Achille Grandi nacque a Como il 24 agosto 1883. Era il primo di quattro fratelli.
Como era allora la capitale dell’industria tessile, e il piccolo Achille ebbe modo di conoscere fin da bambino la noncuranza dell’organizzazione capitalistica per la precarietà della condizione operaia.
Suo padre, tintore, rimase senza lavoro. Nonostante quindi gli iniziali successi scolastici, Achille Grandi è costretto a soli 11 anni a lasciare la scuola e a cercarsi un lavoro. Lo trova presso la tipografia di Cesare Nani. Questo lo porta a spostare la sua iniziale vocazione sacerdotale, conseguenza quasi ovvia della crescita in ambiente profondamente religioso, verso le condizioni terrene dei lavoratori.
Il Grandi infatti rifiuta gli straordinari per poter avere del tempo libero e studiare e conoscere cose nuove. Lo fa nell’ambito del circolo cattolico e dell’attività sindacale cristiana, entrando a far parte delle prime organizzazioni operaie cattoliche, che erano sorte fin dal 1876, che tentano di mettere in pratica le indicazioni sociali dell’enciclica Rerum Novarum. Questi fermenti sono coagulati in Lombardia attorno al giornale diretto da don Albertario “Osservatore cattolico”, che, come i giornali socialisti e democratici, dovrà sospendere le pubblicazioni dopo la repressione feroce del ’98 dei moti per il pane da parte di Bava Beccaris.
Grandi ha all’epoca 15 anni e sta formando la propria coscienza politica. Legge l’“Ordine”, il giornale dei cattolici comaschi. Nel 1901 partecipa alla costituzione del “fascio democratico cristiano” che si ispira alle idee di Murri. È già protagonista dei fermenti associativi di stampo sindacale, soprattutto, ovviamente, nel settore tessile. Nel 1902 è corrispondente da Como de “La voce delle arti tessili”, organo della Federazione cattolica arti tessili, e a soli vent’anni si trova ad essere uno degli esponenti di maggior spicco, a Como, del movimento sindacale cattolico e diviene segretario della Lega cattolica del lavoro di Como.
La sua formazione lo porta sempre più a privilegiare l’interesse collettivo nei confronti di visioni più egoistiche. Sulla “Voce delle arti tessili”, nel settembre 1903, stigmatizza la tendenza di alcuni strati di lavoratori a essere ostili alle riduzioni di orario di lavoro comportanti una diminuzione di salario, tendenze che gli imprenditori utilizzano per ripristinare antiche usanze.
Nel 1905 fonda, insieme a don Primo Poiano, il giornale cattolico “La vita del popolo”, sotto l’egida del vescovo Andrea Ferrari. Da questa aggregazione iniziale prende vita l’idea già presente nelle gerarchie cattoliche di dare sostegno a una presenza sindacale “bianca” che possa contrastare l’egemonia della CGL e delle federazioni di mestiere socialiste.
Nel 1908 viene fondato il SIT (Sindacato Italiano Tessili), prevalentemente lombardo e con seguito in Veneto. Grandi è protagonista di questa operazione insieme a Luigi Colombo e Noseda.
Nel frattempo deve ricorrere a un periodo di riposo per convalescenza da una malattia contratta in tipografia. Lo trascorrerà in Canton Ticino e dovrà rinunciare al suo mestiere. Questo fatto accelera il consolidarsi della sua nuova occupazione all’interno dell’organizzazione cattolica comasca divenendo segretario diocesano. A 25 anni diventa consigliere provinciale e comunale a Como. Ma presto si incrina il rapporto con il vescovo, quando, in contrasto con l’alleanza clerico-moderata, Grandi sostiene apertamente la candidatura di Angelo Mauri a Tirano.
Tra alti e bassi continua quindi la coerente scelta politica di Grandi, alla testa degli scioperi energici dei tessili in quel periodo, osteggiato dalla posizione conservatrice della gerarchia cattolica nel suo complesso, ma costellata anche di eccezioni (come quella di Roncalli a Bergamo, il futuro Giovanni XXIII) alle quali Grandi si appoggia con decisione. Il Patto “Gentiloni” e il subentro di monsignor Archi a Ferrari porta questo contrasto a posizioni insanabili: Grandi riesce a far prevalere le sue tesi tra i cattolici comaschi e il vescovo interviene d’imperio sciogliendo il comitato diocesiano e licenziando Achille Grandi.
La sua coerenza gli consente però di non rimanere a lungo disoccupato e la Lega del lavoro di Monza gli offre l’incarico di segretario a partire dal 7 gennaio 1914. Anche in questo incarico mantiene la sua posizione di cattolico intransigente e quindi quando scoppia la Settimana rossa la Lega monzese si dichiara estranea alle agitazioni, protestando per le “violenze rosse” che ostacolavano le operazioni di crumiraggio dei lavoratori cattolici. Questo in linea con le posizioni del sindacalismo bianco nazionale, ancora disperso in leghe locali, all’interno del quale Grandi ha ritagliato la sua posizione di dirigente.
La guerra rallenta ovviamente questo processo di aggregazione nazionale, ma proprio in questo periodo Grandi accelera la sua scalata ai vertici della popolarità del sindacalismo cattolico. Nel 1916 diventa presidente del SIT succedendo a Luigi Colombo.
Aveva partecipato alle manifestazioni per la pace, ma una volta dichiarata la guerra era stato sostenitore di una posizione che superasse le divergenze “per il successo delle nostre armi”. La sua esperienza militare dura poco, dall’inizio al novembre 1916 all’89° reggimento fanteria, e non ostacola troppo la sua attività sindacale.
Proprio negli anni di guerra viene presentato a don Sturzo ed è parte non marginale nel progetto di costruzione di un partito dei cattolici italiani al pari di Livio Tovini. Amplia anche la sua attività sindacale capeggiando le leghe contadine di Milano e Como. È infatti tra i firmatari dell’appello lanciato “agli uomini liberi e forti” dai fondatori del PPI. Ed è pure nel gruppo costitutivo della CIL che fissa il suo Programma iniziale il 29 settembre 1918.
I tempi sembrano cambiati e ora i vertici del cattolicesimo italiano, con l’avvento al pontificato di Benedetto XV, contribuiscono all’accelerazione della costituzione del partito cattolico e dell’organizzazione nazionale del sindacalismo bianco.
Al primo congresso del Partito Popolare che si apre a Roma il 14 giugno 1919 Grandi è relatore sul programma sociale. L’11 febbraio era stato promotore della fondazione della sezione di Monza del PPI. Grandi sostiene una posizione di collaborazione ma anche di autonomia tra PPI e CIL. Questa necessità di autonomia del sindacalismo cattolico sia dal partito che dalle organizzazioni ecclesiastiche sarà sempre il principio ispiratore di Grandi. Al termine del congresso Grandi è nominato membro della direzione del partito e diventa deputato nelle elezioni del 16 novembre 1919.
L’influenza del sindacato bianco è in aumento e Grandi si pone su posizioni di dissenso al momento delle occupazioni delle fabbriche. La sua posizione che vorrebbe costituire una costruttiva collaborazione fra gruppi imprenditoriali (“che non vogliono imporsi la minima rinuncia né il più lieve sacrificio”) e classi lavoratrici. Ma il quadro generale dopo il 1920 viene sconvolto dall’ingrossarsi del movimento fascista e poi dall’avvento di Mussolini al governo. Gronchi entra nel primo governo Mussolini e Grandi diviene segretario della CIL ma è oppositore del governo Mussolini fin dall’inizio ed è tra i pochi deputati del PPI che non votano a favore del governo; esprime il suo dissenso e la sua posizione in un articolo, Dittatura o parlamento?, su “Il Cittadino” del 23 novembre 1922 (sei giorni dopo l’ottenimento della fiducia), nel quale individua subito le tendenze dittatoriali di Mussolini.
La violenza squadrista che contribuisce ad accelerare la crescita del movimento sindacale fascista colpisce duramente anche le organizzazioni bianche, tanto che il giornale della CIL “Il domani sociale”, pubblica regolarmente una rubrica “Il nostro martirologio” dove vengono segnalate le violenze subite dagli squadristi. Grandi reagisce ancora in modo tradizionale inviando un memoriale a Mussolini il 12 gennaio 1923, che ottiene una risposta “sui generis” dove si auspica un miglioramento della situazione interna.
Quando la libertà di associazione viene attaccata e sorge la Confederazione delle corporazioni sindacali e Sansanelli, segretario nazionale del partito fascista, dichiara che il sindacalismo popolare non ha più ragione di essere, Grandi invia un nuovo memoriale a Mussolini che cerca nuovamente di rassicurarlo.
Al congresso del PPI del 1923 Grandi attacca duramente la destra del partito. Il 28 marzo del 1923 si incontra con Mussolini, insieme a Noseda, a Milano. Ma i fascisti continuano ad agitare il tema dell’unità sindacale in modo propagandistico e Grandi si fa promotore di un’alleanza federativa pacificata tra gli organismi sindacali che non siano “pura dipendenza dai partiti politici”. E ribadisce che non è pensabile una confluenza con il sindacalismo fascista. Ma il ricordo dei contrasti laceranti è troppo recente e la collaborazione tra sindacati rossi e bianchi naufraga prima ancora di iniziare. D’altra parte anche le posizioni attuali non lavorano certo in quella direzione…
Di fronte all’annullamento da parte del regime di ogni conquista ottenuta dalle organizzazioni operaie, Grandi preferisce ancora una volta rivolgersi direttamente a Mussolini per protestare contro i “tentativi di sopraffazione” e chiedendo garanzie sulla libertà sindacale. Ma la CIL conosce un vero tracollo organizzativo. Dopo il delitto Matteotti, Grandi è tra i 123 deputati aventiniani.
Si adopera per costituire un Comitato interconfederale di difesa sindacale a cui aderiscono CIL CGL UIL oltre al sindacato bancari e il sindacato impiegati. Ma l’esperienza è stroncata rapidamente dalle pressioni fasciste unite a quelle imprenditoriali. Ma anche in questi frangenti Grandi non smette di sottolineare la contrapposizione di principio tra cristianesimo e socialismo.
Le gerarchie cattoliche iniziano a sconfessare la CIL; il 2 ottobre 1925 il patto di palazzo Vidoni sancisce il monopolio sindacale fascista, e il 3 aprile 1926 viene approvata la legge che vieta qualsiasi associazione. La scelta dell’Azione Cattolica di far valere “la rappresentanza dei lavoratori cattolici all’interno del corporazionismo giuridico e riconosciuto” porta Grandi al ritiro, poiché conferma di non poter aderire al sindacalismo fascista.
Nell’agosto 1926 la CIL si scioglie. Inizia un periodo di grande difficoltà. Grandi deve cercare un lavoro ma le gerarchie cattoliche non lo agevolano affatto, anzi… e si adatta a mansioni disparate per la sopravvivenza. Diviene poi direttore commerciale della tipografia di via Monte Rosa (alla dipendenza del Pontificio Istituto di missioni estere). Gira l’Italia per trovare clienti alla tipografia. L’impegno nel sociale è forzatamente molto modesto. Qualche articoletto su una rivistina che Mussolini ha lasciato sopravvivere per qualche tempo (“Problemi del lavoro”); un articolo su “Cronaca Sociale” nel 1930.
Quando Mussolini nel 1934 tenta un recupero di alcuni oppositori, Grandi (al quale era stato offerto un seggio da senatore) pone due condizioni (rientro dei fuoriusciti e libertà di stampa) inaccettabili ovviamente per il regime.
Nel 1935 lascia la tipografia del PIME e continua l’attività tipografica assieme a un vecchio amico tipografo torinese. I frequenti viaggi a Torino lo portano a contatto con Bruno Buozzi.
A partire dal 1938-39 le difficoltà del regime inducono una certa ripresa di attività e Grandi partecipa a ristrette riunioni di cattolici e organizza, sotto la veste di pellegrinaggi, delle vere e proprie riunioni clandestine tra vecchi sindacalisti cattolici e subito dopo si aprono nuovamente spiragli per un’unità più vasta tramite incontri con socialisti riformisti (Buozzi e D’Aragona) e comunisti (Roveda).
All’inizio del 1943 si intensifica l’attività clandestina. Il suo lavoro e la sua intransigenza verso il fascismo induce Badoglio dopo il 25 luglio 1943 ad affidargli, assieme a Buozzi e Roveda, le confederazioni sindacali ex fasciste.
La lunga riflessione che Grandi ha compiuto nel ventennio fascista e la convinzione che il fascismo ha potuto prevalere a causa della divisione dei lavoratori lo induce ad aderire al patto di Roma e alla CGL unitaria, all’interno della quale occupa subito posizioni di prestigio accanto a Di Vittorio, Buozzi, Roveda, Quarello.
L’8 settembre lo trova da poco trasferito a Roma; Grandi è costretto a fuggire trovando rifugio assieme alla moglie Maria, nel convento dei francescani di Bellegra.
Mentre per comunisti e socialisti l’unità sindacale non trova ostacoli all’interno dei rispettivi partiti, Grandi deve affrontare grandi resistenze tra gli esponenti cattolici e le gerarchie ecclesiastiche. In queste contrapposizioni Buozzi esercita il ruolo di mediatore. Le trattative avvengono essenzialmente tra Di Vittorio Buozzi e Gronchi, ma la posizione di Grandi nell’ombra di Gronchi è tutt’altro che secondaria. È lui infatti che preme per la fondazione delle ACLI che vede come strumento per la salvaguardia della specificità cattolica nell’ambito del movimento sindacale. Grandi ne diviene subito presidente. Ottiene l’approvazione di Pio XII che approva l’unità sindacale ritenendo necessario che la componente cattolica svolga un’azione caratterizzante.
Le difficoltà di questa unità sindacale sono grosse e numerose. All’indomani del primo congresso della CGL unitaria Grandi lascia la presidenza delle ACLI. De Gasperi contribuisce a rafforzare la posizione di Pastore che tende a mettere in rilievo un bilancio negativo dei primi mesi di unità sindacale. In questo contesto viene dato impulso alla costituzione di una Federazione dei coltivatori diretti. Grandi perde quindi progressivamente l’appoggio del partito all’interno del sindacato. Situazione che si accentuerà in seguito alla posizione della CGL riguardo alla mezzadria.
Il suo impegno è minato dalle condizioni di salute che vanno peggiorando. Segue l’attività dalla sua cameretta dell’ospedale Fatebenefratelli, ricevendo collaboratori e scrivendo articoli. La morte di Buozzi accentua il suo progressivo isolamento nel fronteggiare la spinta antiunitaria che va crescendo tra i cattolici. A settembre 1945 esce dall’ospedale ma solo per un mese. È costretto a un nuovo ricovero per altri quattro mesi. La sua posizione rimane sempre più isolata e Grandi perde definitivamente l’appoggio di De Gasperi.
Il 2 febbraio 1946 all’uscita dall’ospedale si trova di fronte al compito di ridare fiducia al sindacalismo cristiano e a riattivare la presenza cattolica organizzata all’interno del sindacato. Fonda, con un finanziamento di due milioni di Luciano Vignati, partigiano cattolico, il settimanale “Politica Sociale”, organizza tra il 9 e l’11 marzo un convegno per rilanciare l’autonomia del sindacalismo cattolico sia dal partito che dalle ACLI. “Stretto collegamento” non significa “subordinazione” e questa sua posizione irrita i dirigenti aclisti. Il convegno conferma il grande prestigio personale che Grandi tuttora conserva.
Questa nuova fase è poi caratterizzata dall’impegno di Grandi nella battaglia per il referendum costituzionale dove Grandi prende con decisione la posizione repubblicana.
È capolista a Milano per l’elezione dei deputati della costituente. De Gasperi lo vorrebbe ministro del lavoro nel governo che prende forma a luglio del 1946, ma Grandi deve declinare per ragioni di salute. Tuttavia è vicepresidente dell’assemblea costituente. Forse Grandi vede la nomina a ministro come ostacolo per la sua non interrotta battaglia per la salvaguardia dell’unità sindacale. Posizione sulla quale resta fermo anche di fronte ai contrasti di metà luglio sulla politica salariale, che fa salire la tensione tra democristiani e social-comunisti con particolare asprezza. Aumenti salariali da una parte e controllo dei prezzi dall’altra (Grandi) sono gli epicentri del dissenso.
A fine luglio Grandi torna a Milano sempre più minato nella salute. Non rinuncia alla sua battaglia ma le energie sono agli sgoccioli; non è rassegnato e promuove ancora riunioni a Desio e Monza. Le pressioni perché i cattolici escano dalla CGL sono sempre più forti. Grandi afferma: “…non credo che nel nostro paese si possa far risorgere un’organizzazione sindacale cristiana, bianca, tanto per classificarla con i vecchi termini”.
Il 20 settembre 1946 nuore nella sua modesta casa di Desio.
Fonti:
- A. Fappani: Vita e opere di Achille Grandi, Modena 1960.
- G. Pastore: Achille Grandi e il movimento sindacale italiano nel primo dopoguerra, Roma, 1967.
- W. Tobagi: Grandi e l’unità sindacale, Roma 1976.
Note biografiche a cura di Paolo Alberti
Elenco opere (click sul titolo per il download gratuito)
- I cattolici e l’unità sindacale
Scritti e discorsi, 1944-1946
Il testo raccoglie scritti e discorsi nel periodo dell’unità sindacale che va dal 1944 al 1946. Grandi sostenne l'idea dell’unità sindacale che naufragò poi poco tempo dopo la sua morte con la nascita dapprima di Libera CGL (settembre 1948) e poi della CISL (aprile 1950).