La Dalmazia, le isole Jonie e la Grecia (visitate nel 1840), che apparve in due tomi fra il 1846 e il 1847 sotto forma di dettagliata relazione di un viaggio bipartito e durato quasi sei mesi, è considerato uno dei lavori più originali e letterariamente più noti del Cusani. L’opera venne pubblicata al di fuori della collana “Amenità dei viaggi e memorie contemporanee”, che Cusani aveva varata nel 1835 e dedicata ai resoconti di viaggio nonché alle più recenti vicende storiche.
La prima parte, questa, principiata il 5 aprile 1840 da Trieste, marcò tappe a Pola, all’isola di Lussinpiccolo e a Zara, con un’escursione al monte San Michele; l’autore proseguì poi a cavallo lungo un impegnativo itinerario, che dopo aver toccato Scardona con visita alla cascata di Kerka e al convento di Vissovaz, raggiunse Sign, quindi Salona e infine Spalato con i dintorni, prima di reimbarcarsi per le isole di Curzola e di Lesina, spingersi a Ragusa e a Cattaro, e tornare infine a Trieste. Il 16 maggio il Cusani inaugurò la seconda parte del viaggio, muovendo nuovamente da Trieste e puntando sulle isole Ionie alla volta di Corfù, Santa Maura e Cefalonia; le sue successive destinazioni furono Zante, Patrasso, Corinto, Micene, Argo e Tirinto, finché da Nauplia giunse ad Atene, la meta finale, e dopo un prolungato soggiorno riprese la via del ritorno con qualche altra sosta intermedia, rientrando in Italia via mare sul finire del settembre dello stesso anno.
Dall’incipit del libro:
Quando, or sono cinque anni, intrapresi un viaggio in Dalmazia ed in Grecia, io non aveva punto intenzione di scrivere, tornato che fossi, intorno a quei paesi, poichè, supponendoli abbastanza noti, credeva tempo e fatica sprecati l’aggiungere un nuovo libro alla congerie che adorna o ingombra gli scaffali delle biblioteche. Mi limitai quindi a tenere un giornale, come era uso ne’ precedenti miei viaggi, annotando quanto serviva agli studj da me coltivati, o personalmente m’interessava. Però non appena mi fui internato nella Dalmazia fra mezzo alla popolazione slava, colpito dal carattere originale di quella razza, le cui vicende, la lingua, gli usi sono conosciuti tra noi poco più di quelle degli Indiani e delle selvaggie tribù d’America, mi nacque il pensiero che sarebbe interessante il far meglio conoscere una contrada, la quale fu dai Romani in poi quasi sempre unita o soggetta all’Italia.
Venuto dagli Slavi fra i Greci, m’accadde lo stesso, perocchè ogni giorno più mi convinceva non essere fra noi i secondi meglio noti dei primi; laonde mi decisi a studiarli, ed incominciai a raccogliere note e materiali d’ogni sorta, de’ quali potessi valermi in seguito. Scôrto a primo aspetto che per l’ideato lavoro il greco-moderno sarebbe d’indicibile vantaggio, mi posi a studiarlo con amore; il bisogno giornaliero di balbettare qualche parola, trovandomi spesso in mezzo a uomini non conoscenti altra lingua fuor della propria, e quel po’ di greco-antico ch’ io sapeva, mi giovarono grandemente.

