Opera pubblicata nel 1869. Si tratta di una raccolta di storie che alternano eventi storici a vicende di vita quotidiana, con l’obiettivo di fornire sia intrattenimento che insegnamenti morali.
L’opera presenta una varietà di storie ambientate in diverse epoche, raccontando eventi e personaggi storici di rilievo, ma anche figure comuni. I racconti sono arricchiti da elementi morali, spesso con l’intento di trasmettere lezioni di vita, valori e comportamenti virtuosi. Il linguaggio è accessibile, tipico dell’epoca in cui l’opera è stata scritta, e mira a rendere la storia e la morale comprensibili a un vasto pubblico.
Cantù esplora le azioni di figure storiche importanti, offrendo spunti di riflessione sulle loro scelte e sul loro impatto sulla società . L’opera mostra anche come la storia si riflette nella vita di persone comuni, evidenziando il loro ruolo nella società e le loro esperienze. I racconti morali mettono in luce l’importanza di valori come l’onestà , la lealtà , il coraggio e la perseveranza.
In sintesi, Racconti Storici e Morali è un’opera che combina l’interesse per la storia con l’intento educativo, offrendo ai lettori storie avvincenti e insegnamenti preziosi per la vita.
Il testo è tratto da una copia in formato immagine presente sul sito The Internet Archive (http://www.archive.org/). Realizzato in collaborazione con il Project Gutenberg (http://www.gutenberg.org/) tramite Distributed Proofreaders (http://www.pgdp.net/).
Dall’incipit del libro:
Alli 6 ottobre anno 1806 compivo i trentanove anni, e abitavo in una cameretta da studente a Berlino.
Quando mi svegliai, le campane sonavano della bella, che era domenica: e un sudor freddo mi corse tra pelle e pelle al riflettere che, fra un anno, questo sarebbe il mio quarantesimo giorno natalizio. – Il quarantesimo!
A diciannove anni un giovane sospira il ventesimo, perchè fino a quello non gli pare di trovarsi a livello del mondo: a ventinove comincia a far il viso dell’armi al trentesimo anniversario che si avvicina: le illusioni della vita sono ite in dileguo.
Ma il quarantesimo!… Ah, quarant’anni, e ancora senza impiego, senza uno stato!
Era il mio caso nè più nè meno, eppure non era colpa mia.
Risolsi dunque tra me e me, finchè durassi nell’ordine de’ celibatarj, di non aver mai più di trentanove, nè meno di trentott’anni. Presa questa disperata deliberazione, mi alzai, e mi posi a dosso gli abiti da festa: ma l’anima era colma d’amaritudine…
Roba di chiodi! Fra poco quarant’anni sulle spalle, e ancora solo, e niente più che un povero candidatus theologiæ senza posto, senza avvenire! Neppure un impieghetto di professorello in città avevo potuto buscare; a che dunque tutto il mio sapere, l’instancabile zelo mio, la mia vita esemplare?




