Le poesie contenute in questa breve raccolta del 1909 sono state parzialmente riprese nella raccolta antologica del 1920 Vita e sogno.
Già emerge l’originalità dell’autore, più tardi ulteriormente raffinata, per la quale la sua opera tende sempre alla precisione sia quando descrive le sue fantasie sia quando manifesta i suoi sentimenti. Il periodo ritmico scorre in maniera nervosa ed emozionata ma priva di fastidioso autocompiacimento per quel che dice o per il modo nel quale lo esprime. Tutto viene concepito in funzione del mezzo e non di un fine. L’idea della morte – la raccolta è dedicata alla madre morta da pochissimo tempo – pervade l’opera conglobando questa idea in un ambito più vasto dove la morte si sfuma in un ambiente di sogno:
«[…] buona è la sosta ad obliar la morte
o a pensarla soave come sonno […]»
Anche la morte di Jella, la donna amata, viene vista in una dimensione di pacata eternità. Abbiamo quindi una serena consolazione invece di una disperata visione di solitudine e tristezza. Dice infatti il filosofo e suo amico Giuseppe Rensi:
«Che cosa cerchiamo in un poeta? la musica? la bellezza? la felicità delle immagini? È ancora poco. Non basta. La tecnica? no. Cerchiamo il senso dell’Eterno. E Olinto Dini tutto ci dà, e ci appaga e ci solleva. Leggendo le sue poesie, io trovo la misura della mia infelice povertà.»
Pur mantenendo quindi saldamente le sue fondamenta nella sincera tradizione della nostra poesia, Dini ribadisce la propria originalità, e le sue idee rimangono nettamente delineate nella luce della loro trama per rappresentare la propria anima e tanti saranno i significati diversi quanti ne potranno recepire le sensibilità di chi sappia leggerli.
Sinossi a cura di Paolo Alberti
La prima poesia della raccolta Invano:
O sacra a morte precoce, che duolo,
se il tuo sorriso a sognare m’invita
sogni d’amore! È la brama del volo
nell’ala ferita!

