Il romanzo, il secondo di Dickens e la prima opera letteraria inglese avente un ragazzo come protagonista, comparve a puntate mensili fra il 1837 e il 1839 su “Bentley’s Miscellany”; raccolto in 3 volumi, fu pubblicato nel 1838. Questa traduzione italiana, dovuta a G. Basegio, fu pubblicata nel 1840 e fu la prima di diverse traduzioni italiane. Il curioso sottotitolo, in inglese The Parish boy’s progress, fa riferimento all’opera allegorica cristiana, The Pilgrim’s Progress di John Bunyan, e alle pitture satiriche di Hogarth (A Rake’s Progress). Boz, come si intuisce, fu lo pseudonimo con cui Dickens avviò la sua carriera letteraria.
Ispirazione
La storia di Oliviero, in particolare nei suoi primi anni, fu forse ispirata dalla vita di Robert Blincoe, un orfano che dopo diverse peripezie e lavori pericolosi fece fortuna con il commercio degli scarti del cotone. La biografia di Blincoe fu popolare a Londra negli anni 1830, ma non ci sono prove che effettivamente la sua storia abbia ispirato direttamente Dickens. Più probabile che Dickens abbia voluto ricordare un suo amico d’infanzia, Peter Tolliver, cresciuto in un orfanotrofio. Certamente questo fu uno dei primi esempi di romanzi sociali dell’epoca, in cui la violenza domestica, il lavoro dei bambini, la loro vita “di strada” e il reclutamento da parte della malavita formano i temi centrali. Ma il tono usato da Dickens per trattare la storia del piccolo orfano Oliviero e le sue drammatiche peripezie è spesso satirico, e impietoso nei confronti degli ipocriti che disprezzano i poveri sentendosi a loro superiori per nascita.
Ambiente
La povertà viene narrata con toni di commossa partecipazione e utilizzando simboli di degrado (buio, cupo, nero…) per accrescerne l’impatto materiale, e talvolta anche morale, in riferimento a Fagin e alla sua banda di ladri:
…. un labirinto di viottoli angusti e fangosi, i quali formicolano di miserissime genti occupate nel traffico che credono più opportuno al momento. Nelle botteghe si veggono le provvisioni meno delicate che immaginare si possono, i più vili cenci stanno appesi alle porte e pendono dai parapetti delle finestre. … case cadenti, muraglie che sembra vogliano precipitarglisi addosso, camini rotti che stanno per cadere al basso, finestre con inferrate rugginose che il tempo e la incuria hanno quasi consumate… (cap 48).
Personaggi
Per tutto il romanzo abbiamo un dualismo tra bene e male, fra personaggi positivi e negativi, l’onesto Oliviero e il ladro Dawkins, il ladro Fagin e l’onesto Brownlow. Il male viene alla fine drammaticamente punito, con la morte di Sikes e l’impiccagione di Fagin, senza redenzione per i due criminali, mentre il personaggio di Nancy presenta sfumature ambivalenti, positiva empatia verso Oliver, ma una forma di riconoscenza verso il suo aguzzino Sikes, che le impedisce di tradirlo e salvarsi, seguendo i consigli di Rose, e che quindi la porta alla sua tragica fine.
Il personaggio di Fagin, nominato sovente come “il Giudeo”, ha portato al suo autore accuse di antisemitismo, a cui nel 1854 Dickens rispose manifestando la sua stima nei confronti del popolo ebraico, ma riferendo che all’epoca in cui si situa la storia, la malavita londinese era in buona parte coordinata da figure come Fagin, e come lui di religione ebraica.
Film e teatro
Si contano ben sei pellicole all’epoca del film muto intitolate Oliver Twist, l’ultima delle quali con Jackie Coogan nella parte di Oliver. Tra i numerosi film sonori, l’edizione del 1948 vide Alec Guinness nella parte di Fagin; parte che fu di Ben Kingsley nel film del 2005 e di Michael Caine nel film del 2021.
Accanto alle opere cinematografiche si contano diverse serie e produzioni televisive, in particolare della BBC, poi film di animazione, tra cui il celebre Oliver & Company di Disney; e il musical Oliver! Portato sulle scene londinesi dal 1960, quindi a Broadway, ed estremamente popolare tutt’oggi come produzione teatrale scolastica, da esso fu tratto un film di successo, premiato con sei Oscar nel 1968.
Sinossi a cura di Gabriella Dodero
Dall’incipit del libro:
Una città, della quale per molte ragioni è cosa prudente tacere il nome, ed a cui non voglio fabbricarne uno falso, si vantava, fra gli altri fabbricati, di averne uno ch’è pur comune a molte altre città, sieno grandi o piccole, cioè una casa di ricovero: ed in questa casa appunto, in giorno ed ora che non è bisogno ch’io mi faccia coscienza di ripetere, tanto più non essendo di grandissima importanza al leggitore, nacque il mortale, il cui nome è messo in fronte a questo capitolo. Per lungo tempo dopo che fu tratto in questa valle di lagrime dal chirurgo della parrocchia, si dubitò molto che il bambolo potrebbe sopravvivere tanto quanto bastasse per portare un nome qualunque; nel caso negativo sarebbe stato più che probabile che queste memorie non avrebbero mai veduto la luce, oppure, ancorchè apparse, si trascrivessero ad un pajo di pagine, talchè avrebbero pur avuto il merito inestimabile di essere il più conciso e fedele saggio di biografia che si rinvenga nella letteratura di ogni età e paese. Comunque non sia disposto a sostenere che l’essere nato in una casa di ricovero sia in sè medesima la più fortunata ed invidiabile circostanza che possa accadere ad un ente umano, io credo bene di dire che nel caso nostro fu per Oliviero Twist il migliore avvenimento possibile.

