Questo terzo volume – capitoli da XXXI a XLII – è dedicato in particolare al periodo della Roma imperiale. Nell’analizzare le principali figure e i fatti salienti, l’Autore scrive della prosperità materiale ma anche della depravazione morale, di economia pubblica e privata, di letteratura, arti e architettura.
Dall’incipit del libro:
Un’altra fortuna ebbe Augusto, che al suo corrispondesse il secolo d’oro della letteratura latina, talchè il nome di lui, non solo si associò all’immortalità di quegli scrittori, ma rimase come appellativo de’ protettori del bel sapere.
Ne’ primordj, Roma s’occupò a difendersi e trionfare, non ad ingentilire gl’intelletti. Sol quando penetrò nella Grecia italica, poi nella Grecia propria, conobbe una coltura più raffinata, e la introdusse coi prigionieri e coi vinti, i quali allogaronsi come maestri o clienti nelle principali famiglie; e tal ne prese vaghezza che dimenticò i modi nazionali per tenersi affatto sulle orme greche. Quand’anche non fosse natura degl’Italiani, sappiamo per iscritto che il popolo nostro dilettavasi grandemente di canzoni nelle varie fasi della vita; specialmente alle vendemmie, e quando la riposta messe lusingava terminate le fatiche, e alle solennità della rustica Pale i prischi agricoli, forti e contenti di poco, coi figli, colla fedele consorte e coi compagni di lavoro esilaravano l’anima e il corpo nel suono e nel ballo1; e la gioja bacchica esultava in canti e gesticolazioni, e forse anche dialoghi, di versi regolati dall’orecchio e misurati dalla battuta del piede.
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