Anna Franchi nacque a Livorno il 15 gennaio 1867; il padre Cesare era commerciante, la madre si chiamava Iginia Rugani ed era di 24 anni più giovane del marito. Era figlia unica. La famiglia era agiata nonostante il nonno materno per seguire gli ideali patriottici si fosse rovinato trascurando gli affari, appoggiato in questi ideali dalla moglie attivissima nel proteggere i cospiratori perseguitati. Anche i nonni paterni condividevano le idee liberali e il padre Cesare consentì ad Anna un’educazione e un’istruzione che in quel periodo era superiore, per una donna, a quella tipica della sua estrazione sociale. Anna compì quindi studi classici e ebbe anche una accurata educazione musicale. Nel salotto della casa livornese si riunivano gli amici mazziniani del padre e la piccola Anna ascoltava dalla viva voce dei protagonisti la narrazione delle vicende che avevano portato all’unità d’Italia. In questo ambito conobbe un violinista e direttore d’orchestra, Ettore Martini, il quale cominciò a impartirle nel 1881 lezioni di pianoforte, dopo che era stata scartata l’idea di mandarla a studiare al Conservatorio di Milano, cosa che avrebbe potuto avere la conseguenza di avviarla ad una attività disdicevole da artista di palcoscenico. La madre Iginia aveva avuto prima del matrimonio una vicenda sentimentale finita tragicamente con la morte per annegamento del pretendente, sempre rifiutato dalla famiglia di lei, nel tentativo di rivederla e questo, dice Anna, aveva influito sulla sua attitudine malinconica che probabilmente contribuì a rendere difficili i rapporti con la figlia.
A soli 16 anni, nel 1883, si trovò sposata al Martini e il matrimonio non fu affatto felice. Ebbe quattro figli e, quando Anna chiese la separazione, in ossequio alle leggi dell’epoca i primi due figli, Cesare e Gino, furono affidati al padre che li portò con sé in America, mentre il quarto, Ivo rimase con lei in Italia. Il terzo, Folco, morì ancora piccolo a poco più di un anno di età.
Per procurarsi un reddito Anna fece ricorso all’unico strumento che aveva, cioè la sua cultura e vide pubblicato il suo primo breve racconto, Per gli umili, nel 1897. L’anno successivo pubblicò Dulcia-Tristia e sono pagine dove traspare il suo grande dolore. La carriera di scrittrice e giornalista è ormai intrapresa. Collaborò a diverse riviste tra le quali “Nuova Antologia” e tradusse dal francese, su incarico della casa editrice Salani, Una Vita di Guy de Maupassant, Diario di una cameriera di Octave Mirbeau, Il pregiudizio di Isabella di M. Maryan, alcuni racconti di Sophie de Segur e le favole di Fedro dal latino. Iniziò anche a scrivere per i bambini e nel 1900 – dopo che si era trasferita a Milano – andò alle stampe, illustrato da Carlo Chiostri, uno dei primi illustratori di Pinocchio, Cirillo a reggimento e l’anno successivo I viaggi di un soldatino di piombo.
Si era già cimentata con il teatro con un’opera rappresentata a Livorno nel 1895 ma mai data alle stampe (Per amore) e successivamente nel 1910 e 1911 con due opere rappresentate a Milano, Alba Italiana e Burchiello.
Le vicende relative alle proposte parlamentari per l’istituzione del divorzio la indussero a scrivere, in tutta fretta, il romanzo largamente autobiografico Avanti il divorzio pubblicato nel 1902, e subito dopo il saggio Il divorzio e la donna; nel 1903 pubblicò il testo della conferenza tenuta all’Università popolare di Parma intitolata semplicemente Il Divorzio.
Fin dal 1900 entrò, seconda donna dopo Anna Kuliscioff, nell’associazione dei giornalisti milanesi e intensificò le proprie collaborazioni giornalistiche con il “Secolo XX” e “La Lombardia”. Fin dai primi numeri collaborò con il “Corriere dei Piccoli” con lo pseudonimo di Nonna Anna.
Pur non appartenendo ad alcun partito non poteva nascondere la sua affinità con i socialisti e risultava controllata dalla questura in seguito ad alcune conferenze di tenore “sovversivo”. Partecipò infatti, accettando di parlare, a un comizio al Teatro Politeama di Livorno, sulla proposta di legge sul divorzio di Berenini e Borciani. Insieme a Ernesta Bittanti fu attiva nella Lega Femminile aderente alla Camera del Lavoro. Negli anni 1896-97 in occasione dell’agitazione delle “trecciaiole” fece parte della Commissione Propaganda della camera del Lavoro. Le “trecciaiole”, cioè le operaie che intrecciavano la paglia per la produzione dei cappelli, diedero vita in pratica al primo episodio di rivendicazioni salariali e normative da parte di manodopera femminile in Toscana e tra i primi in Italia, in seguito all’importazione di trecce di paglia fabbricate nella zona di Napoli e di paglia di riso addirittura dalla Cina a prezzi molto più bassi. All’agitazione si unirono le impagliatrici di fiaschi di Empoli e le lavoratrici del tabacco di Firenze. Queste vicende possono essere approfondite con l’interessante lettura del libro La Baldissera e lo sciopero delle trecciaiole del 1896 attraverso la cronaca de «La Nazione» curato da Marco Conti nel 2007.
Nel 1909 pubblicò il libro Un eletto del popolo nel quale un deputato socialista abbandona la propria compagna con un figlio e la protagonista è sempre pronta, nonostante gli stenti e le difficoltà, a battersi per la causa dell’emancipazione femminile. Nello stesso anno il figlio Gino tornò a vivere con lei e con lei condivise le aspirazioni e le iniziative irredentiste contro l’Austria e le posizioni interventiste alle quali Anna era approdata dopo una fase pacifista e una neutralista.
I figli Gino e Ivo si arruolarono e Gino, tenente dei mitraglieri, perì il 2 settembre 1917 sul S. Gabriele. Questo fatto non scalfì affatto in Anna Franchi l’idea che l’Italia dovesse partecipare al conflitto. Dopo la pubblicazione nel 1916 di Le città sorelle, testo nel quale si dimostrò decisamente interventista, Anna Franchi pubblicò Il figlio alla guerra, con pagine intense di dolore della madre per la perdita del figlio ma anche per la patria sofferente per l’invasore straniero.
Le idee delle donne interventiste democratiche (il caso di Teresa Labriola è piuttosto diverso in quanto quest’ultima fu interventista avendo aderito a idee nazionalistiche che vedevano nella guerra lo strumento che avrebbe dovuto condurre al superamento del parlamentarismo liberale e dei conflitti di classe con l’individuo totalmente subordinato alle esigenze dello stato-nazione) si articolavano su tre punti: diritto di cittadinanza, patriottismo e concetto di “guerra giusta”. La guerra era per le donne l’occasione per essere cittadine di fatto, attive e coinvolte nella vicenda bellica nonostante la mancanza di diritti civili e politici. Le benemerenze acquisite durante il conflitto avrebbero facilitato l’ottenimento dei diritti rivendicati dal movimento emancipazionista. A tal proposito si può vedere anche la vicenda di Maria Ryger https://liberliber.it/autori/autori-r/maria-rygier/.
Al termine della guerra insieme ad Angelina e Norina Biasioli diede vita alla Lega dell’Assistenza delle Madri dei Caduti che ebbe importanza rilevante nella decisione del ministero della guerra di concedere una pensione alle madri dei caduti. Durante il ventennio fascista si appartò dalla vita politica ma il suo sentire fu ben lontano dal regime. Nel 1919 aveva pubblicato L’ultimo re, prefato da Innocenzo Cappa (che era stato fervente interventista ma non ancora fascista…), che è una sorta di satira politica.
Fin dal 1912 si era avvicinata alla massoneria femminile entrando nella loggia torinese “Anita Garibaldi” con l’interessamento della maestra venerabile Lavinia Hole. In questo modo intendeva dare corpo al suo sentire anticlericale. Nel 1913 fondò la loggia massonica a Milano “Foemina superior”.
Nel 1921 morì l’ex marito Ettore Martini. Continuò a dedicarsi alle traduzioni (per esempio Le diaboliche di Barbey D’Aurevilly) e alla letteratura per l’infanzia con diverse “pinocchiate”, ma anche a testi storici tra i quali spicca Caterina de’ Medici ristampato nel 2016 dalla casa editrice Castelvecchi. Non trascurò neppure il suo interesse per la pittura, iniziato fin dal 1902 con Arte e artisti toscani dal 1850 ad oggi e proseguito nel 1919 con lo studio biografico su Giovanni Fattori e un altro su I Macchiaioli toscani che corona una lunga frequentazione con gli artisti di questa scuola e con lo studio di Telemaco Signorini. Nel 1940 scrisse la propria autobiografia (La mia vita) ripubblicata nel 1947 aggiornata e ampliata. Sono oltre 60 i testi che lascia.
Morì a Milano il 4 dicembre 1954 ma le esequie furono tenute a Livorno come aveva lei stessa desiderato. È sepolta nella tomba di famiglia al Cimitero Comunale dei Lupi.
Fonti:
- A. Franchi. La mia vita, Milano 1947.
- A.M. Isastia. Franchi Anna in Le italiane dall’unità ad oggi. Modelli culturali e comportamenti sociali. Roma-Bari 1992.
- G. Conti Odorisio, F. Taricone. Per filo e per segno. Torino, 2008.
- E. De Troja. Vita di Anna Franchi in Avanti il divorzio. Firenze 2016.
- L. Gigli. La passione politica di una scrittrice. Appunti per una biografia di Anna Franchi in Vivere da protagoniste [a cura di P. Gabrielli]. Firenze, 2001
- Elisabetta De Troja, Anna Franchi: l’indocile scrittura. Passione civile e critica d’arte. Firenze 2016.
Note biografiche a cura di Paolo Alberti
Elenco opere (click sul titolo per il download gratuito)
- Avanti il divorzio
Romanzo
Se l’intento di questo testo, senza dubbio autobiografico, è principalmente di tipo ideologico-propagandistico, nel momento in cui, ai primi del Novecento, si dibatteva di una prima legge sul divorzio, tuttavia più di un brano del romanzo risulta efficacissimo anche dal punto di vista letterario.