Nella prefazione all’opera, la scrittrice avverte il lettore che la maggior parte dei racconti che si appresta a leggere sono già stati pubblicati quando ancora si era nel periodo cruciale delle lotte per l’unità d’Italia ed hanno ottenuto “oneste accoglienze”. Ora che la grande impresa è compiuta – questa raccolta viene pubblicata nel 1871 – ora che gli italiani sono “un popolo, e non un volgo senza nome”, la scrittrice dichiara di non essere disponibile ad alcun cambiamento su quanto già scritto, perché:
«guai se un autore intendesse modificare i suoi scritti per farli stare in relazione coi tempi e ancora più con sè: dappoichè l’autore stesso, rileggendo le proprie opere, dopo vari anni vi trovi pagine, che non sa perchè le abbia scritte: pagine che gli destano invidia o impazienza o gli pajono inutili e, a Dio non piaccia, pericolose. Tolto questo, in cui è doveroso cancellarle, fossero le più belle, giudichiamo del resto che s’abbia a lasciar presso a poco tutto com’è.»
La netta presa di posizione è di straordinaria modernità ed attualità. Codemo si lamenta poi di quanto poco paghino gli editori italiani perché, scrive, se non viene pagato il giusto, si finisce per favorire un’arte costretta, succube; per questo ringrazia coloro che l’hanno sostenuta anche economicamente permettendole di essere una scrittrice libera e ringrazia anche l’illustratore che con le sue immagini ha impreziosito il libro. Si individuano a malapena, e non sono citati, le firme di G. Stella, forse il valente pittore ed incisore Guido Balsamo Stella (1882 – 1941), e dello stampatore Salvioni.
Il titolo, Scene e descrizioni illustrate, è decisamente indovinato per la scelta di testi qui riuniti, perché si tratta di un assortimento estremamente eterogeneo di racconti, divagazioni di viaggio, riflessioni sulla natura e sui caratteri, tanto che si viene quasi ad immaginare di aver in mano un diario personale di appunti e considerazioni. Questo rende un’idea molto intima della persona che scrive; ogni pagina trasmette le idee e il sentire di questa modernissima scrittrice, traspare un carattere amorevole verso i derelitti, capace di valorizzare i sentimenti di dignità e buon senso dei suoi personaggi ‘preferiti’, un’indole curiosa dei panorami, dei borghi visitati, intraprendente e coraggiosa nell’affrontare le difficoltà del percorso. È una narrazione che “ti dispone”, come conclude nella premessa, “a prescegliere il fiore dei prati paesani, alla pianta esotica.”
In ogni racconto, anche con l’uso dosato di immagini ironiche, Codemo prende le parti di chi cerca di migliorarsi, di chi riflette sui propri errori, di chi accetta con dignità le avversità e nel farlo tira fuori tutto il proprio coraggio, anche fidando su Dio. Le figure di donne che la scrittrice ci presenta sono veri modelli di decoro, buon senso, generosità, orgoglio, sempre capaci di risorgere dalle ceneri nelle quali la vita o la loro fragilità può averle gettate.
Scene le chiama Codemo, e non novelle o racconti. E si ha spesso l’impressione di trovarsi in scene vivaci, appunto, atti di una commedia della vita, con brani recitati e azione scenica raccontata, con dettagliate descrizioni degli ambienti in cui si svolge la scena e delle movenze e atteggiamenti delle attrici e degli attori. In questo la scrittrice evoca fortemente l’opera di Balzac, scrittore da lei molto amato. Ma in qualche modo ricorda anche quello che costruisce Luigi Pirandello nel suo teatro, come in La vita che ti diedi (https://liberliber.it/autori/autori-p/luigi-pirandello/la-vita-che-ti-diedi/), dove l’autore fa ‘cadere’ la quarta parete del palcoscenico, quella verso il pubblico, in modo da rendere questo molto più coinvolto nell’azione scenica. Così fa Codemo nelle sue ‘scene’, intervenendo con commenti, spiegazioni e sollecitazioni rivolte al lettore, chiamandolo ad intervenire:
«Desiderate forse anche sapere […]. Non vi diremo niente, lasciandovi in tutta libertà di sperar bene. Una novella da finire è cosa meno arrischiata d’una commedia senza scioglimento, a cui siete avvezze, per poco che andiate a teatro.»
Pensando ai momenti della costruzione di un film, si ha l’impressione di trovarsi con un regista che, nelle pause di lavorazione, dialoghi con le maestranze e il piccolo pubblico di curiose/i che quando si gira un film non manca mai; quello che racconta François Truffaut nel 1973 in Effetto notte (La nuit américaine).
Infine, il racconto dell’escursione del 1868-1869 descritta in Dal mare alle Alpi, da Venezia poi Treviso, lungo il Piave, Conegliano, Pederobba, Belluno, Agordo e infine ritorno al mare via Serravalle, potrebbe essere un’utile guida per ripercorrere quei luoghi.
Buona lettura!
Sinossi a cura di Claudia Pantanetti, Libera Biblioteca PG Terzi APS
Dall’incipit del primo racconto I pitocchi:
Una donna d’apparenza alquanto strana, per chi la considerasse dietro certe idee poetiche e sentimentali sulle attitudini femminili, idee nelle quali forse taluno di soverchio si vezzeggia, stava ferma in piedi, appoggiata appena colla punta d’un gomito al muro, presso il campo di ss. Giovanni e Paolo in Venezia, la mattina d’un tal giorno, un po’ nebbioso, di settembre, volgono or ora pochi anni.
Alta e secca, vestiva in modo da cui facilmente trasparivano abitudini più che di disordine o di miseria: qualche cosa tradiva in quella donna la sua vita da zingara e da viziosa. Un fazzoletto a scacchi le fasciava la testa, annodandosele sulla fronte, e lasciando scappare torno torno alcune ciocche di capelli nerissimi, qual corta, qual lunga e d’una ineguaglianza, che dinotava chiome, chi sa mai per qual motivo, recise. Del resto un acconciamento bizzarro: uno sciallo vecchio, sbiadito le si incrociava sul petto, le si ingroppava sulla schiena, terminando in mille sbrendoli; una sottana logora assai, penzolante in tristissima guisa sopra due gambe magre, ma però coperte da calze pulite, per non dir candide, particolarità in vero straordinaria, e quasi di felice augurio. Con due calzari da uomo, abbottonati alle bande, là dove c’erano ancora i bottoni, calzari dalle suole spalancate come due bocche gridanti fame, finiva quella bella tenuta.

