Romanzo uscito a puntate, come appendice al quotidiano milanese “L’Italia del Popolo” (1887) e poi al Corriere di Napoli (1888), fu raccolto in volume nel 1888, diventando un grande successo di pubblico. Fu tradotto negli Stati Uniti, in Ungheria, Germania, Francia, Inghilterra e Danimarca, circostanza insolita per un romanzo italiano.

Nella prefazione alla prima edizione, l’Autore afferma trattarsi di “un romanzo d’esperimento, e come tale vuol essere preso”, laddove l’esperimento consiste nel “provare se sia proprio necessario andare in Francia a prendere il romanzo detto d’appendice, con quel beneficio del senso morale e del senso comune che ognuno sa”. Infatti,

“l’autore, entrato in comunicazione di spirito col gran pubblico, si è sentito più di una volta attratto dalla forza potente che emana dalla moltitudine; e più di una volta si è chiesto in cuor suo se non hanno torto gli scrittori italiani di non servirsi più che non facciano di questa forza naturale per rinvigorire la tisica costituzione dell’arte nostra”.

Questo sguardo dell’Autore, rivolto al grande pubblico, da “istruire dilettando”, rende le opere di De Marchi incapaci, per propria scelta stilistica, di influire sui gusti e le scelte del pubblico in modo attivo e provocatorio come accadde invece, per citare due opere uscite nel 1888 anch’esse, con Il Piacere di D’Annunzio ed I Malavoglia di Verga.

La storia è ambientata a Napoli; il protagonista è il barone di Santafusca, dissoluto ed oppresso dai debiti, alla cui tenuta la Curia si interessa per acquistarla e trasformarla in un Seminario. Il barone conosce così prete Cirillo, avaro, usuraio, appassionato del gioco del lotto: una figura sordida e ormai così ricco, che vede nella speculazione sulle terre di Santafusca la conclusione della sua “carriera” finanziaria. Il barone tacita ogni scrupolo morale e pianifica l’uccisione di prete Cirillo, per impadronirsi del denaro che aveva con sé e rimettere in sesto le proprie finanze, nascondendone il cadavere nella villa. Il piano sembra andare a buon fine, eccetto che per un particolare, il cappello del prete, che il barone dimentica di far scomparire con il cadavere, e che sembra voler ricomparire e perseguitarlo ricordandogli la sua colpa.

Il romanzo, considerato il primo “giallo” della letteratura italiana, porta a contorno della tragica storia di un’anima debole e tormentata tutta una serie di figure, popolani e nobili, artigiani e contadini, i loro pensieri sinceri ed ipocriti, gli ambienti urbani ed agresti, e l’ambientazione tipicamente campana che però non scade mai nel bozzettismo provinciale. Si noti infine che, pur essendo cattolico e ammiratore del Manzoni, il De Marchi non rifugge dal dipingere in prete Cirillo una figura assolutamente spregevole di sacerdote; anche in altre sue opere, come ad esempio Arabella, compaiono sacerdoti interessati più al denaro che alla cura delle anime, nel caso di quest’ultima opera don Giosuè che si adopera a convincere la ricca Carolina Ratta a lasciare nel testamento i suoi beni alla Chiesa. Fa da contraltare a prete Cirillo la figura pura ed ingenua di don Antonio, il parroco di Santafusca, che mette in moto le vicende del cappello del prete, e similmente in Arabella compare il buon don Felice, che vorrebbe mettere sempre d’accordo i contendenti.

Nel 1943 Ferdinando Maria Poggioli girò un adattamento cinematografico: Il cappello da prete, con Roldano Lupi, il Barone di Santafusca, e Luigi Almirante che interpreta Don Cirillo. Il film, girato a Cinecittà nell’estate del 1943, uscì in prima proiezione pubblica il 10 novembre 1944, e non riscosse particolare successo. Fu più fortunata la versione televisiva, in 3 puntate, girata nel 1970, per la regia di Sandro Bolchi. La fine dello sceneggiato Il cappello del prete, si può vedere, seguendo da pagina 252 dell’edizione digitale il dialogo del Barone (Luigi Vannucchi) con il magistrato Martellini (Mariano Rigillo), a questo link:
https://www.youtube.com/watch?v=kxNvCA3QgD4

Sinossi a cura di Gabriella Dodero, con il contributo delle lettrici e dei lettori della Libera Biblioteca PG Terzi

Dall’incipit del libro:

Il Barone Carlo Coriolano di Santafusca non credeva in Dio e meno ancora credeva nel diavolo; e, per quanto buon napoletano, nemmeno nelle streghe e nella iettatura.
A vent’anni voleva farsi frate, ma imbattutosi in un dotto scienziato francese, un certo dottor Panterre, perseguitato dal governo di Napoleone III per la sua propaganda materialistica ed anarchica, colla fantasia rapida e violenta propria dei meridionali, si innamorò delle dottrine del bizzarro cospiratore, che aveva anche una testa curiosa, tutta osso, con due occhiacci di falco, insomma un terribile fascinatore.

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titolo:
Il cappello del prete
titolo per ordinamento:
cappello del prete (Il)
descrizione breve:
Il romanzo, considerato il primo "giallo" della letteratura italiana, porta a contorno della tragica storia di un’anima debole e tormentata tutta una serie di figure, popolani e nobili, artigiani e contadini, i loro pensieri sinceri ed ipocriti, gli ambienti urbani ed agresti, e l’ambientazione tipicamente campana che però non scade mai nel bozzettismo provinciale.
autore:
opera di riferimento:
[1]: Romanzi / Emilio De Marchi ; a cura di Giovanni Titta Rosa. - Milano : Mursia, 1963. - XX, 947 p. ; 20 cm.Fa parte di: Tutte le opere narrative e le prose cadenzate. - 2. ed. - Milano : Mursia, 1963-1964. - 2 v. ; 20 cm. - (I grandi scrittori di ogni paese. Serie italiana)
cura:
Giovanni Titta Rosa
licenza:

data pubblicazione:
18 gennaio 2000
opera elenco:
C
affidabilità:
affidabilità standard
digitalizzazione:
Edda Valsecchi, edda.valsecchi@libero.it
Catia Righi, catia_righi@tin.it
pubblicazione:
Catia Righi, catia_righi@tin.it
revisione:
Claudio Paganelli, paganelli@mclink.it