Pasquale Fancello nacque a Dorgali, in provincia di Nuoro, il 3 novembre 1891 da Pietro Paolo e Giovanna Mereu; era una famiglia contadina. Imparò il mestiere di muratore e fu presto schedato come “socialista estremista”. Partecipò alla prima guerra mondiale.
Nel 1921, già soprannominato Pascale Crodatzu, emigrò in cerca di lavoro, destino che accomunava numerosi sardi, e fin dalla breve tappa in Liguria si distinse per la partecipazione alle lotte operaie durante il cosiddetto biennio rosso. Come molti operai antifascisti della prima ora fu costretto ad allontanarsi dall’Italia. Risiedette in Belgio lavorando come minatore e si trasferì successivamente in Francia da dove fu espulso nell’aprile del 1923. Sposò Giovanna Gisellu, compagna anche nell’impegno politico, e nel 1924 sembra che fosse in Belgio. Nel dicembre 1926 era a Trivière. Clandestinamente rientrò in Francia e nel 1929 fu condannato a 15 giorni di prigione per aver violato il precedente decreto di espulsione. Nello stesso anno risultava residente a Bray, in Germania nei pressi però del confine con il Belgio. Qui si impegnò nella diffusione del giornale anarchico “Bandiera Nera” fondato e diretto a Bruxelles da Giuseppe Bifolchi.
L’anno seguente respinse, insieme alla moglie, ad Antonio Camotto, Giovanni Cuna e altri compaesani, l’invito del “Comitato pro monumento ai caduti di guerra” di Dorgali a collaborare all’iniziativa, perché l’adesione «significherebbe implicita approvazione alle gesta barbariche che sta compiendo in Italia il rinnegato romagnolo».
Espulso dal Belgio, si stabilì nella città francese di Brest, dove esercitò il mestiere di scalpellino o tagliapietre continuando a dedicarsi alla propaganda anarchica. Fu sospettato di aver progettato un attentato verso la nave italiana Artiglio adibita al recupero di navi affondate, e in conseguenza di questo sospetto venne inserito nel 1934 fra i sovversivi attentatori.
Presente a Tolosa nella primavera del 1935, se ne allontanò nell’aprile 1936, mettendo in allarme l’apparato poliziesco fascista, che ordinò ai prefetti della penisola di «rinnovare rigorosissime misure vigilanza per cattura predetto», qualora valicasse la frontiera.
Nel giugno del 1936 Fancello si schierò decisamente per l’astensionismo elettorale e contro qualunque partecipazione degli anarchici alle elezioni, prendendo le distanze da Camillo Berneri e coloro che difendevano le scelte fatte dalla FAIb (Federación Anarquista Ibérica) CNT in occasione delle votazioni spagnole del 16 febbraio. Sospettato, in agosto, di voler compiere un clamoroso gesto di protesta in Italia, Fancello si recò più volte nella penisola iberica dove rimase in pratica dal 1936 al 1939 durante la Guerra Civile e, unitamente alla numerosa colonia sarda, diede il suo contributo alla lotta antifranchista.
Nell’ottobre 1936 ancora a Tolosa accentuò la polemica con gli stalinisti italiani, i quali, accantonata l’idea della lotta di classe, tentano ora di «impadronirsi del programma» fascista del 1919 e di «non permettere ai più arrabbiati nazionalisti il consumo esclusivo del tricolore, del re e degli Inni patriottici». Con ironica polemica scrisse in una lettera all’“Adunata dei Refrattari”: «“Il Grido del popolo”, organo delle giberne [di Stalin] fa suo il programma fascista ch’è a suo dire un programma di libertà e nel medesimo numero del 20 settembre pubblica una vignetta dove un operaio stringe la destra a un nero camiciato che nasconde il manganello nella sinistra». Su “L’Adunata dei refrattari” di New York denunciò sistematicamente le provocazioni e i crimini, di cui furono protagonisti i moderati e i comunisti stalinisti a Barcellona.
Nel gennaio 1938, dopo aver attaccato Giuseppe Di Vittorio, Romano Cocchi e i comunisti italiani, mise in rilievo la «grave lotta sociale» in corso nella Spagna repubblicana, e la natura controrivoluzionaria del governo Negrín, lo scioglimento del POUM e le iniziative repressive ai danni della FAIb e della CNT. Successivamente, dal 1938 allo scoppio della Guerra mondiale, fece pervenire al periodico anarchico di New York numerosi contributi sull’involuzione nazionalistica delle Internazionali socialista e comunista, sulle responsabilità delle democrazie occidentali colpevoli di aver sacrificato la Spagna sull’altare di una pace fittizia, sul diritto d’asilo, sul suicidio dell’Europa, sull’elezione di Pacelli al pontificato, sulla follia criminale totalitaria, ecc.
Il controllo continuo delle polizie e dell’Ovra italiana gli resero certamente la vita difficile, obbligandolo a fughe con documenti falsi, per cui le notizie sulle sue peregrinazioni successive sono abbastanza incerte. Segnalato a Badalona nel febbraio 1939, a Tolosa in aprile e nel Belgio al principio del 1941, Fancello tornò in Sardegna nel 1943 stabilendosi a Dorgali e proseguendo la sua lotta contro privilegi e ingiustizie. Il 22 novembre del 1943 contribuì all’organizzazione di una manifestazione perché venisse riconosciuto il diritto alla terra per chi la lavora, in particolare venivano rivendicate le terre comunali di Isalle Orroule. Questa agitazione terminò con l’occupazione degli uffici municipali; in questa manifestazione perdette la vita un giovane contadino ucciso da uno sparo di un poliziotto.
Subì quattro o cinque denunce per vilipendio alle istituzioni. Al principio del 1947 insieme a C.G. Zanetti, sostenne lo sciopero dei minatori di Carbonia e delle miniere del Sulcis; venne arrestato, insieme all’anarchico Giuseppe Serra, ai fratelli Montecucco e ad altri militanti libertari. Detenuto per parecchi mesi nel reclusorio di Buoncammino di Cagliari, venne condannato nel 1950 dal Tribunale di Roma a otto mesi di carcere per un articolo su «Umanità nova» nel quale aveva scritto che i dorgalesi avrebbero impedito col sangue agli agrari di impadronirsi delle terre. Il processo che coinvolse 37 lavoratori vide protagonisti anche noti avvocati come Umberto Terracini e Gonario Pinna.
Nel 1950 si trasferì a Roma per rendere più continua e efficace la sua collaborazione con “Umanità Nova” – partecipando anche all’amministrazione dello stesso giornale – e per intensificare la sua attività di conferenziere.
Morì nella capitale il 13 febbraio 1953. È sepolto al cimitero del Verano, Sulla tomba è riportato il seguente epitaffio:
«A Pasquale Fancello che, dalla natia Sardegna, diede alla causa degli oppressi i tesori della sua fede e del suo animo ribelle».
Fonti:
- C. Mele e P. Mele, Pasquale Fancello Crodazzu: contadino, minatore, giornalista, sempre anarchico. Nuoro 2013.
- Biblioteca Franco Serantini
https://www.bfscollezionidigitali.org/entita/13336-fancello-pasquale?i=4 - Anarcopedia
https://www.anarcopedia.org/index.php/Pasquale_Fancello - M. Brigaglia e altri [a cura di], L’antifascismo in Sardegna, Cagliari, 2008.
Note biografiche a cura di Paolo Alberti
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Il breve testo poetico, che non ha indicazione di data ma può essere collocato dopo la prima guerra mondiale e prima dell’avvento del fascismo, è una testimonianza viva delle emozioni e delle passioni del poeta e del militante politico.