Galeazzo CianoGian Galeazzo Ciano, detto Galeazzo, conte di Cortellazzo e Buccari (Livorno, 18 marzo 1903 – Verona, 11 gennaio 1944), è stato un diplomatico e politico italiano. Era figlio dell’ammiraglio Costanzo Ciano e di Carolina Pini.

Durante la prima guerra mondiale si trasferì con la famiglia a Venezia, dove frequentò il liceo ginnasio «Marco Polo»; in seguito si trasferì a Genova, dove conseguì la maturità classica. Durante gli studi universitari fece pratica di giornalismo presso Il Nuovo Paese, La Tribuna e, nel 1924, L’Impero, organo fascista intransigente, occupandosi però non di politica ma di critica teatrale: scrisse anche un dramma (Felicità d’Amleto) e un atto unico (Fondo d’oro) che una volta rappresentati non ottennero alcun successo. Frequentava in quel tempo ambienti artistici, giornalistici e mondani.
Dopo aver conseguito la laurea in giurisprudenza, fu ammesso in diplomazia e inviato come addetto di ambasciata a Rio de Janeiro. Il 24 aprile 1930 sposò Edda Mussolini, con la quale subito dopo partì per Shanghai come console. Rientrato in Italia, il 1º agosto 1933 venne nominato capo dell’Ufficio stampa da Mussolini. Nel 1935 divenne ministro della Cultura popolare, il MINCULPOP, competente anche per la Stampa e la Propaganda, quindi partì volontario per la guerra d’Etiopia, ove si distinse come pilota di bombardieri e fu decorato.

Nel 1936 fu nominato Ministro degli affari esteri, subentrando, nella carica, allo stesso Mussolini. Su probabili pressioni del Duce, fu coinvolto nel duplice omicidio dei fratelli Carlo e Nello Rosselli, colpevoli d’essere i fondatori del movimento antifascista Giustizia e Libertà.
Ciano si era guadagnato una certa confidenza da parte del Principe di Piemonte Umberto di Savoia, figlio di Vittorio Emanuele III. Divenne quindi il corrispondente preferito tra Umberto (e Maria José) e il movimento fascista. Probabilmente con l’approvazione di parte del Principe Umberto, Ciano tenne l’Italia distante dalla Germania hitleriana il più a lungo possibile, con l’aiuto dell’ambasciatore a Berlino, Bernardo Attolico. Praticamente costretto dal suocero a sottoscrivere il Patto d’Acciaio tra Italia e Germania, ebbe al proposito diverse divergenze con lui.

All’inizio della seconda guerra mondiale, quando le sue posizioni anti-tedesche erano oramai note, molti osservatori ritengono che sia stata di Ciano la maggiore influenza nella formulazione della «non belligeranza».
Ma quando l’Italia entrò in guerra fu Ciano, per via del ruolo che ricopriva, a consegnare le dichiarazioni agli ambasciatori di Francia e Regno Unito.
Nella primavera del 1943, in occasione di un rimpasto delle cariche istituzionali con la quale Mussolini sperava di riaffidare i posti-chiave a uomini di certa fiducia, Ciano venne mandato come ambasciatore in Vaticano. È in questo momento che il suo rapporto con Monsignor Montini – futuro papa – raggiunse la maggiore intensità, tenendo il regime fascista in contatto con tutte le principali potenze internazionali, attraverso la mediazione dell’influente prelato.

Il 25 luglio 1943, quando l’opposizione interna guidata da Dino Grandi (che si coordinava con il Quirinale) stava infine per sconfiggere Mussolini, Ciano vi si unì. Al Gran Consiglio del fascismo, infatti, votò l’ordine del giorno di Grandi (insieme con altri diciotto gerarchi), approvando perciò l’indicazione contenuta nella mozione, volta a far sì che il re riprendesse in mano l’esercito e il governo della nazione; in pratica, quello di Ciano fu un voto pesantissimo e dalle conseguenze irreversibili contro il suocero. Va notato che questi avrebbe avuto modo di fermare l’azione di questa fronda, invece, rinunziando in un certo senso a opporvisi, l’agevolò sia convocando il Gran Consiglio (che non si riuniva da diversi anni e che non era ritenuto da autorevoli giuristi dell’epoca competente a deliberare sul tema dei rapporti istituzionali tra Governo e Monarchia), sia consentendo di mettere ai voti la mozione, sia – infine – disponendo di metterla ai voti per prima rispetto alle mozioni alternative di Carlo Scorza e Farinacci.

Si è a lungo congetturato sulle reali motivazioni dell’adesione di Ciano alla proposta di Grandi, tenuto conto che al voto sul famoso ordine del giorno, dovrebbe esser giunto dopo averne discusso col Duce, informato dallo stesso Grandi con qualche giorno di anticipo (ma anche Mussolini, è stato fatto notare, doveva essere ben al corrente dell’adesione del genero). Probabilmente Ciano condivideva con gli altri due gerarchi la considerazione che il tempo del fascismo fosse venuto a esaurimento ma, forse, ritenendosi ancora candidato alla successione, pensava che in una nuova gattopardesca riformulazione poco sarebbe cambiato e che egli sarebbe rimasto in auge.

Il voto di Ciano fu, sotto un profilo di pubblica immagine, il colpo più grave inferto al prestigio del capo del regime, cui di fatto pareva che nemmeno il genero fosse più affidabile. Le previsioni ottimistiche di Ciano, che si prefigurava rimpasti e aggiustamenti all’italiana dopo questa sorta di golpe (disse infatti a Bottai di attendersi che ci si sarebbe «aggiustati»), naufragarono insieme con la disillusione di Grandi, che credeva di aver operato per consegnare il comando al generale Caviglia e che, invece, vide salire al potere il poco gradito Badoglio.

Badoglio avrebbe d’un tratto bruciato tutte le aspettative dei gerarchi, schierando una compagine d’apparato tutta «del re» e cominciando immediatamente la defascistizzazione dello Stato. Se Bottai ne era quasi contento, Grandi ne era sorpreso (più che altro per il poco chiaro atteggiamento del Sovrano); Ciano – che il 31 luglio si era dimesso dall’ambasciata in Vaticano – fu invece quello che si trovò maggiormente spiazzato e, a differenza degli altri due, tardò a mettersi in salvo. Nello sconcerto, acuito poco dopo dall’armistizio di Cassibile, cercò invano di organizzare un esilio protetto per la sua famiglia, ma il Vaticano si rifiutò di nasconderli. Nei giorni convulsi dell’agosto 1943 fuggì a Monaco di Baviera, convinto di trovarvi protezione e un aereo per la Spagna. Non sapeva che, nel frattempo, Vittorio Mussolini, Roberto Farinacci e Alessandro Pavolini stavano accusando alla radio i traditori del fascismo e in particolare lui, che divenne il bersaglio principale.

Ciano fu estradato in Italia su esplicita richiesta del neonato Partito Fascista Repubblicano, il 17 ottobre 1943 per essere incarcerato; Edda e i figli erano rientrati in Italia alcuni giorni prima.
A opera di Alessandro Pavolini si allestiva il processo ai «traditori» del 25 luglio, e il voto al Gran Consiglio fu considerato alto tradimento. Durante il processo gli inquirenti trattarono Ciano quasi con benevolenza temendo che Ciano raccontasse avvenimenti segreti, sgraditi al Regime fascista.

Dopo una celere assise pubblica, nota come processo di Verona, Ciano venne riconosciuto colpevole insieme con altri gerarchi contumaci; il genero del Duce fu l’unico imputato a essere condannato alla fucilazione all’unanimità.
La sera prima dell’esecuzione, Ciano si rifiutò, in primo momento, di firmare la petizione di grazia al Duce ma poi, pressato dai suoi compagni di carcere, finì per accettare. Pavolini, indispettito, passò l’intera notte a cercare un funzionario che firmasse il respingimento alla domanda di grazia. Comunque, Mussolini non si mosse per salvare il genero.
L’11 gennaio 1944 avvenne l’esecuzione di Ciano al poligono di tiro di Verona, insieme agli altri quattro ex-gerarchi, legati alle sedie e fucilati alla schiena come in uso ai traditori. Prima della fucilazione Ciano pronunciò a Monsignor Chiot le seguenti parole: “Faccia sapere ai miei figli che muoio senza rancore per nessuno. Siamo tutti travolti nella stessa bufera”.

Si è molto discusso se questa conclusione significò che Mussolini non volle proteggere il suo congiunto, o semplicemente che non poté, impaurito dalla probabile reazione di Hitler. Molti osservatori fanno notare che se Mussolini avesse commutato la condanna a morte di Ciano, lui stesso avrebbe perso ogni residua credibilità. Edda, sinceramente innamorata di Ciano, attraversò mezza Italia con mezzi di fortuna per raggiungere il quartier generale della RSI, ma tutti i suoi tentativi di soccorso, comprese le drammatiche suppliche al padre, furono vani.

Dopo l’esecuzione Edda fuggì in Svizzera portando con sé i preziosi diari del marito, nascosti sotto la pelliccia piena di tasche insieme con alcuni gioielli e una lettera per la madre donna Rachele. Il corrispondente di guerra Paul Ghali del Chicago Daily News apprese del suo segreto internamento in un convento svizzero e organizzò la pubblicazione dei diari [presenti qui in Liber Liber]. Essi rivelano, pur tra abbellimenti e riscritture postdatate, la storia segreta del regime fascista dal 1937 al 1943 e sono considerati una fonte storica primaria (i diari sono strettamente politici e contengono poco della vita privata di Ciano).

Il corpo di Ciano oggi riposa nel Cimitero della Purificazione, a Livorno.

Note biografiche tratte e riassunte da Wikipedia
https://it.wikipedia.org/wiki/Galeazzo_Ciano

Elenco opere (click sul titolo per il download gratuito)

  • Diario 1937-1943
  • L'Europa verso la catastrofe
    La politica estera dell’Italia fascista, 1936-1942
    Il volume contiene i resoconti redatti da Galeazzo Ciano di incontri ufficiali che ha promosso o nei quali è coinvolto nella sua qualità di Ministro degli Esteri di Mussolini dal 1936 al 1942. Il trentatreenne ministro da quel momento viene a contatto in veste ufficiale con capi di Stato, ministri, ambasciatori e personalità politiche straniere. Ai verbali dei colloqui tenuti a Palazzo Chigi si aggiungono le testimonianze degli incontri tenuti all’estero a dimostrazione di una fittissima agenda di appuntamenti, nei quali si intessono alleanze, si prendono accordi, si rompono rapporti.
 
autore:
Galeazzo Ciano
ordinamento:
Ciano, Galeazzo
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