Poema del 1807 scritto in margine a una discussione riguardante la possibile estensione all’Italia dell’editto di Saint-Cloud sulla tumulazione dei cadaveri senza distinzioni di censo o di fama. Nel carme i contrasti dell’animo foscoliano sembrano superati volontaristicamente in un’accettazione senza riserve di valori chiari e oggettivi e anche il presentimento della morte, ultimo motivo di inquietudine, viene riassorbito nel culto quasi religioso dell’esemplarità dei grandi e nel conforto recato dalla bellezza e dalla gloria. Il carme che celebra il valore della memoria e l’immortalità della poesia.
Dall’incipit del libro:
All’ombra de’ cipressi e dentro l’urne
confortate di pianto è forse il sonno
della morte men duro? Ove piú il Sole
per me alla terra non fecondi questa
bella d’erbe famiglia e d’animali,
e quando vaghe di lusinghe innanzi
a me non danzeran l’ore future,
né da te, dolce amico, udrò piú il verso
e la mesta armonia che lo governa,
né piú nel cor mi parlerà lo spirto
delle vergini Muse e dell’amore,
unico spirto a mia vita raminga,
qual fia ristoro a’ dà perduti un sasso
che distingua le mie dalle infinite
ossa che in terra e in mar semina morte?




