Giustino Ferri nacque il 23 marzo 1856 a Picinisco, piccolo centro montano all’epoca in provincia di Caserta e oggi in provincia di Frosinone, situato al confine sia con l’Abruzzo che con il Molise. La sua cittadina natale gli ha dedicato una via dove oggi è situato il palazzo comunale. Una via a lui intitolata è presente anche a Roma, non lontana da Cinecittà. Studiò al ginnasio e al liceo Tulliano di Arpino, cittadina sempre del frusinate che diede i natali a Cicerone, dal quale infatti prende il nome il ginnasio e liceo del luogo. Già al liceo era attento lettore di «Nuova Antologia».
A Napoli studiò legge, più per non contraddire il padre avvocato che per reale vocazione, e si laureò nel 1878. In verità la sua vera vocazione era per la letteratura e il giornalismo. A Napoli ebbe come insegnanti l’hegeliano Bertrando Spaventa e il kantiano Antonio Tari. Ma l’influenza più grossa sul giovane Giustino Ferri la ebbe senza dubbio De Sanctis, che dell’università partenopea era stato rinnovatore proprio in quegli anni. Ferri fu assiduo frequentatore del Circolo Filologico che De Sanctis aveva fondato nel 1876 finalizzato a diffondere la conoscenza delle letterature straniere. Degli insegnamenti di De Sanctis si giovò moltissimo, in particolare pare che fosse colpito dagli articoli del grande critico su Emile Zola e dalle sue lezioni sul giornalismo.
Nel 1880 si trasferì a Roma, da pochi anni diventata capitale del regno ma ancora estremamente provinciale e arretrata. La sua profonda e vastissima cultura non poteva passare inosservata. Presentato da Giulio Minervini, iniziò praticamente subito la collaborazione con il «Capitan Fracassa», divenendo poi redattore e firmando, con uno dei suoi pseudonimi, Leandro, racconti (Salto Mortale, Mancia competente, Inchiostro azzurro, sono alcuni dei titoli) e articoli di varietà. Lo stesso pseudonimo usò per i suoi primi romanzi, apparsi per la prima volta in appendice appunto al «Capitan Fracassa».
L’indirizzo del giornale era coerente con la formazione e le idee di Ferri e i suoi pezzi, una sorta di anticipazione degli elzeviri novecenteschi, sono strumento per le battaglie tese alla moralizzazione della vita pubblica e in senso antitrasformista e nello stesso tempo sono esempio limpido del suo stile di scrittura raffinato. Sempre in appendice al «Capitan Fracassa» comparve il romanzo La vergine dei sette peccati per firmare il quale usò il fantasioso pseudonimo J. Willis Nevermore, fingendosi autore americano. L’anno successivo questo romanzo uscì in volume corredato da una sua introduzione.
Nel 1881 iniziò a collaborare anche con «Cronaca Bizantina», quindicinale di Angelo Sommaruga che da poco si era trasferito da Milano a Roma e che interpretava un ruolo di editoria più moderna e con caratteristiche professionali più attente; in questa direzione Ferri fu collaboratore fondamentale per il Sommaruga, che nel frattempo aveva dato vita al quotidiano «Nabab» e a una nuova collana libraria. La rubrica ospitata da «Cronaca Bizantina» Paradossi immorali e curata da Ferri fu certamente importante per l’epoca. Per questa rubrica lo pseudonimo fu Nigerrimus. I caratteri salienti della rubrica furono l’opposizione ferma alla morale ipocrita e conformista, e la denuncia incessante del tradimento degli ideali risorgimentali operata da una classe dirigente portatrice di corruzione, malcostume, trasformismo.
Sono i temi presenti anche nella trilogia di romanzi Roma Gialla pubblicati dapprima in appendice, al «Capitan Fracassa» i primi due e al «Caffaro» il terzo, e che lo stesso Sommaruga pubblicò in volume nel 1884 modificando il titolo del primo da Un dramma all’Alhambra a Gli orecchini di Stefania, mantenendo però sempre lo pseudonimo Leandro e non mutando titolo degli altri due, L’ultima notte e Il duca di Fonteschiavi. Questa trilogia è una pungente satira diretta agli scompensi dovuti alla transizione dalla Roma papale verso una città più moderna e alle contraddizioni derivate dall’incontro tra la vita provinciale e i primi passi della scalata culturale della nuova società.
Sempre in «Cronaca Bizantina» fu animatore insieme a Matilde Serao della rubrica Salotti Romani. Poiché fu grande amico di D’Annunzio fin da giovanissimo, intervenne a suo favore quando imperversava la polemica sull’opera dannunziana Il Libro delle Vergini. Non si può non riscontrare un certo clima anticipatore, in certi testi del Ferri, delle tematiche dannunziane ad esempio nel romanzo L’ultima notte. Nel breve periodo della direzione di D’Annunzio di «Cronaca Bizantina», tra la fine del 1885 e i primi mesi del 1886 pubblicò alcuni pezzi con lo pseudonimo Justinus. Anche in questi scritti i suoi pungenti strali erano diretti verso le abitudini vane e dissipatrici dell’aristocrazia romana.
Ebbe un ruolo culturale di grande importanza anche con «Fanfulla» – di questo periodico fu per alcuni anni redattore capo – usando lo pseudonimo Marchese di Carabas, e con «Fanfulla della Domenica» dove pubblicò racconti, novelle e altri articoli fino alla morte; fu altresì collaboratore di «Don Chisciotte della Mancia», «Don Chisciotte di Roma», segnale questo del suo legame con il Vassallo (Gandolin) che di questi periodici era direttore. Sul primo, rispolverando lo pseudonimo Leandro, curò la rubrica Fondi e figure e, in appendice, il romanzo La crisi. Proseguì la collaborazione quando il «Fanfulla» e il «Don Chisciotte di Roma» si fusero per dar vita al «Giorno». Sempre sotto l’egida di Gandolin pubblicò in appendice al «Caffaro» il romanzo Il capolavoro.
Fu altresì collaboratore del «Messaggero» – sul quale fu ospitato in appendice il romanzo Le sette e i milioni con il quale inaugurò lo pseudonimo Maffio Savelli – de «La Tribuna» – che aveva nel frattempo assorbito il «Giorno» –, e «La Lettura». Collaborò al settimanale «Il Parlamentarismo» usando lo pseudonimo Furio Ginestri. Per un breve periodo fu direttore del quotidiano progressista costituzionale «L’Alfiere». Fu poi critico teatrale per la «Rivista d’Italia», per il «Tirso» e, dal 1905 fino alla morte, per «Nuova Antologia». Appunto su «Nuova Antologia» comparve a puntate il romanzo, che lo stesso Ferri definì autobiografico, La camminante, opera accolta con entusiasmo da Pirandello e da Capuana. In una lettera del 2 maggio 1909 ad Alberto Cappelletti, che aveva favorevolmente recensito il romanzo, Ferri scrive:
«Io ho prestato al mio protagonista che non me ne sarà certo grato un mio difetto gravissimo: quello, cioè, di non saper vivere, di non esser capace di adempiere ai doveri sociali, pur comprendendo tutta le reprensibilità della sua condotta, pur affliggendosene profondamente. Ecco: io sono peggiore di Andrea Bartoli, massime se si tratta di scriver lettere e tutto il mio quotidiano rammarico non basta a farmi prendere un foglio di carta da lettere e riparare all’omissione […]. La sincerità della confessione spero mi farà assolvere da Lei che ha mostrato tanta simpatia per il mio libro.»
Stimatissimo nell’ambiente letterario romano, fu tra i fondatori nel 1885 della rivista «Ariel» – della quale uscirono pochi numeri – insieme a Capuana, Pirandello, Mantica e sotto l’egida del cenacolo letterario di Ugo Fleres. Rivista ancor oggi celebre per aver ospitato, il 24 aprile 1898, il famoso saggio pirandelliano Sincerità. Negli ultimi anni insegnò letteratura italiana al Magistero, come supplente di Lugi Pirandello.
Morì a Roma il 13 maggio 1913 in seguito ad un improvviso malore conseguenza forse di lunga debilitazione causata dal diabete. Lui, tanto superstizioso da aggiungere alla sua firma l’iniziale del secondo nome, Lorenzo, quando osservò che “Giustino Ferri” faceva un totale di tredici lettere, morì il 13 maggio del 1913 alle ore 13. Lasciò la moglie Augusta e quattro nipoti ai quali era molto affezionato. E lasciò incompiuto il seguito di La camminante che avrebbe avuto titolo Il re di Roma, il romanzo satirico Flirt-Hôtel e un altro romanzo che avrebbe avuto titolo La Spira.
A lungo dimenticato dall’editoria – a parte la deprecabile riproposizione nel 1943 e 1944 dei romanzi Dea Passio e La camminante e la trilogia di Roma gialla da parte dell’editore Apollon in forma orrendamente manipolata e censurata in direzione moralistica e tale da non “urtare” le ingerenze del cattolicismo in ambito editoriale ed educativo – ben due editori hanno, in occasione del centenario della morte, riproposto La camminante, annunciando la preparazione in apposita collana di tutte le opere di Giustino Ferri. Purtroppo l’iniziativa sembra essersi arenata al primo titolo, nonostante l’indubbio entusiasmo del poeta e critico Gerardo Vacana. Cerchiamo ora, con il progetto Manuzio, di riproporre, se non tutte, almeno le opere delle quali sia possibile reperire i rarissimi originali.
Fonti:
- Gerardo Vacana, Cenni biografici di Giustino Ferri. Venafro, 2013.
- F. Sallusto, Itinerari epistolari del primo 900. Cosenza 2006.
- A. Sommaruga, Cronaca Bizantina. Note e ricordi. Milano. 1941.
- B. Croce, La letteratura della nuova Italia. Saggi Critici vol. VI. Bari 1950.
- A. Briganti, Un intellettuale fra utopia e professione: G.L.F. In Letteratura italiana contemporanea vol. II. Roma 1982.
- G. Vacana, Giustino Ferri, scrittore e giornalista. Alvito 1997.
- G. Vacca, Conformismo e sperimentazione in Giustino Ferri, in Letteratura & società, anno IX n. 3, 2017.
Note biografiche a cura di Paolo Alberti
Elenco opere (click sul titolo per il download gratuito)
- La camminante
Romanzo
Un carrettiere un mattino trova lungo la strada una donna morente, priva di sensi, con i miseri vestiti laceri, e la porta alle Ramogne, la casa dello scrittore Andrea Bartoli quasi cinquantenne, quasi celebre, quasi ricco ... così prende l'avvio la vicenda narrata nell'opera, riconosciuta come il capolavoro di Ferri. - Il capolavoro
Romanzo
All’interno di pennellate descrittive e di una eccellente definizione dei personaggi, l’autore racconta di come l’opera di un artista mediocre travalichi la finzione dell’arte per approdare alla realtà nelle sue manifestazioni fatali, che trascinano alla perdizione ogni idealità e travolgono sogni e illusioni. - Dea Passio
Studio di vita provinciale
Insieme ad altri romanzi di Ferri, questo testo è senza dubbio uno dei tentativi meglio riusciti di rappresentare in veste narrativa quel periodo importante della vita italiana che va dal 1880 fino alla vigilia del primo conflitto mondiale. E costituisce inoltre il primo passo del tentativo del progetto Manuzio di riproporre quanto più possibile ampiamente l’opera di un troppo presto e ingiustamente dimenticato Giustino Ferri. - Il duca di Fonteschiavi
Questo terzo romanzo, che chiude il ciclo Roma Gialla, dopo Gli orecchini di Stefania e L’ultima notte,racchiude in sé un qualcosa di incompiuto che consente di immaginare che l’autore avesse in animo di offrire un ulteriore capitolo di questa “saga”. Il testo, meno vivace dei precedenti, tuttavia risulta di piacevole lettura. - Le fiabe
Il libro contiene le fiabe del secentesco Cunto de li cunti di Basile, nella versione italiana di Giustino Ferri: è un mondo popolato di principi, fate, fanciulle, orchi, da cui presero ispirazione anche Perrault e i fratelli Grimm. - La fine del secolo XX
Storia futura
Giustino Ferri con questo romanzo (1906), in cui l'autore immagina una Roma che, alla fine del XX secolo, ha riconquistato una dignità imperiale con tanto di “Cesare” al vertice, interpreta alla perfezione i criteri tipici della narrativa fantascientifica, ritagliandosi, grazie a questo unico romanzo, un posto tutt’altro che secondario tra i precursori della fantascienza italiana. - Nerone
Scene e costumi di Roma imperiale
Questo romanzo storico di Ferri si inserisce in un filone sviluppatosi a seguito delle ricerche archeologiche fiorite già dalla metà del '700. L'autore si attiene abbastanza fedelmente alle fonti storiche e il ruolo dei personaggi storici è sempre delineato con precisione. - Gli orecchini di Stefania
Questo romanzo è il primo della trilogia Roma gialla che Ferri dedicò all'ambiente corrotto e alla passione per l’intrigo che si svilupparono nella sintesi tra il clericalismo vaticano e il clientelismo fine a se stesso della monarchia, all'indomani dell'Unità d'Italia. - L’ultima notte
In L’ultima notte, secondo capitolo della trilogia di romanzi Roma Gialla, ambientato a Roma negli anni della fine dello Stato pontificio, l’autore riesce ad esprimere la sua genialità con elementi che precorrono i tempi dello svolgimento di una certa storia letteraria.