Ezio Comparoni nacque a Reggio Emilia il 6 febbraio 1920 nella modesta abitazione di Via Aschieri 4, nella quale visse con la madre per tutta la vita. La madre era Rosalinda Comparoni e il padre ignoto. Rosalinda era originaria di una piccola frazione montana, Cerreto Alpi, e fece fronte alle necessità della famiglia ricorrendo a vari lavori, da bigliettaia in un cinema all’attività di cartomante. Cattolica praticante era però più interessata agli aspetti superstiziosi che a quelli della fede.
Certamente la madre ebbe un’influenza determinante nell’indurre il figlio alla lettura e alla scrittura. Esistono documenti che comprovano che all’età di nove anni il piccolo Ezio aveva già composto poesie che erano state lette dalla scrittrice Virginia Guicciardi Fiastri. A soli quindici anni, nel 1935, pubblicò, con le edizioni La quercia di Milano, il suo unico libro di poesie, Luci e penombre. Sono 17 poesie con dedica alla madre: «Al cuore di mia madre perché esso soltanto può sentire il mio». Il libro è firmato Raffaele Comparoni, dimostrando fin dall’inizio la volontà del giovane scrittore di ricorrere a uno pseudonimo.
Con lo stesso pseudonimo venne pubblicata pochi mesi dopo, per le edizioni Carabba, una raccolta di sette novelle, Maschere. Racconti di paese e di città. Sono racconti imperniati su tematiche tipiche della “letteratura minore” – banditi, mendicanti, amanti gelosi – alle quali verosimilmente era stato avviato dagli interessi materni. L’anno seguente terminò gli studi ginnasiali e si iscrisse al liceo Spallanzani. Sostenne tuttavia nel 1937, cioè dopo un anno dal termine del ginnasio, a soli diciassette anni, l’esame di stato a Pavia, preparato privatamente a questa prova dal professor Giuseppe Zonta – noto curatore di una bella edizione dei Trattati del Cinquecento sulla donna e altre notevoli opere di critica letteraria – e superato l’esame potè iscriversi alla facoltà di lettere e filosofia dell’Università di Bologna.
Nel 1939 iniziò ad usare lo pseudonimo Silvio D’Arzo, inviando il racconto Ragazzo di città prima a Vallecchi e poi a Garzanti ottenendo due rifiuti. Il racconto dovrebbe essere una prima stesura di Essi pensano ad altro. Il dattiloscritto tuttavia non è più stato rintracciabile.
Non ancora laureato iniziò l’attività di insegnante nei corsi serali della Scuola per tecnici industriali. Nel 1939 si può collocare la stesura di Essi pensano ad altro e L’uomo che camminava per le strade.
Al 31 dicembre del 1939 si fece promotore di una associazione di amici che si riunivano al bar della stazione per discutere di letteratura. Erano in dodici e presero il nome di “club dei dodici” con la promessa di ritrovarsi dieci anni dopo nello stesso posto per confrontare le loro esperienze.
Nel 1940 un lontano parente di Rosalinda, Pietro Comparoni, riconobbe Ezio come suo figlio. Alcune riviste accettarono di pubblicare dei racconti sempre a firma Silvio D’Arzo. Il “Meridiano di Roma” pubblicò I morti nelle povere case, Sera sul fiume (che è un capitolo di L’uomo che camminava per le strade) e Fine di Mirco. Il “Quadrivio” pubblicò invece Una storia così.
Ezio Comparoni si laureò, appena ventunenne, il 6 novembre 1941 con una tesi in glottologia, per la quale fu relatore l’eminente glottologo carrarese Gino Bottiglioni che dal 1938 insegnava a Bologna, dopo un decennio a Pavia. L’argomento della tesi – intitolata Aggiunte e correzioni all’A.I.S. per il centro 444 – verteva sulla correzione delle voci dialettali errate riportate dall’Atlante Italo-Svizzero in relazione alle parlate di tre paesi del reggiano: Albinea, Montericco e Piscerotto (di quest’ultimo toponimo l’atlante sbaglia la grafia che esattamente sarebbe Pissarotto). Comparoni si recava in bicicletta nei tre paesi citati per annotare le pronunce corrette. Nel corso degli studi universitari ebbe insegnanti come Calcaterra, Longhi e Funaioli.
Nel dicembre del 1941 “Quadrivio” pubblicò il breve racconto Peccato originale. Sul n. 1 del 1942 di “Le carte parlanti”, bollettino informativo dell’editore Vallecchi, comparve l’annuncio della prossima uscita di All’insegna del buon corsiero e sul numero 3 dello stesso bollettino D’Arzo scrisse una breve autopresentazione con fotografia ritoccata, volto invecchiato e baffi finti. Nello stesso 1942 sottopose a Garzanti, che però rifiutò, Essi pensano ad altro, L’uomo che camminava per le strade e L’osteria dei ricordi. Garzanti pubblicherà Essi pensano ad altro postumo solo nel 1976. A Vallecchi sottopose anche il progetto di un nuovo romanzo, Dalle memorie di Androgeo Zurbaran, del quale restano solo testimonianze indirette dalle lettere scritte e ricevute dagli editori.
Ma a luglio del 1942 fu costretto a partire per il servizio di leva, che si svolse a Canzo in provincia di Como, quasi sul confine con la Svizzera, come soldato semplice. Il 20 gennaio del 1943 fu però inviato ad Avellino per frequentare la scuola allievi ufficiali. Terminerà il corso il 28 agosto.
Nel frattempo All’insegna del buon corsiero viene finalmente stampato. Ma dalle sue lettere appare chiaro che la situazione storica generale lo coinvolge pochissimo. Si occupò in quel periodo soprattutto di elaborare nuovi percorsi narrativi e, accantonato per il momento Androgeo Zurbaran si dedicò al racconto Madre buona (che diverrà poi Nostro Lunedì).
È Vallecchi stesso che suggerì a Silvio D’Arzo di provare a scrivere un libro per ragazzi. L’autore si attivò immediatamente con evidente entusiasmo. La sua formazione sulla letteratura di lingua inglese – iniziata quasi un decennio prima con la lettura dell’antologia curata da Emilio Cecchi Scrittori inglesi e americani – lo spinse a scrivere poesie introduttive ai capitoli sulla falsariga dei Libri della Jungla e di Just so Stories di Kipling. Sempre vulcanico nei suoi progetti, accantonò Madre Buona e progettò un nuovo romanzo che avrebbe avuto titolo Se qualcuno non muore. Nell’estate 1943 spedì a Vallecchi – al quale aveva nel frattempo rivelato il vero nome e la vera data di nascita, che nei primi contatti era stata anticipata di alcuni anni – la prima redazione di Penny Wirton e sua madre che inizialmente avrebbe dovuto intitolarsi Il lamento dell’Anna-dei-bambini. Fu questo il suo primo contributo alla narrativa per ragazzi.
Ma l’8 settembre, mentre era nella caserma di Barletta – avrebbe dovuto partire per il fronte egeo – venne fatto prigioniero e instradato con una tradotta verso i campi di concentramento. Riuscì però a fuggire durante una sosta insieme ad un commilitone e si rifugiò presso dei contadini nella zona di Francavilla al Mare. Riuscì a rientrare a Reggio Emilia a novembre, riprendendo alacremente i progetti in sospeso e riallacciando i rapporti epistolari con Vallecchi. L’anno successivo pubblicò su “Le carte parlanti” n. 19 un articolo con titolo Inchiesta sulla narrativa.
Pur essendo sempre possibile un richiamo alle armi e una partenza per il fronte, riprese, oltre a procedere nei suoi progetti narrativi, anche l’attività di insegnamento. Ma il periodo è evidentemente irto di difficoltà. I contatti con Vallecchi, in seguito all’avanzata alleata, si interruppero nuovamente e poterono essere riallacciati solo dopo la liberazione, nella primavera del 1945. Con il collega (entrambi insegnavano al liceo Spallanzani di Reggio Emilia) Gian Battista Cavani curarono le illustrazioni per il racconto per ragazzi Gec dell’avventura. Cavani stesso a fine agosto riuscì a portare il testo a Vallecchi. Col quale editore c’erano però stati nei mesi precedenti alcuni dissapori, a causa degli indugi nella pubblicazione di L’Osteria, Nostro Lunedì, oltre alla ristampa di All’insegna del buon Corsiero.
L’approfondimento della conoscenza di scrittori inglesi e americani – nel frattempo progettava anche delle traduzioni, mai realizzate, forse di Peter Pan e altro – lo condusse a scrivere diversi saggi critici su vari autori che iniziarono nel corso dello stesso 1945 con la pubblicazione su “Il Contemporaneo” di Invito a Conrad. Nello stesso periodo iniziò a soffrire di un forte esaurimento nervoso, che però non limitò di molto la sua attività.
Alla morte di Attilio Vallecchi, nel febbraio 1946, iniziò a corrispondere con Emilio Cecchi. “Il Contemporaneo” pubblicò nel n. 8 il saggio Polonio o il sentimento della vita. La collaborazione con Cavani proseguì ma Gec dell’avventura venne respinto dalla sezione di Vallecchi che si occupava di letteratura per ragazzi. Cercò di trovare collocazione presso Einaudi di alcuni suoi lavori (Peccato originale, Un ragazzo d’altri tempi). “Il Contemporaneo” pubblicò nel n. 11 il saggio Io Robinson Crusoe. Nonostante gli attriti con Vallecchi propose ancora alla stessa casa editrice la raccolta di saggi Contea inglese, anche questa non pubblicata se non postuma molti anni dopo. Continuò invece l’ospitalità dei suoi testi su “Il Contemporaneo”: a firma Tullio Mari venne pubblicata la poesia Il lamento di Anna dei bambini. Imitazione da una ballata inglese, e a firma Silvio D’Arzo il saggio Kipling e L’isola. “La fiera letteraria” pubblicò anch’essa una sua poesia, firmata Oreste Nasi: Canto d’amore del supplente Fleirbig.
All’inizio del 1947 Gino Bizzarri, che aveva bocciato l’anno prima la pubblicazione di Gec dell’avventura, si ricredette completamente, sostituendo però le illustrazioni di Cavani con quelle di Piero Bernardini. Comparoni lavorò su questa variazione del progetto e il titolo venne cambiato in Bobby. Pensò anche di firmarlo con un nuovo pseudonimo. In realtà nei primi mesi del 1947 i saggi e i racconti pubblicati su riviste – “Cronache” pubblicò Elegia alla signora Nodier e Due vecchi, quest’ultimo firmato Sandro Nadi – ebbero ottima accoglienza e furono apprezzati. Questo lo indusse a intensificare le sue proposte presso le case editrici. Inviò ad Emilio Cecchi la prima stesura di Casa d’altri e ne ricavò un giudizio lusinghiero che D’Arzo utilizzò per caldeggiare la pubblicazione sia presso Vallecchi che presso Einaudi. In una lettera a Cecchi affermò di averlo proposto anche a Bompiani. “L’Umanità” pubblicò il saggio Conrad e l’Umanità che è una rielaborazione del resto già pubblicato da “Il Contemporaneo”. La prima stesura di Casa d’altri (con il titolo Io e la vecchia Zelinda) venne rifiutata da Einaudi che ne propose la pubblicazione a puntate su una rivista. Da una lettera a Cecchi si apprende che anche Bompiani rifiutò la pubblicazione del racconto. Il racconto venne poi effettivamente pubblicato, con firma Sandro Nedi, in “L’Illustrazione Italiana” in una versione appositamente abbreviata. Bobby cambiò nuovamente titolo divenendo Penny Wirton. Lo stesso Cecchi ne caldeggiò la pubblicazione all’estero. La buona accoglienza da parte dell’illustre critico delle opere che D’Arzo gli sottoponeva indusse lo scrittore a dedicarsi alla stesura di un romanzo, Un eroe dei nostri tempi. Nonostante alcuni momenti di entusiasmo per la possibile pubblicazione in Francia di Penny Wirton e sua madre, anche questo progetto si arenò; l’autore cercò anche di vederlo pubblicato nell’Est europeo.
Verso la fine del 1848 si dedicò a lavorare attorno all’idea iniziale di Nostro Lunedì che avrebbe dovuto diventare il primo capitolo di un nuovo romanzo destinato a inglobare altri racconti come Un eroe dei nostri tempi e Bandiera bianca. Accogliendo i suggerimenti di Cecchi giunse a una nuova stesura di Casa d’altri dandogli una consistenza che avrebbe potuto concretizzarsi in un breve volume. Proseguirono i contatti con altri editori per la pubblicazione di Penny Wirton e sua madre – pubblicato infine postumo da Einaudi nella collana Struzzi ragazzi nel 1978 – e fecero capolino altri due titoli destinati ai ragazzi: Tobia in prigione e Il pinguino senza frac. Su “Il giornale dell’Emilia” – denominazione assunta in quegli anni da “Il resto del Carlino” – vennero pubblicati i saggi Villon, buon compagno e Fra Cronaca e Arcadia, entrambi a firma Sandro Nedi.
Nell’autunno del 1949 iniziò a frequentare Ada Gorini, giovane allieva del pittore bolognese Ferruccio Giacomelli. La relazione fu in principio difficile; si consolidò dopo che Ezio Comparoni offrì alla giovane una copia del libro di Conrad Lord Jim, libro per eccellenza, secondo Ezio. Nella lettera con cui accompagnò la consegna del libro scrive: «Ada eccoti il nostro Lord Jim: spero che tu mi permetta di chiamarlo così: oggi non c’è niente di più nostro di quel libro: neanche noi. […] Credo che Lord Jim continuerà ad essere una presenza silenziosa e comprensiva su noi due. Certi libri, per certe persone, sanno servire anche a questo: e il silenzio alle volte ha illimitate possibilità e risonanze.» Questa lettera è conservata dalla biblioteca Panizzi di Reggio Emilia, assieme alle poche altre (forse 11 in tutto) inviate all’amata.
Anche Vallecchi finì però per suggerire la pubblicazione della nuova stesura di Casa d’altri come racconto su una rivista «mancando di architettura generale». Una terza rielaborazione del saggio su Conrad venne pubblicata nel maggio 1950 su “Il Ponte”. Verso fine anno vennero pubblicati anche i saggi L’isola di Tusitala e Henry James su “Paragone”: la stessa rivista ospita l’anno successivo il saggio T.E. Lawrence.
Ma nel corso del 1951 le condizioni di Comparoni, sofferente di leucemia si aggravarono. Subì vari ricoveri e trascorse un breve periodo di riposo a Tremosine e Malcesine sul lago di Garda tra il 3 e il 14 agosto insieme agli amici Degani e Negri. Nonostante l’estrema debolezza continuò a progettare iniziative di scrittura e revisione, in particolare in merito a Nostro Lunedì. Nel settembre “Paragone” pubblicò il saggio Hemingway.
Morì il 30 gennaio 1952 nel ricovero di Villa Ida ed è sepolto nel cimitero monumentale della sua città.
La madre, che tanta importanza ebbe nella vita e nell’attività di Silvio D’Arzo, sopravvisse altri dodici anni adoperandosi perché i suoi testi inediti potessero essere pubblicati, aiutata in questo dagli amici del figlio, soprattutto da Degani. Certamente la cosa più bella che averebbe potuto fare per lo sfortunato figlio che dava alla scrittura importanza preminente; ebbe infatti a scrivere: «Niente al mondo è più bello che scrivere, anche male anche in modo da far ridere la gente. L’unica cosa che so è forse questa».
Fonti:
- R. Macchioni Jodi, Silvio D’Arzo. Milano 1979.
- G. Degani, Silvio D’arzo in Nostro Lunedì. Firenze 1960.
- A.L. Lenzi, Silvio D’Arzo una vita letteraria. Reggio Emilia 1977.
- Cronologia, in Opere di Silvio D’Arzo, a cura di S. Costanzi, E. Orlandini, A. Sebastiani. Parma 2003.
- Silvio D’Arzo. Lo Scrittore e la sua ombra. Atti delle giornate di studio Reggio Emilia 29-30 ottobre 1982. Firenze 1984.
- L. Giroletti, Silvio D’arzo. (1920-1952) La “religione” della scrittura. Firenze 1998
- P. Lagazzi, Comparoni e «l’altro». Sulle tracce di Silvio D’Arzo. Reggio Emilia 1992.
- https://silviodarzo.com/2013/08/25/silvio-darzo-lo-straniero-capitolo-i-paragrafo-vii/#more-239
- http://panizzi.comune.re.it/Sezione.jsp?titolo=%27%27Mazzi+di+righe+come+fossero+rose%27%27&idSezione=457
Note biografiche a cura di Paolo Alberti
Elenco opere (click sul titolo per il download gratuito)
- All'insegna del "Buon corsiero"
Nel susseguirsi d’immagini, in un Settecento darziano profondamente anti-illuministico, che possono anche apparire labirintiche e che hanno il sapore della favola, D’Arzo affronta la profondità dei sentimenti, tuttavia sempre pervasi da un sentore di inquietudine. - Casa d'altri
L’elemento narrativo essenziale di questo che fu definito da Montale ‘racconto perfetto’ è una domanda che l’anziana lavandaia Zelinda vorrebbe porre al vecchio parroco di montagna di Montelice. Su questo esile tema ed esile sfondo D’Arzo costruisce un vero capolavoro da leggere e rileggere e ogni volta apprezzare di più aprendo sempre nuove vie nella ricerca del senso dell’esistenza. - Essi pensano ad altro
Testo giovanile, ma non per questo marginale – in cui la narrazione si regge su stati d’animo ed emozioni che si fanno a tratti sfuggenti –, importantissimo per seguire e comprendere le successive conquiste stilistiche ed esistenziali della poetica darziana. Anche qui è presente il disagio dell’incomunicabilità, che determina il fallimento. - Opere. Saggi
L’attività critica di D’Arzo presente in questi saggi non è fondata su una minuziosa analisi degli scritti degli autori che prende in esame. Anche nella critica prevale in lui la fantasia e il tumultuare delle sensazioni: in altre parole, emerge in questi scritti la sua vena di narratore, qui possiamo riscontrare la sua identità di scrittore che traduce le sue tecniche narrative in ambito saggistico. - L’osteria
Come in altre opere di D’Arzo, non succede praticamente nulla in questo romanzo, ambientato forse in una Mitteleuropa ottocentesca, ma è un nulla di grande densità e spessore, ricco di meraviglia e di incanto: è un oscillare continuo tra l’essenzialità delle cose e delle persone e il loro aspetto fantastico. - Penny Wirton e sua madre
Con un ritmo insieme sciolto e serrato, l’autore racconta le vicende del giovanissimo Penny, che la madre cerca di mettere al riparo dalla crudezza della realtà. Non mancano gli intenti pedagogici indirizzati verso un insopprimibile anelito alla giustizia. - Racconti
In questi racconti, alcuni giovanili, osterie, paesaggi dalle tinte improbabili, l’idea del suicidio, i luoghi chiusi e ristretti, la memoria come l’unico strumento per impedire agli accadimenti di sottrarsi al flusso del tempo sono già elementi che si saldano per costruire spazi e sensazioni che saranno caratteristici della scrittura più matura di D’Arzo. - L’uomo che camminava per le strade
L’ambientazione nel mondo della scuola di questo romanzo incompiuto non è insolita per l’autore. Questa ed altre affinità con sue altre opere rendono questa importante nel percorso dell’autore verso le progressive conquiste sia stilistiche che esistenziali.