Romanzo

Il Capolavoro fu pubblicato in volume nel 1901 dopo essere apparso nove anni prima su “Il Caffaro” di Genova in 51 puntate stampate dal 7 marzo al 29 maggio. All’epoca Ferri, oggi quasi totalmente dimenticato, era personaggio apprezzato e stimato nell’ambiente letterario soprattutto della capitale. Questo romanzo non mancò quindi di generare un certo scalpore per la sua originalità e stranezza che non poteva non suscitare interesse – e reazioni diversissime – da parte di critica e pubblico. Come già in altre occasioni Giustino Ferri conferma di saper coniugare un attento e non superficiale studio di sensibilità e ambienti con la stravaganza della sua immaginazione. Studio di ambiente che non si concretizza con dettagliate descrizioni, che sono invece del tutto sporadiche, ma con accenni istantanei, quasi di sfuggita, ma che risultano, nella loro fulmineità, estremamente incisivi.

Paolo conte di Fagnara, con velleità artistiche di pittore, scultore, letterato che hanno difficoltà a concretizzarsi, decide di realizzare il suo “capolavoro” trasformando Fiora, una piccola guardiana di maiali, in una donna meravigliosa e fatale, consapevole delle raffinatezze della lascivia e della corruzione. Sarà un capolavoro di bellezza e contemporaneamente di perfidia. Naturalmente questo “capolavoro” sarà la rovina anche per l’artista che l’ha realizzato: l’uomo che non ha saputo dipingere una tela, modellare una statua, scrivere un romanzo, sarà invece capace di creare il simbolo di un destino che si realizza come conseguenza di impulsi abnormi e ignoti. Il capolavoro travalica quindi la finzione dell’arte per approdare alla realtà nelle sue manifestazioni fatali, invincibili e disperate che trascinano alla perdizione ogni idealità, travolgono e annientano sogni e illusioni.

Certamente possiamo vedere dietro a questo romanzo una filosofia pessimista, ma credo che sia possibile scorgere anche una via d’uscita ironica e sorridente. Ho cercato diverse recensioni dell’epoca – il romanzo fu abbondantemente recensito sui più importanti giornali e periodici letterari – e pur prevalendo una sorta di esecrazione per il «contenuto profondamente immorale» per la «raffinatezza di corruzione» che viene scusata solo perché sostanzialmente non credibile, non “vera”, abbiamo anche reazioni pacate e consapevoli tra le quali ricordo quella di Zina Centa Tartarini (che si firmava Rossana) sul giornale “Cyrano” del quale era direttrice, recensione che conferma, se ce ne fosse bisogno, la grande acutezza e sensibilità di una donna che fu precorritrice di idee e tendenze sociali e letterarie come poche altre e interprete di iniziative al fianco delle lotte operaie e per la situazione nelle carceri femminili.

Io trovo che il romanzo descriva, almeno rapportato all’epoca nella quale fu scritto, sentimenti e personaggi che trovarono riscontro nella realtà. Da Fulvia, cognata del protagonista che cade nel “peccato” forse per uno smarrimento fugace e improvviso e trova modo di espiare quel peccato con una angosciosa autopunizione, a Fiora che giungendo a una perversa freddezza fa da contraltare al decadente e ipocrita cattolicismo del protagonista Paolo di Fagnara.

Tra le varie cose che furono scritte su questo romanzo mi piace riportare quello che ne disse Lucio D’Ambra nel capitolo dedicato a Giustino Ferri del suo Le opere e gli uomini: note, figure, medaglioni e saggi, 1898-1903; D’Ambra, forte del suo sagace spirito d’osservazione, coglie a un tempo la vena ironica e il valore letterario del romanzo di Ferri:

«Questo romanzo mi appare adunque come una satira dell’estetismo ch’era in moda qualche anno fa, satira di quei famosi esteti che cercavano di giustificar le loro turpitudini col B maiuscolo della Bellezza. La storia del traviamento di un uomo che, nell’amore disperato dell’arte e nell’acuto rimorso delle sue colpe, smarrisce il senso morale della vita, può tuttavia sembrare un po’ fuori del nostro tempo, poiché contro tutte quelle costruzioni estetiche si è avuta in questi ultimi anni una reazione salutare di sincerità nell’arte o di verità nella vita. Di questo si è accorto lo stesso autore ed infatti egli scrive nella prefazione(1) queste parole: «Chi non sa che qualcosa di noi se n’è andato col secolo XIX? L’anima, il pensiero, la parola, si vanno trasformando. Nuovi aspetti delle cose, nuovi impulsi intellettuali ed affettivi avran presto costretta l’umanità a inventare altre forme di godere, esercitare, soffrire, integrare o guastar la vita. Che cosa può importare e a chi può importare ora il sacrilego esperimento estetico del conte di Fagnara?» Ma pur domandandosi questo, l’autore ha pensato che al peccato empirico del conte di Fagnara posson ben sopravvivere la femminilità proterva e l’elegante ferocia di Fiora, le quali son cose d’ogni tempo e tali da render sempre moderno il romanzo che le descrive. Del resto, sebbene nei dieci anni che separano la composizione di questo romanzo dalla sua pubblicazione in volume quella manìa estetica sia sempre andata diminuendo, qualche esteta squilibrato v’è ancora. Contro tutta quella folla, che su l’esempio del des Esseintes protagonista dell’A Rebours di Huysmans si diede alle peggiori profanazioni ed ai più immorali riti estetici, si dirige il romanzo di Giustino Ferri. Esso ha dunque, oltre i suoi meriti letterarii, un intento morale. È infatti la condanna di tutte le aberrazioni sentimentali: è un tacito ammonimento d’avviarsi su la via della verità, della semplicità, della giustizia e della bontà.»

Un ultimo accenno, allo scopo di sottolineare ancora una volta le capacità di scrittura dell’autore, a come sono delineati in modo eccellente alcuni personaggi minori che non mancheranno di rimanere indelebili nella memoria di chi leggerà questo romanzo. Tra questi personaggi secondari vanno ricordati almeno il misterioso e ambiguo frate, padre Tommaso da Viterbo, compagno di esercizi spirituali di Paolo di Fagnara, il cui tumulto interiore e il cui tragico passato viene lasciato appena intendere insieme a una probabile volontà repressiva e punitiva delle autorità ecclesiastiche; e il “maestro di eleganze comparate” il professor Paleologo, il quale viene assunto dal conte Paolo per istruire efficacemente Fiora. Costui ha un aspetto e un comportamento che stride in maniera dirompente con la sua mansione: costantemente trasandato e probabilmente non del tutto sobrio, i suoi precedenti sono aver vissuto parassitando un povero e disperato pittore, e successivamente facendo il mendicante in oriente, e il termine del suo lavoro di istruttore coincide con il suo arresto per un vecchio debito con la giustizia. La sua lettera di congedo dalla sua allieva è un gioiello di ironia che non sfigurerebbe accanto a pagine memorabili di Balzac o Anatole France. Il suo congedo dalla narrazione non è comunque definitivo perché ritroviamo il professor Paleologo proprio nell’ultima pagina del romanzo.

Tra un antefatto diabolico – la famiglia Lancinena alla quale appartiene il conte di Fagnara ha un passato di stregonerie e messe nere in base alle quali il protagonista trova una qualche ragione per credersi posseduto dal diavolo – e un finale di rimorso e pentimento tra le mura di un chiostro dal quale Paolo può comunque scorgere il risultato ultimo del suo capolavoro, si snoda una scrittura punteggiata di tratti luminosi che scaturiscono dallo stesso grigiore un po’ macabro del dramma esistenziale al centro della narrazione.

Sinossi a cura di Paolo Alberti


(1) La prefazione fu aggiunta all’edizione in volume ed è quindi di nove anni posteriore al romanzo.

Dall’incipit del libro:

Prima che l’accenditore del gaz, era giunta la notte nell’angusto e tetro vicoletto. Fermi davanti a una porta chiusa, due signori coi cappelli a cilindro luccicanti nell’ombra discorrevano a mezza voce: il discorso in quel buio, consigliere d’intimità, s’era avviato, dal canto di uno degli interlocutori, per la china sdrucciolevole delle mezze confessioni.
— Ti pare strano che io tema di essere indemoniato! La conosci tu la storia dei Lancinena?
— Siete venuti dal Portogallo.
— Sì, a Roma. Ma nel Portogallo eravamo arrivati dalle provincie basche. I signori di Lancinena, scomparvero dal territorio di Bajona e di San Giovanni de Luz, dopo che nel 1609 un Lancinena e una Lancinena furono accusati di stregoneria.
— Stregoneria?

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titolo:
Il capolavoro
sottotitolo:
Romanzo
titolo per ordinamento:
capolavoro (Il)
descrizione breve:
All’interno di pennellate descrittive e di una eccellente definizione dei personaggi, l’autore racconta di come l’opera di un artista mediocre travalichi la finzione dell’arte per approdare alla realtà nelle sue manifestazioni fatali, che trascinano alla perdizione ogni idealità e travolgono sogni e illusioni.
autore:
opera di riferimento:
Il capolavoro : romanzo / di Giustino L. Ferri. - Roma: Società Editrice Nazionale, 1901. - 267 p. ; 18 cm.
licenza:

data pubblicazione:
28 febbraio 2024
opera elenco:
C
descrittore Dewey:
Narrativa italiana (sec. 20.)
soggetto BISAC:
FICTION / Generale
affidabilità:
affidabilità standard
digitalizzazione:
Umberto Galerati, umgaler@alice.it
impaginazione:
Umberto Galerati, umgaler@alice.it
pubblicazione:
Catia Righi, catia_righi@tin.it
Claudia Pantanetti, liberabibliotecapgt@gmail.com
revisione:
Paolo Alberti, paoloalberti@iol.it