Il grande naturalista francese Fabre raccoglie in questo volume una serie di ritratti di animali che svolgono un’opera particolarmente preziosa per l’agricoltore, i suoi “ausiliari”, che rendono più produttivo il suo raccolto, tipicamente distruggendone i predatori dannosi.
Chi sono questi ausiliari, e come fanno ad essere così utili? Fabre ce lo presenta con la voce dello zio Paolo, che illustra ai suoi nipotini le caratteristiche e la vita degli animali. Nipotini che hanno già raccolto da coetanei e perfino da adulti tutta una serie di superstizioni errate, che lo zio si incarica di demolire con il ragionamento e l’osservazione.
Dobbiamo uccidere i pipistrelli perché sono brutti e pericolosi? Assolutamente no, essi invece si nutrono, volando durante la notte, di migliaia di insetti che danneggerebbero le varie colture.
E la talpa? Qui il giudizio si fa più complesso: è pur vero che l’animale è un abile cacciatore di bruchi e larve, da cui preserva l’orto divorandoli in quantità, ma poiché le sue prede si trovano sottoterra, può succedere che danneggi le radici delle piante. Il saggio zio Paolo suggerisce quindi di portare le talpe nell’orto, ma solo in presenza di una infestazione di vermi bianchi, per poi rimuoverle a sterminio completato.
La realtà della vita contadina ci mostra anche le conseguenze di stupide superstizioni, come la civetta inchiodata alla porta di casa da parte di un contadino, convinto che gioisca della morte degli abitanti e la preannunci posandosi sui tetti delle case. L’animale in realtà frequenta tetti e campanili per procurarsi la sua preda preferita, il sorcio, che così sterminato non danneggerà le provviste del contadino.
Negativo è invece il giudizio sull’utilità degli uccelli diurni da preda, come aquila, sparviero e falco. Fabre incoraggia esplicitamente la distruzione dei nidi e l’uccisione dei pulli: è evidente che le complesse relazioni che governano l’ecosistema, di cui oggi siamo consapevoli, non trovano spazio nella sua visione antropocentrica della natura, che deve piegarsi al volere dell’uomo in generale e del contadino in particolare.
In ogni caso si trovano anche in questo libro, tradotto da Enrico Somaré e pubblicato nel 1928 con numerose illustrazioni, le caratteristiche dello stile di Fabre: innanzi tutto la chiarezza delle osservazioni e dei ragionamenti naturalistici, rivolti apparentemente ai nipotini di Paolo, in realtà a tutti i suoi lettori, ragazzi e adulti; e la ripresa di superstizioni e dicerie che vengono puntualmente confutate ripristinando una corretta conoscenza dei comportamenti animali. L’opera resta quindi affascinante e godibile anche per i lettori del XXI secolo interessati a comprendere la natura che ci circonda, nei prati e negli orti, e che restano affascinati dalle specie domestiche, senza bisogno di scomodare ambienti ed animali esotici.
Sinossi a cura di Gabriella Dodero
Dall’incipit del libro:
Una sera di maggio, lo zio Paolo e i suoi nipoti erano seduti sotto il grande sambuco del giardino. Luigi si trovava con loro: Luigi, assiduo compagno di Giulio e di Emilio, dopo la storia dei Devastatori. Durante gli ultimi chiarori del giorno, striduli voli di rondoni turbinavano al di sopra del villaggio, ora precipitandosi verso il campanile per sorvegliare i loro nidi nei buchi dei muri, ora alzandosi ad altezze ove lo sguardo li perdeva. Alcuni pipistrelli svolazzavano, con volo irregolare, attorno alla casa, con un piccolo grido breve, gettato a intervalli. Dal seno delle erbe in fiore si alzava il monotono concerto dei grilli; nel quadrato di lattughe risonava il canto del grillotalpa, simile al rumorìo continuo di un filatoio; un rospo solitario, collocato al fresco sotto una pietra, emetteva di tanto in tanto la sua nota flautata, mentre le ranocchie riempivano i fossati delle praterie vicine dei loro rauchi gracidamenti. Le civette alternavano la loro dolce voce di richiamo dall’uno all’altro salice cavo; la capinera, infine, dava l’addio della sera alla chioccia, già sonnecchiante sulle sue uova.

