Giuseppe Ferrari fu intellettuale di spicco, a contatto con Giuliano Cassiani (1712-1778), Carlo Innocenzo Frugoni (1692-1768), Carlo Goldoni (1707-1793) ed altri dotti dell’epoca. La sua opera fu di non minima importanza ed indubbiamente di buona qualità letteraria. Era dotato di una intelligenza acuta, umorismo a tratti feroce, sensibilità artistica e religiosa notevoli, il tutto accompagnato da un certo carattere schivo. Fu membro dell’Accademia dei Dissonanti e poeta arcadico con il nome di Tigrinto Bistonio.

Il ‘700 era l’epoca degli abati (o ‘abbati’, come si scriveva allora, prima della rivoluzione francese): Giuseppe Parini, e, a Modena in particolare, Ludovico Antonio Muratori, Girolamo Tiraboschi, Carlo Antonio Giardini, Giulio Nuvoletti, Giuseppe Ferrari e altri cattolici consacrati, che si dedicarono con piacere ed attenzione allo studio. Ferrari fu latinista, scrittore in italiano e modenese, traduttore dal francese, noto principalmente per G**li elogi del porco, forse peraltro non la sua opera migliore.

Nacque il 21 ottobre 1720 a Castelvetro di Modena, quarto figlio di Antonio e Camilla Castagnini. I suoi genitori erano al servizio dei Marchesi Rangoni. Il padre era Portinaro, quindi non era un semplice contadino, ma ricopriva un incarico di responsabilità. La madre Camilla morì nel 1739 a soli 55 anni. La morte prematura degli altri fratelli maschi portò all’estinzione della famiglia nel 1741 quando il padre Antonio morì a settant’anni. I feudatari Rangoni si affezionarono ai due orfani, Maria Caterina e Giuseppe, e si accorsero ben presto delle qualità di Giuseppe, di mente sveglia e con una forte attitudine allo studio. Così egli ricevette i primi rudimenti scolastici proprio grazie ai Rangoni. A quel tempo iniziò a servire messa come chierichetto e subì il fascino della religione cattolica che lo avrebbe portato in seminario, scelta che fu ben vista dai suoi feudatari ai quali sempre Giuseppe fu grato e riconoscente. Tra il 1733 e il 1735 fu deciso di inviare Giuseppe a Modena per avviarlo agli studi superiori.

Quel quattordicenne ‘di mediocre architettura’, cioè di gradevole aspetto, non di tarchiata sembianza contadina, era ricco dei fondamentali rudimenti del sapere e, tra l’altro, grande ammiratore di Alessandro Tassoni (1565-1635), autore della celebre La secchia rapita. Nel 1747 collaborò ad un libretto di omaggi per una professione religiosa: fu la sua prima collaborazione ad un’opera data alle stampe. Nel 1748, a meno di 28 anni, completò la sua istruzione laica e religiosa e venne consacrato. Vescovo della capitale estense era allora Giuliano Sabatini, arcade dei Dissidenti, fine diplomatico e grande oratore, con inclinazioni artistiche e per le lettere, passioni che Ferrari condivideva. Questo fece sì che il prelato apprezzasse il giovane sottoposto: stima ed affetto ricambiate dal giovane. Nel 1750 Ferrari venne ammesso nell’Accademia dei Dissonanti di Modena; entrò nell’Accademia contemporaneamente ad altri dotti fra i quali Giovanni Maria Rangoni, suo protettore.

Le Accademie furono il vanto e l’orgoglio del nostro ‘700: cenacoli di sapienti che si richiamavano all’Accademia o Scuola di Platone ad Atene. Furono la reazione al barocco, mirarono al ritorno alla semplicità nello stile letterario, a temi facili e chiari ed ebbero, naturalmente, anche dotti oppositori. Nel periodo di permanenza a Modena di Ferrari, regnò Francesco III d’Este (regno 1737-1780). Questi e il suo formidabile bibliotecario Ludovico Antonio Muratori diedero particolare impulso all’Accademia modenese. Nel 1752 il duca volle che l’Accademia dei Dissidenti fosse eletta Accademia Ducale come ente di Stato. L’Accademia è ancora attiva.

Ferrari vi entrò proprio nel 1750, anno di morte del Muratori. Vigeva la regola di assumere uno pseudonimo e il giovane abate scelse il nome di Tigrinto Bistonio. Egli forse peraltro era già entrato negli anni ‘40 del ‘700 nell’Accademia dei Fluttuanti di Finale Emilia. Dunque egli fece parte di varie accademie, ebbe fitte relazioni con gli intellettuali del suo tempo, fu ritenuto modesto ma anche assai dotto e degno scrittore.

Ferrari si descrisse in due sonetti – era questo un modo abbastanza consueto di tanti letterari per descrivere sé stessi, il loro aspetto fisico, le caratteristiche morali:

Tra i confini di mediocre architettura
Della persona mia s’innalza il fusto:
Fronte alta e ugual, chioma distesa e scura,
Occhio allegro e biancastro e ciglio onusto.

Naso curvetto e di misura giusto;
Pallido il volto, un po’ rossiccia e dura
La barba; il labbro di un color venusto,
Buon dente e bocca da non far paura.

Lungo il dito, la man nervosa; il petto
Scarno e il dorso; agil gamba e giusto il pede,
E me non avvi natural difetto.

Da giovanili error non sono intatto;
Tenero ho il cor: pace ed onor vi han sede
Studio assai, son poeta, e poi? Son matto…
(Bibl. Estense Univ. di Modena: Sonetto CCLXXXIV)

E ancora:

Taluno almen che tacito e pensoso
Talor mi vede e incontra per la via,
Al basso borbottare, al curioso
Gesto che faccio, assorto in Poesia:

Al girmen solo, or lento or frettoloso
E con in volto la malinconia,
In atto in pria ridente, indi pietoso
Mi segna dito e dannami a pazzia;

E dice: ve’ la gloriosa meta
Delle fatiche sue, de’ studi suoi.
Sfumogli il senno e si trovò Poeta.

Ma frena, o vulgo indotto, i detti audaci:
Un Dio, se tu nol sai, un dio v’è in Noi;
Tu lo paventa, ti vergogna e taci.
(Bibl. Estense Univ. di Modena: Sonetto CCLXXXV)

Morì il 12 giugno 1773, a meno di 53 anni, e non si hanno certezze sulle cause della morte. Fu sepolto in San Vincenzo. Se la morte fu improvvisa, forse timori di essa lo avevano già accompagnato se si risolse a lasciare alcune disposizione testamentarie. Intorno ai suoi quarant’anni in tre terzine ne, Gli elogi del porco, scrive a proposito del cotechino:

Se la macchina mia lo comportasse,
E che l’erario poi men floscio fosse,
Vorrei, che ognindì meco si trovasse;

Ma un ostinata malandrina tosse,
Che nacque meco, e meco morirà,
Mi trattien nel più bel sovra le mosse;

Che quel dì, che ne gusto, mi si fa
Tal mancanza affannosa di respiro,
E smania tal da muovere a pietà
[…]

Della ricca produzione di Ferrari pochissimo andò alle stampe a causa non solo della sua naturale ritrosia ma anche della morte prematura. Comunque egli fu scrittore prolifico ed anche curatore di alcune miscellanee, che contengono alcuni suoi sonetti:

  • Omaggi per una professione religiosa per il monastero di San Paolo. Modena, 1747. Con due sonetti di Ferrari.
  • Rime per Giuseppe Livizzani. Modena, 1753. Anche qui sono presenti solo due sonetti di Ferrari.
  • Parafrasi dell’inno “Si queris miracula”. Modena, 1756. In quest’opera Ferrari commentava un Inno a Sant’Antonio da Padova, ancora caro ai modenesi, prezioso per ritrovare gli oggetti smarriti.
  • Canzone in morte del Conte Luigi di Colloredo. Modena, 1758. Miscellanea.
  • Per le felicissime nozze di S. E. Il Signor Marchese Giovanni Maria Filippo Rangone colla Sig. Marche. Donna Luigia del S. R. I. Principe Gonzaga. Modena, 1760. Miscellanea. Oltre ai pochi suoi scritti, vi compaiono, tra altri, componimenti dell’abate Pietro Chiari e di Carlo Goldoni.
  • Gli elogi del porco. Modena, 1761.

Moltissime, come accennato, sono le opere inedite: la Biblioteca Estense Universitaria di Modena conserva una raccolta in manoscritto di 350 sonetti di vario genere composti da Tigrinto Bistonio. Sono sonetti interessanti e spesso di pregio, che trattano di argomenti religiosi e laudativi di vario genere. Ferrari, pur non raggiungendo le vette di Parini o di Frugoni, di Chiari o di Goldoni, è stato un letterato da non far cadere nel dimenticatoio. Fu anche traduttore dal francese. Tra i suoi lavori citiamo Portrait du veritable honnete homme, ou soit Maximes de la sagesse ouvrage d’un celebre prelat froncois traduit en langue italienne par monsieur l’abbe Joseph Ferrari modenois (Modena, 1772) con testo italiano a fronte. Contiene le Maximes de sagesse attribuite a Fénelon e un sonetto di Jean Henault. Ebbe interessi per il teatro e si adoperò per far rappresentare numerosi testi.

La ricca produzione di sonetti era perlopiù panegirista ma questo non ne sminuisce il valore letterario: quelli erano i tempi e la pratica era normale e diffusa. Se pure si piegò a cortigianerie e si tenne vicino al potere, fu comunque uno spirito libero, faceto ed ironico. Visse in un’epoca in bilico tra il fulgore del secolo dei lumi e i primi sommovimenti della rivoluzione francese: in Ferrari questa situazione di incertezza si coglie, fu attento ai venti d’Oltralpe e in lui si leggono a tratti i germi del cambiamento.

Gli ultimi anni furono intensamente rivolti alla religiosità e alla poesia. Divenne confratello della congregazione della Beata Vergine e di San Carlo presso l’Oratorio Rotondo di Modena.

Ci resta l’impressione di una vivace intelligenza, perfettamente calata nei suoi tempi e nelle sue relazioni; Ferrari fu un tipico letterato del ‘700, un attivo animatore culturale, organizzatore di pubblicazioni a più mani, eventi teatrali, interprete egli stesso, eccellente ed apprezzato, delle sue opere poetiche.

Fonti:

  • Gian Carlo Montanari, Il letterato abate : Giuseppe Ferrari da Castelvetro (1720-1773), Accademico Dissonante e Pastore Arcade “Tigrinto Bistonio” : un protagonista della vita culturale del Settecento. Modena, 2015. Contiene una ricca bibliografia sul tempo e l’ambiente in cui visse Ferrari.

Note biografiche a cura di Claudia Pantanetti, Libera Biblioteca PG Terzi APS

Elenco opere (click sul titolo per il download gratuito)

  • Gli elogi del porco
    Questo poemetto, dedicato dall’abate Giuseppe Ferrari all’animale tanto prezioso in tavola quanto disprezzato da vivo, è considerato da sempre un capitolo importante della storia della cucina e in particolare della storia del costume padano.
 
autore:
Giuseppe Ferrari [1720 - 1773]
ordinamento:
Ferrari, Giuseppe [1720 - 1773]
elenco:
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