L’Osteria fu pubblicato la prima volta nel 1960 nel volume Nostro lunedì a cura di Macchioni Jodi. L’idea del romanzo che avrebbe avuto titolo appunto Nostro Lunedì accompagnò D’Arzo fino alla sua morte. In una lettera a Vallecchi, in un momento nel quale le forze iniziavano a sorreggerlo poco, D’Arzo scrive:

«Mi sento, da ieri, parecchio scoraggiato e se, per fortuna, non avessi Nostro lunedì che mi attira moltissimo, sarei davvero ridotto moralmente a mal partito.»

Con ipotesi diverse di titolo il romanzo era già giunto alle bozze di stampa per Vallecchi fin dal 1942. Si sarebbe dovuto intitolare L’Osteria dei ricordi. Il 30 giugno 1943 l’autore propone di cambiare il titolo in Nostro Lunedì. Poi non fa più cenno a questo testo fino al 6 aprile 1948 quando lo ripropone come Nostro lunedì di ignoto del XX secolo (o Anabasi di ignoto del XX secolo). In pratica poi di questo progetto rimane solo la prefazione – che presenteremo raccolta insieme agli altri racconti brevi – e, forse, qualche traccia appunto in alcuni altri racconti (Una fasciatura ben fatta, Alla giornata).

«La vita è una strada fatta di tanti lunedì e sempre la speranza della domenica», è questa l’idea generale di Nostro Lunedì. In quest’ottica L’Osteria sembra entrare solo marginalmente in questo progetto, che avrebbe visto come personaggio principale un giovane intellettuale, amante delle lettere, timoroso degli accadimenti e attratto da un mondo che ha riscontro solo nell’ideale e nell’irrealtà. L’Osteria è invece collocabile nello spazio e nel tempo presumibilmente in una Mitteleuropa – questo in virtù dei nomi dei personaggi – forse ottocentesca, desumibile dai mestieri dei personaggi stessi. Ma permane uno scenario evanescente, nebbioso ed enigmatico nel quale prendono luce e vigore di volta in volta oggetti, ambienti, persone. E la luce più importante la prende, forse, la piccola Maghit che evidenzia una volta di più come D’Arzo sappia guardare all’infanzia come allo stadio elementare, quasi primigenio, senza alcuna vena nostalgica, ma rappresentandolo come l’embrione ancora puro e inerme della complessità umana che a questa fase succederà. La piccola Maghit è «non più alta di un tavolino» e sorride «come sanno sorridere però solo le bimbe sulle aie di campagna: cioè con tutta se stessa, se mi spiego, e non cogli occhi o magari la fronte solamente.» La complessità che fa da contraltare a questo stato primigenio è rappresentata dal vedovo Marek, dal mendicante Lepic, dall’uomo che non ha nome il quale, entrato per caso all’osteria, viene coinvolto nella grande festa ed è capace di trovare subito un punto di contatto con la piccola Maghit.

In realtà, come in altre narrazioni darziane, non succede praticamente nulla in questo breve romanzo, ma è un nulla di grande densità e spessore. Meraviglia e incanto arricchiscono questa mancanza di accadimenti eclatanti; la povertà del fatto mette in risalto la ricchezza dell’essenziale che alimenta il ritmo e l’anelito stesso del racconto. Solo Savinio è stato capace con altrettanta efficacia di modellare sogni e fantasmi nel suo immaginifico quadro denso di ironia. Entrambi si insinuano in maniera labirintica in un intreccio continuamente spezzato e ricomposto; ma, accantonando ogni altra differenza, è solo e tipicamente darziano quell’oscillare continuo tra l’essenzialità delle cose e delle persone e il loro aspetto fantastico che rende aguzza la sensazione di estraneità – in questo racconto incarnata nell’incomprensione di Lepic per le parole che l’uomo giunto all’osteria rivolge a Maghit – che probabilmente ha permeato l’intera breve vita di D’Arzo, per il quale “casa” sintetizza vita e morte e, in quanto casa, resta sempre “d’altri”. Per cui l’uomo che ha parlato con enigmatica alchimia alla piccola Maghit – ma da lei è compreso – non può più far altro che allontanarsi nella notte e scomparire nelle acque del canale.

Sinossi a cura di Paolo Alberti

Dall’incipit del Prologo:

Marek vedovo, da che la moglie gli era stata sepolta nella valle assieme ai vecchi amici carrettieri, non metteva più piede nella strada, benché né ricordi, o particolari pene o nostalgia lo tenessero chiuso in quel suo andito dall’odore di notte o acqua notturna.
«Ehi ehi» gli andavano gridando qualche volta di giù i vecchi compagni, e uno magari portava lettere o pacchi nei cortili, magari uno teneva in mano una scopa antica e dura per aiutare il volo delle foglie «ehi ehi, mi sembra che Marek vedovo ora esageri.» O anche: «Sua moglie è in mezzo a tutti i carrettieri. È nella valle, in mezzo a tutti i vecchi carrettieri, e qualcheduno non andava mai dal reverendo Gonek per la predica». O anche, poi: «E nemmeno eran tutti vecchi, i carrettieri». (Si udiva ora la scopa di fascine stridere brevemente sopra i sassi, poi addolcirsi dentro una pozza d’acqua, poi riprendere: anche s’udiva il nome e il cognome di un vicino con degna e stizzosa voce d’uomo piccolo). E infine, e sorridevano: «Farebbe meglio ad andar giù dall’Eva, dietro il banco».
Ridendo, assicuravano di averla vista appunto un minuto prima: e dietro il banco.

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titolo:
L’osteria
titolo per ordinamento:
osteria (L')
descrizione breve:
Come in altre opere di D’Arzo, non succede praticamente nulla in questo romanzo, ambientato forse in una Mitteleuropa ottocentesca, ma è un nulla di grande densità e spessore, ricco di meraviglia e di incanto: è un oscillare continuo tra l’essenzialità delle cose e delle persone e il loro aspetto fantastico.
autore:
opera di riferimento:
Opere / Silvio D'Arzo ; introduzioni di Alberto Bertoni, Fabrizio Frasnedi ; a cura di Stefano Costanzi, Emanuela Orlandini, Alberto Sebastiani. - Parma : Monte Università Parma, [2003]. - LXXXV, 979 p., [1] ritr. : ill. ; 21 cm.
licenza:

data pubblicazione:
22 febbraio 2024
opera elenco:
O
ISBN opera di riferimento:
88-88710-02-7
descrittore Dewey:
Narrativa italiana (sec. 20.)
soggetto BISAC:
FICTION / Generale
affidabilità:
affidabilità standard
digitalizzazione:
Catia Righi, catia_righi@tin.it
impaginazione:
Catia Righi, catia_righi@tin.it
pubblicazione:
Catia Righi, catia_righi@tin.it
Claudia Pantanetti, liberabibliotecapgt@gmail.com
revisione:
Paolo Alberti, paoloalberti@iol.it