non si attivano per difenderla, dando così luogo a un periodo in cui la libertà diminuisce.
Per Croce, ciò si riassume nella frase, posta a conclusione del breve saggio che compare in questa edizione Liber Liber:
«Chi desideri in modo rapido persuadersi che la libertà non può vivere diversamente da come è vissuta e vivrà sempre nella storia, di vita pericolosa e combattente, pensi per qualche istante a un mondo di libertà senza contrasti, senza minacce e senza oppressioni di nessuna sorta; e subito se ne ritrarrà inorridito come dall’immagine, peggio che della morte, della noia infinita.»
Sinossi a cura di Gabriella Dodero
Dall’incipit del breve saggio:
La critica dei libri di storia va incontro alle medesime o alle analoghe difficoltà della critica dei libri di poesia. Taluni addirittura non sanno, dinanzi a quelli come a questi, da qual parte debbano prenderli e non riescono ad afferrarne il filo che li congiunga alle loro menti; altri li assaltano con criteri estranei ed arbitrari, molteplici, eclettici e sconcordanti; e solamente i pochi ne giudicano rettamente con l’unico criterio che è quello conforme alla loro natura. In Italia, negli ultimi anni, questi pochi sono, senza dubbio, cresciuti di numero; ma, quando io torno con la memoria sugli anni della mia giovinezza, tra l’ottanta e il novecento, mi pare che allora una critica e storia della storiografia esistesse anche meno di una critica e storia della poesia.

