Luigi CapelloLuigi Attilio Capello nacque a Intra in provincia di Novara il 14 aprile 1859. La famiglia era appartenente alla piccola borghesia: il padre Enrico era funzionario dei telegrafi, la madre si chiamava Ernesta Volpi. Il padre volle che il figlio venisse avviato alla carriera militare e Luigi Capello si trovò a 16 anni allievo all’Accademia militare tra il 1875 e il 1878, anno nel quale conseguì il grado di sottotenente di fanteria. Frequentò in seguito, tra il 1884 e il 1886 la scuola di guerra e al termine di questo periodo conseguì il brevetto di ufficiale di Stato Maggiore.

Era giovane brillante e di ampia apertura mentale. È nella sua estrazione sociale (contrastante con le tradizioni nobiliari dei vertici militari) e in queste sue predisposizioni che andrebbe ricercata la causa del disprezzo e della pessima fama che ha quasi sempre accompagnata la figura di Luigi Capello; secondo un’autrice e studiosa contemporanea, M. L. Suprani Querzoli, «la condanna morale è da ricercarsi nella dissonanza fra la forma mentis vulcanica di Luigi Capello e le consuetudini (saldamente radicate) proprie dell’ambiente militare.»

Fu di stanza a Napoli con il grado di maggiore e in questo periodo, all’inizio degli anni ’90 del secolo XIX, divenne collaboratore del “Corriere di Napoli” con una serie di articoli di argomento militare. Il contenuto polemico di alcuni di questi articoli dove si criticavano i criteri con i quali avvenivano gli avanzamenti di grado irritarono i vertici militari e il Capello ebbe un trasferimento punitivo a Cuneo. Questo tuttavia non sembra sia stato troppo di ostacolo al proseguimento della carriera, visto che nel 1898 fu promosso colonnello vedendosi assegnare il comando del 50° reggimento di fanteria.

Ma i suoi interessi spaziavano anche in altri settori. Circa a metà degli anni ’90 entrò nella massoneria dove in breve tempo ebbe incarichi di responsabilità. Strinse amicizia con Leonida Bissolati e certamente in questo periodo le sue simpatie politiche andavano in direzione di un socialismo moderato e riformista.

Proseguiva anche l’avanzamento nella carriera militare e in occasione della campagna di Libia nel 1910 era comandante della brigata Abruzzi con il grado, corrispondente a tale incarico, di Maggiore generale. In questa fase della sua carriera già emergeva il carattere audace e bellicoso del Capello e la sua avversione per una guerra difensiva; secondo lui le guerre potevano essere condotte efficacemente solo con un atteggiamento decisamente offensivo.

Quando iniziò il primo conflitto mondiale, Capello era comandante della 25ª divisione dislocata a Cagliari; questa divisione venne assegnata alla terza armata prendendo parte alle prime battaglie sul Carso, e il comportamento valoroso della sua brigata Sassari gli valse rapidamente la promozione a tenente generale dopo soli quattro mesi di guerra e passò a comandare il sesto corpo d’armata.

La posizione strategica di questo, che era di fronteggiamento della testa di ponte austriaca a Gorizia, gli consentì di mettere in pratica le azioni belliche audaci che aveva teorizzato. Nel corso della terza e quarta battaglia dell’Isonzo fu proprio il sesto corpo d’armata a sferrare sanguinosi attacchi con perdite onerosissime in cambio di vantaggi territoriali molto modesti ed effimeri, poiché andarono perduti già nel gennaio 1916. Ma questi evidenti insuccessi non intaccarono la sua credibilità perché si inserivano nelle scelte politiche del momento che prescrivevano una tattica offensiva e dispendiosa sul piano delle perdite umane, anche in assenza di armamenti adeguati.

Tuttavia il nuovo inasprirsi delle ostilità dopo la pausa invernale portò, grazie a una riorganizzazione e al rafforzamento dell’artiglieria, nuova credibilità all’idea della conquista di Gorizia, cosa che avvenne tra il 6 e il 9 agosto 1916 con un attacco che si realizzò con pochissime perdite. Capello aveva però programmato una scarsezza delle riserve tale che impedì di sfruttare l’avanzata in maniera completa arrestandosi di fronte alle nuovi postazioni nemiche.

Capello godeva ormai di ampia popolarità cosa che probabilmente irritava Cadorna. Le sue amicizie sia in campo politico che giornalistico e culturale gli garantivano per esempio un ascendente su giovani ufficiali tra i quali militavano per esempio Ardengo Soffici e Alessandro Casati. Forse anche l’alimentare di fatto lo scontento nei riguardi di Cadorna convinse quest’ultimo a rimuovere Capello dal comando del sesto corpo d’armata trasferendolo al tredicesimo di stanza sugli altopiani e di fatto di minore importanza strategica. Per comprendere come questo provvedimento fosse un arretramento del potere decisionale per il gen. Capello basta pensare che nella nuova posizione si trovava agli ordini del gen. Mambretti che era stato fino a pochi mesi prima suo sottoposto.

Furono mesi durante i quali Cadorna si trovava in conflitto con buona parte del governo, conflitto dal quale Cadorna uscì momentaneamente rafforzato. Sentendosi quindi più saldo nelle sue posizioni, Cadorna richiamò Capello dapprima al comando del quinto corpo della prima armata e, nel marzo 1917, lo richiamò nella zona di Gorizia dove si stava costituendo una nuova armata. In questa fase si rinnovarono le azioni audaci e portatrici di gravi perdite compensate da successi tattici di piccolo conto. Ciononostante la posizione di Capello, che si era riguadagnata la considerazione di Cadorna, ne uscì rafforzata e il primo giugno passò a comandare la seconda armata nella cui zona di insediamento era compresa Gorizia.

Nel corso della battaglia della Bainsizza tra il 18 agosto e il 15 settembre 1917, Capello raggiunse il controllo dell’altopiano della Bainsizza, di grande importanza strategica, ma fallì nel proseguimento dell’azione che lui stesso aveva convinto Cadorna ad avallare e che avrebbe dovuto portare a fare arretrare le truppe austriache dal San Gabriele, a est di Gorizia. Ancora una volta le perdite e il logoramento delle truppe furono pesantissimi.

Capello fu comunque protagonista degli unici successi bellici italiani nel corso del 1917, quelli del Kuk, del Vodice e della Bainsizza. Questo gli valse il conferimento della gran croce dell’ordine militare di Savoia. Cadorna e Capello non avevano certamente rapporti di amicizia, ma in questa fase pare che entrambi potessero sentirsi rafforzati reciprocamente dalle rispettive iniziative e prese di posizioni.

Ma Capello aveva forse troppa intraprendenza autonoma e quando il 18 settembre 1917 Cadorna avvertì della probabile forte offensiva austriaca per l’autunno e predispose per una difesa a oltranza, Capello si sentì comunque libero di preparare invece una controffensiva in grande stile. I collegamenti tra comando supremo e comando della seconda armata furono carenti e probabilmente tardivi. Tra il 9 e il 23 ottobre Capello fu colpito da nefrite, e formalmente il comando dell’armata era passato al gen. Montuori, e quando poté avere finalmente un colloquio con Cadorna, il 19 ottobre, rinunciò ai propositi di controffensiva ma lo schieramento non poté essere modificato in tempo ed era predisposto in maniera non adeguata a una battaglia difensiva. Furono queste le premesse per la famosa disfatta di Caporetto. Non ci dilunghiamo su questo argomento a proposito del quale la letteratura è ampia e conosciutissima. Capello malato si riprometteva di tornare al suo posto dopo qualche giorno di riposo ma dovette assistere agli sviluppi del disastro dall’ospedale.

Il seguitò dimostrò che Capello godeva della considerazione anche del nuovo comandante supremo Diaz, visto che appena ristabilito, il 26 novembre 1917, gli fu assegnato il comando della nuova quinta armata che si andava riorganizzando nelle retrovie con i reparti maggiormente colpiti dal disastro di Caporetto e con gli sbandati che stavano via via rientrando. Ma questa attività che stava conducendo con la sua solita intraprendenza fu bloccata l’otto febbraio, quando chiamato dalla Commissione d’inchiesta che il governo Orlando aveva insediato per indagare sulle cause della rotta di Caporetto, dovette lasciare il comando.

Iniziò così la sua tenace battaglia per difendersi. Iniziò con una articolata memoria difensiva (che possiamo leggere nel libro di De Felice Caporetto perché**?). Le risultanze del lavoro della Commissione facevano pesare sulle spalle di alcuni generali, in particolare Cadorna e Capello la responsabilità del disastro di Caporetto. La relazione fu pubblicata nell’estate del 1919. Cadorna e Capello e alcuni altri generali furono collocati a riposo. Non c’è dubbio che il lavoro della Commissione tendeva ad accantonare le tematiche che avrebbero potuto aggravare la situazione post-bellica già complicata per il reinserimento dei reduci, introducendo valutazioni sulle condizioni che avevano portato a decidere l’intervento in guerra e come questa era stata portata avanti. Il governo Nitti aveva tutto l’interesse a chiudere rapidamente la cosa. Ma Capello non accettò mai questa situazione che conduceva per lui a una infamante condanna morale. Dapprima e senza esito si rivolse al governo e al senato. Si decise quindi a rivolgersi direttamente all’opinione pubblica con due testi pubblicati dall’editore Treves: Per la verità, dove controbatte alle conclusioni della commissione d’inchiesta e, subito dopo, Note di guerra, dove sotto esame finisce tutta l’esperienza bellica.

Nel 1920 le edizioni La Voce danno alle stampe il volume L’ordinamento dell’esercito, testo che raccoglie otto articoli di Luigi Capello che erano stati pubblicati nei mesi precedenti sul “Giornale del popolo”; il volume, prefato da Ardengo Soffici, è una durissima critica nei confronti dei vertici militari. Critiche che proseguì ad argomentare negli anni successivi dalle colonne del “Resto del Carlino” e del “Il Secolo”. Le sue posizioni su questi temi, ma soprattutto sul ruolo degli ex combattenti nella vita politica e per una sua svolta decisa, lo portarono ad aderire al fascismo fin dal 1920. Ma come il partito fascista decise di considerare incompatibile l’iscrizione al partito con l’adesione alla massoneria, Capello non ebbe esitazioni e restituì la tessera del partito.

Nell’autunno del 1922 era stato inviato in Germania per una missione conoscitiva della quale troviamo notizia in una nota, probabilmente di Renzo De Felice, nel libro di George L. Mosse La nazionalizzazione delle masse simbolismo politico e movimenti di massa in Germania (1815-1933).

Tra le altre cose, relative ad esempio alle organizzazioni ginnico-sportive, abbiamo – nella relazione che redasse al suo ritorno Le Condizioni della Germania. Impressioni di viaggio – il capitolo L’idea della rivincita dove Capello scrive:

«Domani di fronte alla possibilità di una rivincita tutti i tedeschi saranno uniti. Anche i Comunisti… questi però, intendiamoci, non per favorire la guerra borghese, ma per lottare contro il capitalismo straniero, sopraffattore del proletariato tedesco. La conseguenza però sarà la stessa… non è vero?».

Nel frattempo una nuova commissione d’inchiesta modificò un poco a favore di Capello le risultanze della prima commissione. La figlia di Luigi Capello, Laura Borlenghi Capello fece pubblicare la relazione di questa seconda commissione nel 1946; afferma che il partito fascista avrebbe condizionato il rendere pubbliche queste nuove risultanze, che avrebbero in pratica riabilitato Capello almeno da un punto di vista morale, all’abbandono di Capello stesso della massoneria e ad una pubblica adesione al fascismo. Condizioni che Luigi Capello respinse decisamente.

La sua opposizione, come in molti altri casi, si fece più convinta dopo il delitto Matteotti. A questo punto si adoperò insieme con Tito Zaniboni per costruire una rete insurrezionale antifascista sostenuta anche dalla massoneria. Zaniboni, come è noto, fu arrestato prima di aver potuto mettere in pratica il proposito di portare a compimento un attentato a Mussolini, e il giorno successivo, cioè il 5 novembre 1917 venne arrestato anche Capello. Forse anche in questo caso Capello si dimostrò soprattutto maldestro sia nella scelta di affiancare un personaggio certamente equivoco come Zaniboni, sia nel suo successivo tentativo di scagionarsi ed essere scagionato. Processato nell’aprile dell’anno successivo fu condannato a trent’anni di reclusione (come lo stesso Zaniboni) oltre alla radiazione dall’esercito. Il tutto corredato da una campagna infamante condotta dai fascisti. Nel 1928, dopo vari trasferimenti, fu trasferito alla clinica di Formia a causa del peggiorare delle sue condizioni di salute. Fu trasferito a Roma nel 1935 e rimesso in libertà nel 1936. Morì a Roma il 25 giugno 1941.

Un interessante tentativo di sottrarlo alla “damnatio memoriae” – come dice l’autrice stessa – è stato recentemente compiuto da Maria Luisa Suprani Querzoli, che, pur non essendo del tutto convincente, propone una analisi interessante su quali siano state le cause alla radice della pessima luce nella quale è sempre stato posto Luigi Capello. Ne raccomando la lettura per chi volesse ascoltare una voce realmente diversa – della quale ho tenuto conto per scrivere questa breve nota biografica – sulla vicenda di vita del generale Luigi Capello.

Fonti:

  • M.L. Suprani Querzoli. Luigi Capello. Profilo di un generale italiano. Lucca, 2022.
  • D. Ascolano. Luigi Capello: biografia militare e politica. Ravenna, 1999.
  • A. Mangone. Luigi Capello: da Gorizia alla Bainsizza, da Caporetto al carcere. Milano, 1994.
  • D. Ascolano [a cura di]. Ardengo Soffici. Lettere di guerra al gen. Capello, in “Nuova Antologia” Maggio 1965.

Note biografiche a cura di Paolo Alberti

Elenco opere (click sul titolo per il download gratuito)

  • Caporetto, perché?
    La 2a armata e gli avvenimenti dell'ottobre 1917
    Caporetto perchè? fu scritto nei primi mesi del 1918 dal generale Capello, comandante della 2a armata dal 1° giugno al 25 ottobre 1917, come memoria difensiva per la Commissione d'inchiesta nominata a gennaio 1918 per indagare sulle cause e le eventuali responsabilità degli avvenimenti militari dell'ottobre-novembre 1917.
  • Per la verità
    Il libro del gen. Luigi Capello, senza dubbio un’autodifesa, può rappresentare ancora oggi una lettura utile per capire le ragioni più specificamente belliche e militari che, nel corso della prima guerra mondiale, portarono al disastro di Caporetto.
 
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Luigi Capello
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Capello, Luigi
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