Pubblicato nel 1937 e ambientato in Italia durante i tristi giorni del primo dopoguerra, Conversazioni di mezzanotte rappresenta uno degli ultimi romanzi pubblicati da Lucio D’Ambra poco prima della sua morte (31 dicembre 1939). Si tratta dell’ultimo libro di una delle innumerevoli trilogie dell’autore, preceduto da Fantasia di mandorli in fiore (1931) e La sosta sul ponte (1936).
Piena di profonde riflessioni e permeata di nostalgia, la storia è narrata in prima persona da Sisto Bibbiena – che qui vediamo nei panni di un famoso direttore d’orchestra ormai ritirato a una vita di solitudine – mentre è alla costante ricerca di un senso alle sue sofferenze, causate dall’incolmabile perdita del suo unico figlio e dell’amata moglie.
Lo spirito tormentato di Sisto è qui il simbolo di un mondo piccolo-borghese che in quell’epoca andava scomparendo insieme con i suoi valori, a seguito della devastante guerra. Ma nonostante i grandi fallimenti e i sogni perduti, il protagonista riuscirà a poco a poco a ritrovare la pace interiore e la fede in Dio: e le ritroverà nella tranquillità del suo orto in campagna, nelle conversazioni con i monaci suoi vicini, e soprattutto attraverso la musica, «il genio che fa l’uomo pari a Dio, la creazione che accosta l’uomo al Creatore».
Con una prosa elegante ed evocativa, questo libro si configura così come un itinerario universale, quello della ricerca di Dio; una ricerca lunga e tortuosa, niente affatto scontata, intorno alla quale si snoda l’intera vicenda del romanzo. Se il primo romanzo della trilogia, che segue le vicende della tempestosa adolescenza di Sisto, poteva essere definito un romanzo di formazione sentimentale, questo è certamente un romanzo di formazione spirituale.
Nello struggimento della ricerca trascendentale di Sisto, fatta di sospiri, sussurri e introspezioni, vi è molta soavità e poesia, e la narrazione sembra svolgersi come un flusso di ricordi, tra atmosfere rarefatte e scene commosse. Lo stile aulico è probabilmente uno degli aspetti più affascinanti di questo romanzo caduto ingiustamente nel dimenticatoio.
Sinossi a cura di Sofia Fagiolo
NOTA: Presente in formato immagine nella Biblioteca di lettere dell’Università di Torino, http://www.opal.unito.it/
Dall’incipit del libro:
L’ultimo ricordo che mi rimane della città abbandonata è l’episodio della mia partenza, su la piazza dei Cinquecento, a pochi metri dal treno che doveva allontanarmi per sempre da Roma. In un meraviglioso ottobre in cui i magici pittori del cielo rinnovavano i colori della primavera aggiungendovi come un’impalpabile polvere d’oro e qualche pennellata sanguigna, gli uomini, non guardando il cielo, incrociavano le braccia negli inaspettati riposi d’uno sciopero generale. Poiché non circolavano vetture a cavalli e le automobili pubbliche o private non si arrischiavano per le strade quasi deserte, io avevo dovuto, nella notte precedente alla mia partenza, mandare alla stazione, sopra un paio di carrettini a mano, bauli e valigie. Mi avviavo dunque a piedi verso Termini uscendo dall’albergo dove, venduta la mia casa, dispersi all’asta pubblica quasi tutt’i miei mobili, ridotta al minimo ancóra utile la mia biblioteca, avevo trascorso gli ultimi mesi della mia indecisione, già ansiosa di solitudine ma non ancóra orientata verso un cantuccio di mondo nel quale chiudere, tra quattro alberi ed una casa, i vuoti giorni che mi restavano da vivere.

