Scritto all’indomani della fine della prima guerra mondiale, il testo tratta dei problemi che si pongono per la pacifica convivenza europea, da quelli derivanti dal non certo sopito pangermanismo a quelli interni, nazionali, dove l’autore vede divampare più l’odio che l’amore.
Nello scritto che chiude il volume, L’umanità di Herder e il concetto della razza, prende spunto dal pensiero del filosofo e scrittore tedesco che sviluppò le proprie idee a cavallo tra il XVIII e XIX secolo, sviluppando la sua particolare filosofia della storia per mettere in guardia il lettore sul possibile diffondersi di concetti di razza che hanno poco di “naturale” e appaiono pericolosi. Alla luce di quanto successo nei decenni successivi alla prima edizione di questo libro, certe pagine appaiono particolarmente preveggenti, sull’ala dell’entusiasmo – spesso un po’ ingenuo – che caratterizza la scrittura del Farinelli. Nell’edizione successiva, del 1924, l’autore avverte nella prefazione che “l’alba dei nuovi tempi” gli appare più lontana e che l’odio ha quasi completamente prevalso sull’amore; lo scritto su Herder è scomparso, “per alleggerire il volume”.
Sinossi a cura di Paolo Alberti
Dall’incipit del libro:
Debbo premettere ch’io non intendo svolgere qui nè conferenze, nè arringhe, nessun discorso in cui la parola appaia misurata e scelta e s’insinui carezzevole nell’animo de’ miei uditori; sempre mi recarono disturbo e tedio le conferenze in voga, ripetute con fastidiosa abbondanza dai nostri facili e fertili oratori, più intenti a soddisfare la loro vanagloria personale e ad apparire eloquenti, brillanti, amabili, che a comunicare il pensiero vivo, la convinzione, il fremito, l’ardore, che dev’essere nella coscienza; parlo perchè mi occorre un sollievo, un libero aprirsi ed espandersi del cuore. Se io badassi all’effetto, se, per amore di una bella e conveniente espressione, io togliessi un filo alla sincerità del sentimento e quindi del dire mio, se io non esplodessi con assoluta immediatezza e franchezza, non mi darei pace, e aprirei in me quel dissidio ch’io avvertirò più innanzi nelle genti mosse ad agire distaccate dal loro intimo pensiero, disposte a sacrificare il convincimento o la fede, per il miraggio vano dell’utilità e dell’interesse, o per stolta ambizione.
In un determinato periodo della vita, piegata la mente da un lungo seguito di riflessioni e di esperienze, si sente come un bisogno di osservare lo sviluppo dello spirito nel cammino percorso, e si delibera di tener giudizio di sè medesimo, accostando il destino proprio individuale al destino del mondo che ci involge e di cui formiamo parte inscindibile.

