Santorre Debenedetti nacque ad Acqui Terme, nel Monferrato, il 30 settembre 1878.
Dopo essersi laureato a Torino con Rodolfo Renier, si recò a Firenze, con gli altri neolaureati Bertoni e Neri, per un corso di perfezionamento nell’Istituto di Studi Superiori. Qui fu allievo di Pio Rajna che dell’istituto era professore di lingue e letterature neolatine, e non c’è dubbio che l’influenza del maestro fu fondamentale per il Debenedetti che trent’anni dopo quell’incontro scrisse nel necrologio del grande filologo: “Noi abbiamo perduto in lui il maestro sovrano, il consigliere e vorrei dire, se l’osassi, l’amico”. Questa scuola di specializzazione fu decisiva per formare, dopo Rajna, un nuovo romanista e il loro lavoro verrà poi proseguito e rafforzato da Cesare Segre, nipote del Debenedetti, e Gianfranco Contini.
Dopo essere stato lettore di lingua italiana all’università di Strasburgo dal 1908 al 1913, insegnò filologia romanza all’università di Pavia fino al 1927, poi la stessa materia a Torino dal 1928 alla morte, eccettuato il periodo – 1938-1944 – delle persecuzioni razziali contro gli ebrei.
La sua opera di studioso e di maestro rappresenta uno dei risultati più autorevoli raggiunti dalla filologia italiana contemporanea per il rigore assoluto del metodo unito a un impegno ricco di calore e di sensibilità.
Fra i suoi studi meritano particolare ricordo quelli dedicati alla letteratura italiana dalle origini al Cinquecento: La Mandragola (1911); Nuovi studi sulla Giuntina di Rime antiche (1912); Il Sollazzo. Contributi alla storia della novella, della poesia musicale e del costume nel Trecento (1922); Testi antichi Siciliani (1931), e soprattutto l’esemplare edizione critica dell’Orlando Furioso (3 voll., 1928) che nel 1960 è stata nuovamente data alle stampe con l’importante contributo del già ricordato Cesare Segre.
Anche le ricerche intorno a questioni storiche e filologiche riguardanti il poema ariostesco – L’Orlando furioso nella vita intellettuale del popolo inglese (1929) e I frammenti autografi dell’Orlando furioso (1937) – sono state più recentemente ristampate a cura del nipote e allievo Cesare Segre. L’edizione critica delle Satire resta invece inedita non essendo stata rivista dallo scrupolosissimo curatore a causa del suo allontanamento per alcuni anni dalla cultura pubblica operato dalla “delittuosa imbecillità dei razzisti” (Contini, «Belfagor» 1949).
Ha scritto anche intorno a problemi di letteratura provenzale (Flamenca, 1921) e sui rapporti fra la letteratura provenzale e quella italiana (Gli studi provenzali in Italia nel Cinquecento, 1911; Provenza e Italia, 1930).
Testimonianza della rigorosa adesione del Debenedetti alla migliore tradizione del metodo storico sono anche i suoi non numerosi, ma di grande precisione e puntualità, scritti danteschi: Dante e Seneca filosofo (1923) e alcuni altri articoli su specifiche questioni filologiche.
L’editore Einaudi nell’ambito del rigore che cercava di mantenere, pur nella difficoltà dei rapporti con il fascismo, relativamente al lavoro editoriale, chiamò il Debenedetti alla direzione dalla collana “Nuova raccolta di classici italiani annotati”. I titoli progettati sotto la sua direzione furono molti, ma solo due realizzati, La citta del sole di Campanella (a cura di Norberto Bobbio) e le Rime di Dante a cura di Gianfranco Contini. Lo stesso Contini dirigerà la collana dal 1953, ispirandosi costantemente allo stesso rigore del maestro.
Fu condirettore del «Giornale storico della letteratura italiana», e dal 1947 socio corrispondente dei Lincei.
Morì a Giaveno, presso Torino, il 17 dicembre 1948.
Dice Contini nel suo saggio del 1949 su Debenedetti: “Viveva solitario, poco amato, oggetto di leggende abborracciate e approssimative: quella d’una giovinezza galante, quella d’una malignità inesausta. In realtà, quello ch’egli esercitava era l’italo aceto d’una «médisance sublime» secondo la celebre formula milanese di Stendhal: intera nell’aggettivo e per così dire nulla nel sostantivo; priva del tutto del greve corpo della malvagità, conclusa e paga in un arabesco di fantasia e di linguaggio. […] Superfluo precisare che era un sentimentale frainteso. […] Negli ultimi tempi gli diede conforto la compagnia d’un giovane parente capace di assisterlo fino nelle necessità del mestiere. Così ci ha potuto lasciare compreso, conciliato e riconoscente.”
Fonti:
- G. Barberi-Squarotti, voce “Debenedetti Santorre” in GDE, vol. VI, Torino, 1992.
- C. Segre, Santorre Debenedetti, in «I Critici», vol. IV, Milano 1969.
- C. Dionisotti, Ricordi della scuola italiana, Roma 1998.
- G. Contini, Santorre Debenedetti, in «Belfagor» Vol. 4, N. 3, 31 maggio 1949, Firenze, 1949.
Note biografiche a cura di Paolo Alberti
Elenco opere (click sul titolo per il download gratuito)
- Il "Sollazzo"
Contributi alla storia della novella, della poesia musicale e del costume nel Trecento
Simone Prudenzani è autore del Sollazzo, novelle in forma di ottonari o di ballata, e che rappresenta un “libro nel libro”; la cornice è il Saporetto, dove viene rappresentato il mondo elegante e gaio della società del tempo. Il Saporetto è in pratica una corona di sonetti, che ha per tema un lieto trattenimento di due settimane in un paese di fantasia detto Buongoverno; musiche balli, cacce e giochi, canzoni italiane e francesi sono descritti dal protagonista, il giullare Sollazzo, con festosa sbrigliatezza.