Pubblicata nel 1761, Gli elogi del porco è una delle pochissime opere di Ferrari, nonostante la sua corposa produzione letteraria, che venne data alle stampe. E, se anche questa non rappresenta forse la sua opera migliore, è certamente la più famosa.
Già si è sottolineata, nella biografia, la grande ammirazione di Ferrari per Alessandro Tassoni (1565-1635), autore della celebre La secchia rapita. Fu proprio la considerazione che se il grande Tassoni si era concesso di scrivere elogiando una misera secchia, poteva egli stesso, umile abate, dedicarsi ad una composizione indubbiamente profana; certamente al cospetto della secchia, il suo porco non sfigurava affatto.
Il poetare profano, non raro, di alcuni ecclesiastici, pur essendo tollerato, spesso rischiava però di essere considerato inadatto alla dignità sacerdotale. Ferrari quindi stentò a prendere una decisione e pubblicò il suo elogio in maniera quasi furtiva. Fu forse proprio l’eminente abate Carlo Innocenzo Frugoni ad incoraggiare la pubblicazione, a seguito di una lettera con la quale Ferrari implorava con deferenza un parere.
Nell’introduzione dell’opera Ferrari rivela come nacquero questi elogi che egli, modestamente, definisce “indigesta tiritera di rime”: durante un ricco pranzo in Casa Marchisio, famiglia in vista nella Modena del ‘700, comparvero in tavola due ‘Cotichini’; un commensale li additò come «un oggetto tutt’affatto capace delle Poetiche acclamazioni». La sfida era mossa. Ferrari tacque ma in cuor suo decise di mettere sulla carta dei “capitoli berneschi” degni dell’animale tanto prezioso in tavola quanto disprezzato da vivo. Inevitabile non ricordare l’adagio “Del maiale non si butta via niente”. Il riferimento di Ferrari ai capitoli berneschi collega la composizione all’opera del toscano Francesco Berni (1497-1535) che si cimentò in farse rustiche, le quali, pur provenendo da tradizioni antiche non solo del mondo mediterraneo, con lo scrittore italiano assursero a genere letterario.
Lo stesso autore riconobbe non trattarsi di un’opera eccelsa, tuttavia essa è considerata da sempre un capitolo importante della storia della cucina e in particolare della storia del costume padano. Si tratta di un poemetto in due parti, di 623 in decasillabi che prende l’avvio con la storia di Roma e del mondo antico, dimostrando peraltro nell’autore una conoscenza approfondita del mondo classico.
Il poemetto non sminuì affatto la fama di Ferrari ai suoi tempi ed esso ha divertito dal ‘700 in poi. Data poi la notevole capacità oratoria dell’autore, le sue letture nei salotti colti furono graditissime ed apprezzatissime.
Sinossi a cura di Claudia Pantanetti, Libera Biblioteca PG Terzi APS
Dall’incipit del libro:
Eccovi o giudiciosi Lettori, un Furto Poetico. Questa volta l’Amicizia e l’inviolabile Dritto di fedeltà sono stati oggetti per me di lieve momento. Una siffatta tradigione usata ad un Amico per il pubblico bene, e per i vantaggi della Repubblica Letteraria mi fa anzi superbo. Le Opere magistrali degli Eruditi, e de’ Vati egregi non debbono giacere inutilmente sconosciute fra obblio, e la polvere. I Dotti hanno ragione di goderne. I due seguenti Berneschi Capitoli meritavano le Stampe. Sono figli felici di non vulgare Ingegno, e noto a tutti. L’Abbate Giuseppe Ferrari Segretario in Casa Rangone ne fu l’Autore. L’umiltà sua, la troppo cavillosa diffidenza di se stesso gli faceva riguardare le seguenti composizioni come cosuccie non meritevoli d’esser lette, che in privato amichevol congresso. Ma egli dovria pur sapere, che Chi va animoso su per le vie di Pindo calcabili solo da’ divini Talenti, non ha a vergognarsi che il Mondo lo sappia. Io però col riflesso di dare con tali Capitoli un pascolo consentaneo al desiderio de’ saggi Coltivatori del Toscano Elicona mi sono indotto a stamparli senza la sua intelligenza, e con tutto che più volte me ne avesse negata copia. Troverete unite a’ Capitoli le rispettive Lettere, che gli accompagnano. Queste vi metteranno a giorno di ciò, che potrei ancor io dirvi, se non temessi di rendermivi rincrescevole. L’erudizione, la politezza della Frase e la natural vena di verseggiare che ho rilevata in queste piacevoli Composizioni, m’hanno violentato a non aver riguardo alle leggi dell’Amistà.
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