Dall’incipit del libro:
CHI ha letto la storia di Bouvard e Pécuchet, i due compassionevoli enciclopedici eroi balzati fuori dalla mente creatrice di Gustavo Flaubert, rammenterà che, dopo avere studiato tanti rami dello scibile, la storia, la chimica, l’anatomia, l’archeologia, la politica, l’agricoltura, l’igiene; delusi continuamente dalle contraddizioni, dalle oscurità, dalle incertezze e dagli errori dei quali è piena la scienza umana, ma non perciò stanchi ancora, costoro arrivano all’arte; e che, arrivati all’arte, una primordiale difficoltà turba il loro spirito inquieto: «Prima di tutto, che cosa è il Bello?». Non appena significata la domanda, i contrasti e la confusione cominciano: «Per lo Schelling è l’infinito esprimentesi col finito; per il Reid una qualità occulta; per il Jouffroy un fatto indecomponibile; per il De Maistre ciò che piace alla virtù; per il Padre André ciò che conviene alla ragione. E vi sono parecchie specie di bello: un bello nelle scienze: la geometria è bella; un bello nei costumi, non si può negare che la morte di Socrate sia bella. Un bello nel regno animale, la bellezza del cane consiste nel suo odorato…». Talchè il povero Bouvard, non sapendo più che cosa pensare, esce finalmente in una disperata sentenza: «Capisco: il Bello è il Bello!…».
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