Dall’incipit del libro:
Nel primo giorno dell’anno 1859, l’imperatore Napoleone terzo, ricevendo nel palazzo delle Tuileries i componenti del corpo diplomatico, diresse a Hubner, ambasciatore austriaco, alcune parole le quali nel loro proprio e natural significato avrebbero avuto ben picciola importanza, ma che furono interpretate in Europa come un oscuro presagio od indiretta minaccia di guerra: increscemi, egli disse, che le nostre relazioni col vostro governo non siano più così buone come per lo passato: nondimeno io serbo sempre stima per l’imperator d’Austria.
Più degne dell’impressione che produssero furono le parole pronunciate dal re Vittorio Emanuele nell’aprire il Parlamento subalpino: «Noi non siamo sordi al grido che da tante parti d’Italia si leva verso di noi! Forti per la concordia, fidenti nel nostro buon diritto, aspettiamo, prudenti e decisi, i decreti della divina Provvidenza.»
Luigi Napoleone fu troppo lodato in vita, ed è ora troppo vituperato dopo la morte. Il rovescio è avvenuto per Cavour. È cosa nota oggi che Cavour mandò confidenzialmente a Napoleone terzo lo schizzo del discorso preparato pel re Vittorio Emanuele, e che Napoleone, giudicandolo troppo freddo, consigliò l’aggiunta di quel bellissimo e generoso concetto: noi non siam sordi al grido di dolore dell’Italia.




