Primogenito di quindici figli, Francesco Cusani Confalonieri (questa la sua completa identità onomastica) nacque a Milano nel 1802 da Carlo e Bianca Visconti, nel ramo collaterale di una delle più antiche casate aristocratiche milanesi, imparentato con Pietro Verri in linea materna. Ma nel capoluogo lombardo rimase solo quattro anni, perché nel 1806 i Cusani si trasferirono nel loro palazzo alla periferia di Carate Brianza, che per la salubrità dell’aria brianzola si riteneva più adatto per allevare una figliolanza che presto sarebbe diventata numerosissima; alla base della decisione fu però determinante la volontà paterna di convertire alla gelsibachicoltura e all’industria serica gli attigui possedimenti terrieri, nel tentativo (che alla lunga si sarebbe rivelato vano) di risollevare le fortune familiari, da tempo fattesi precarie.

Pur lontana dal capoluogo, e nonostante le continue gravidanze, la cura degli affari di casa e la conduzione dell’azienda accanto al marito, Bianca Visconti, donna colta, energica e volitiva, riuscì a formare e vivacizzare un “salotto di conversazione” che accoglieva il meglio dell’intelligenza locale aperta alle problematiche di un progressismo moderato, e nel quale non mancarono di convenire importanti personalità di passaggio; tuttavia un notevole salto qualitativo il cenacolo lo fece quando anche Gian Domenico Romagnosi si diede a frequentarlo con una certa regolarità durante i suoi periodici soggiorni a Carate per motivi di salute. Il sentimento patriottico e gli orientamenti liberali nell’atmosfera di impegno civile che animavano quei ritrovi non tardarono a plasmare l’indole del giovane Francesco, che, avviato agli studi dapprima nel rinomato collegio di Gorla Minore tenuto dagli Oblati e poi nel liceo S. Alessandro di Milano, si dimostrò un allievo brillante soprattutto nelle materie umanistiche.

L’incontro col Romagnosi, avvenuto nel 1823 e forse nel salotto materno, segnò per lui una svolta fondamentale, e gli anni universitari trascorsi a Pavia come studente di giurisprudenza gli diedero l’opportunità di riflettere sulle incipienti tematiche risorgimentali attraverso gli scritti dei suoi primi protagonisti (in particolare il Berchet), e di esaminare i casi italiani alla luce della comunicazione culturale in chiave europea. Le assidue meditazioni assieme alle discussioni di filosofia politica col Romagnosi lo portarono a concepire e a elaborare nel corso degli anni un suo personale concetto di “nazione” impostato sulle consequenzialità di due princìpi dottrinali apparentemente ambivalenti: quello di stampo romantico e liberale (ogni consorzio umano che abbia assunto una fisionomia statuale unitaria aspira alla propria indipendenza), e quello di matrice illuminista (l’indipendenza si perfeziona nell’orbita cosmopolita di un continuo incivilimento collettivo, e in uno spirito di pacifica e universale fratellanza).

La scarsa attitudine a proseguire nella carriera forense dopo la laurea e le esigenze economiche lo indussero a dedicarsi all’attività di traduttore. Benché mal remunerata, era un’occupazione non disprezzabile per chi ambiva a segnalarsi nel mondo culturale: se accortamente gestita, infatti, poteva garantirgli una certa visibilità nei rapporti con gli stampatori, e la non remota prospettiva di farsi un nome nell’imprenditoria libraria. Così si comportò anche il Cusani, esordendo tra il 1828 e il 1829 con la traduzione di due opere di Walter Scott commissionategli dall’editore Crespi: il poema in sei canti Il lord delle Isole e il romanzo Ivanhoe, le cui trame gli apparvero in congeniale sintonia con le sue teorie sulla nascita e il divenire delle compagini nazionali. Grazie alla fedeltà della versione, alla puntualità delle note storiche e critiche, e alla confezione editoriale (in Italia quella di Ivanhoe fu tra le prime edizioni illustrate del romanzo), i due volumi ottennero un buon gradimento, e del Lord delle Isole se ne fece una seconda edizione già nel corso del 1829, incoraggiando il Cusani a tradurre altri titoli del medesimo autore.

Il solo lavoro di traduttore comunque non bastava a fargli campare la vita, sicché tra il 1831 e il 1832 cominciò a collaborare col quasi coetaneo Lodovico Hartmann, per realizzare una rivista dedicata ai giovani fra i dodici e i sedici anni. I due si rivolsero a Giovanni Pirotta, un intraprendente e ben affermato tipografo-editore milanese che volle dar corpo al progetto, sebbene a Milano si contassero ormai diverse iniziative simili. All’insegna di un “istruire dilettando” di ispirazione illuminista, nacque in tal modo il settimanale “Miscellanea pei fanciulli”, che si distinse dagli altri periodici per concedere minor spazio alla letteratura e alla morale rispetto a un sapere più composito e consono a forgiare, fin dall’adolescenza, quello spirito progressista sensibile all’apprendimento delle virtù patrie che il Cusani giudicava indispensabile nella formazione della classe dirigente. Opera coraggiosa e pionieristica nella storia della letteratura giovanile, ancorché di durata effimera la “Miscellanea” riscosse molti plausi e fece emergere il Cusani nell’editoria lombarda, ma soltanto il 1835 avrebbe determinato il suo vero cambiamento esistenziale.

L’anno prima era morto il Pirotta, lasciando un’azienda in ottima salute, frutto di una oculata amministrazione e di quasi un quarto di secolo di esperienze fra i libri. Assieme all’amico Hartmann il trentatreenne Cusani tentò allora il gran passo di rilevare la ditta, riorganizzandola su base societaria e diventandone il socio principale: era una scommessa rischiosa in un mercato di alterni profitti, e tuttavia l’entusiasta attivismo dei consociati la rese tosto vincente. La nuova azienda ampliò subito la rete dei corrispondenti, supporti commerciali indispensabili in un’epoca ancora lontana dal fenomeno della grande distribuzione, e al Cusani, presto divenuto l’anima motrice della “Pirotta e C.”, ciò richiese l’incombenza di effettuare lunghi viaggi in Italia e all’estero; questi defatiganti spostamenti non gli furono però sgraditi, permettendogli di aprirsi a più estesi orizzonti intellettuali, e principalmente con gli animatori del Gabinetto del Vieusseux a Firenze, che assurse a suo prediletto e privilegiato punto di riferimento culturale.

Sul fronte librario il maggiore successo arrise senz’altro alla “Serie di romanzi storici e d’altro genere de’ più celebri scrittori moderni per la prima volta tradotti nell’idioma italiano”: rivitalizzazione di una collana creata nel 1834, nel decennio di vita raggiunse un totale di 44 titoli corredati da prefazioni sugli autori, sguardi sulle rispettive critiche letterarie, premesse sugli scenari dell’azione di ogni romanzo e note al testo; selezionate dal Cusani stesso (che dunque in tale compito anticipò per molti versi l’odierna figura del manager editoriale), le opere vennero affidate a uno staff di traduttori di sua fiducia, e non poche furono approntate da lui personalmente. Un analogo largo consenso toccò anche alla collana “Amenità dei viaggi e memorie contemporanee”, varata nel 1835 e dedicata ai resoconti di viaggio nonché alle più recenti vicende storiche, mentre fu specificamente destinata all’infanzia la “Collezione de’ racconti del canonico Schmid”, già avviata dal Pirotta e prima traduzione italiana delle opere del pedagogista tedesco. La fortuna non mancò nemmeno a libri fuori collana, e tra il 1835 e il 1836 ebbe una superlativa accoglienza la traduzione in tre volumi, di nuovo per cura del Cusani, de Gli ultimi giorni di Pompei, di E. G. Bulwer-Lytton, con i quali l’azienda venne a trovarsi diretta concorrente con l’edizione del rivale editore Stella stampata pochissimi mesi prima, ampiamente però surclassandola per l’eleganza tipografica, la completezza dei commenti e degli apparati, e l’accurata iconografia, che le valsero sette ristampe fino al 1880 (l’ultima addirittura riproposta nel 1990).

Uscì fuori collana anche il lavoro più originale e letterariamente più noto del Cusani, La Dalmazia, le isole Jonie e la Grecia (visitate nel 1840): memorie storico-statistiche, che apparve in due tomi fra il 1846 e il 1847 sotto forma di dettagliata relazione di un viaggio bipartito e durato quasi sei mesi. La prima parte, principiata il 5 aprile 1840 da Trieste, marcò tappe a Pola, all’isola di Lussinpiccolo e a Zara, con un’escursione al monte San Michele; l’autore proseguì poi a cavallo lungo un impegnativo itinerario, che dopo aver toccato Scardona con visita alla cascata di Kerka e al convento di Vissovaz, raggiunse Sign, quindi Salona e infine Spalato con i dintorni, prima di reimbarcarsi per le isole di Curzola e di Lesina, spingersi a Ragusa e a Cattaro, e tornare infine a Trieste. Il 16 maggio il Cusani inaugurò la seconda parte del viaggio, muovendo nuovamente da Trieste e puntando sulle isole Ionie alla volta di Corfù, Santa Maura e Cefalonia; le sue successive destinazioni furono Zante, Patrasso, Corinto, Micene, Argo e Tirinto, finché da Nauplia giunse ad Atene, la meta finale, e dopo un prolungato soggiorno riprese la via del ritorno con qualche altra sosta intermedia, rientrando in Italia via mare sul finire del settembre dello stesso anno.

Preciso, bene informato e rielaborato da appunti presi lungo il percorso e da una documentazione preliminarmente attinta, il resoconto non rientra nel genere odeporico strettamente inteso, benché si segnali per diverse digressioni itinerarie degne di nota, specie in area dalmatica. In realtà il tema del viaggio funge qui da cornice a un prevalente discorso storico-politico legato alle vicende di due popolazioni, la dalmata e la greca, che la visione liberal-patriottica del Cusani considerava profondamente vincolate alla penisola italiana in una ideale continuità unificatrice, che per la Dalmazia faceva risalire ai trascorsi nell’impero romano, e per la Grecia vedeva sancita dalle lunghe frequentazioni veneziane; a indurlo a raccontare le sue impressioni di viaggiatore concorse però anche la sottesa strategia editoriale di fornire a un pubblico di lettori non specialisti un’opera introduttiva su due entità territoriali che, carenti di pubblicazioni nella nostra lingua, restavano poco o mal conosciute dagli italiani. Riuscì nell’intento, offrendo loro due libri esaurienti e piacevolmente discorsivi, ben dosati nella narrazione degli avvenimenti, nell’esposizione degli aspetti descrittivi, nelle notazioni sulle quotidianità locali e nel racconto delle non poche disavventure itineranti occorsegli nel duplice viaggio.

Scritte quando era tuttora fresco il ricordo del risorgimento greco, le Memorie furono recepite con favore, ma il ritardo nel pubblicarle (ben sette anni dopo il compimento del viaggio), tradisce gli scricchiolii che stavano minando le basi della “Pirotta e C.”. Nel 1839 era morto prematuramente lo Hartmann, il più stretto collaboratore del Cusani, che in pratica rimase l’unico intellettuale di riferimento all’interno dell’azienda, già alle prese con qualche scelta meno indovinata, quale la velleitaria “Galleria di storici moderni”, ideata nel 1836 assieme a Cesare Cantù e rivelatasi presto inadatta ai gusti del grosso pubblico, analogamente alla riproposta, nel 1838, di un periodico per giovani col nuovo titolo “Museo storico-pittoresco per la gioventù”, che non poté prevalere su una pletorica concorrenza e dovette cessare le pubblicazioni. Continuarono peraltro a non mancare i buoni libri (come le Memorie sull’Egitto e specialmente sui costumi delle donne orientali di Amalia Nizzoli, pubblicate nel 1841 e in concomitanza con la traduzione dal latino della Peste di Milano del 1630 del Ripamonti), né difettarono le buone collane (così i dodici volumi delle Opere di Santa Teresa, e la longeva “Biblioteca ecclesiastica”, introdotta nel 1841): segno evidente che la crisi della ditta non scaturiva da un progressivo deteriorarsi dei piani editoriali, bensì da un crescente disordine organizzativo e da una gestione amministrativa sempre più allo sbando. Tanto inevitabile quanto a lungo differito, l’atto finale giunse nel 1859 e significò una sofferta liquidazione, fra i dissapori dei soci, la cessione degli impianti e la voragine dei debiti. Ci sarebbero voluti più di quattro anni per soddisfare tutti i creditori.

Per l’ex cofondatore della “Pirotta e C.” subentrò allora la più tranquilla parentesi di un sereno ventennio di studi e di minuziose ricerche storico-erudite, che già all’indomani della presa di Palermo da parte di Garibaldi lo misero in grado di pubblicare l’apprezzato libretto La Sicilia. Cenni geografico-storici per l’intelligenza della guerra attuale (Milano, 1860) percorso da un forte accento filogaribaldino e da una netta propensione per la monarchia piemontese, sul filo di una radicale revisione dell’immagine negativa che si aveva dell’isola. Continuò nondimeno ad approfondire le proprie teorie politiche, che, in precedenza ribadite nella memoria Venezia e le città venete nella primavera del 1848: narrazione e riflessioni (Milano, 1848), giunsero a più compiuta maturazione nella Storia compendiata di Venezia dall’origine ai nostri giorni e cenni storicostatistici sulle città e provincie venete, edita anch’essa a Milano nel 1861: è lo stesso anno che vide l’uscita del primo volume della Storia di Milano dall’origine ai nostri giorni e cenni storicostatistici sulle città e provincie lombarde, apparsa in otto volumi fino al 1884, di cui l’ultimo pubblicato postumo (il piano dell’opera prevedeva l’esposizione degli avvenimenti fino al 1859). Come tutte le indagini storiografiche basate preminentemente sulle fonti documentalistiche, nemmeno questa cospicua impresa andò esente da una narrazione gravitante sui singoli fatti piuttosto che sul loro inserimento in una trama di vaste vedute: parve un limite alla critica coeva, complice forse la malcelata invidia di recensori poco obiettivi, prima che la rivalutazione positivista giungesse a ristabilire i meriti di un’opera di perdurante utilità.

Francesco Cusani si spense all’età di 77 anni il 12 dicembre 1879, nell’avìto palazzo di Carate Brianza.

Bibliografia:
I lineamenti biografici di Francesco Cusani tracciati da F. Vittori nel Dizionario Biografico degli Italiani, 31 (1985), pp. 499-501 (consultabile pure in rete), sono ora da integrare con i risultati di due approfondite ricerche di recente condotte su un gran numero di fonti archivistiche inesplorate, e dovute entrambe a F. Re, Patriottismo e cosmopolitismo nel primo Ottocento: Francesco Cusani Confalonieri, traduttore, storico ed editore lombardo, Tesi di dottorato (Università degli Studi di Milano, Facoltà di Studi Umanistici – A. A. 2016-2017 [https://air.unimi.it/bitstream/2434 /548028/2/phd_unimi_R10898.pdf]); e Strategie di divulgazione scientifica e nation building nel primo Ottocento. La narrazione dell’imprevisto nelle memorie di Cusani, in “Quellen und Forschungen aus italienischen Archiven und Bibliotheken”, 102 (2022), pp. 360-385 [https://journals.scholarsportal.info/browse/00799068]: soprattutto da questi due ultimi titoli si è attinto per la stesura delle presenti note. Il Cusani non trova posto nei più recenti repertori storici della letteratura italiana, a parte i cenni riservatigli da G. Mazzoni, L’Ottocento, in Storia letteraria d’Italia, Milano 1973, I, p. 588; II, pp. 340-341, e qualche sporadica compilazione dizionaristica, come le schede nel Dizionario enciclopedico della letteratura italiana, 2, Bari – Roma 1966, pp. 186-187; e nel Dizionario della letteratura italiana, a cura di E. Bonora, I, Milano 1977, p. 144.

Note biografiche a cura di Giovanni Mennella

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autore:
Francesco Cusani
ordinamento:
Cusani, Francesco
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