Dall’incipit del libro:
Colei che ha gli occhi aperti ad ogni luce
e comprende ogni grazia di parola
vive di tutto ciò che la seduce.
Io vado attenta, perchè vado sola,
e il mio sogno che sa goder di tutto,
se sono un poco triste mi consola.
Da un articolo di Guido Gozzano del 1909 per il volume Le seduzioni di Amalia Guglielminetti:
L’Italia ha una nuova grande poetessa.
L’adolescente che anni or sono esordiva con un volume tenue: «Voci di giovinezza», e che or sono due anni rivelava l’artista perfetta con «Le Vergini folli», Amalia Guglielminetti s’impone oggi all’ammirazione degli intenditori con un poema «Le Seduzioni» che è quanto di meglio abbia prodotto da vari secoli a questa parte la lirica femminile italiana. Per trovare sorelle d’arte Amalia Guglielminetti deve risalire al Rinascimento, alle rimatrici eleganti di quei giorni felici.
Ella ha ciò che pochi uomini hanno e nessuna donna (o quasi) possiede: il buon gusto, il vero buon gusto che la conduce sicura alle più elette eleganze salvandola ad un tempo da orpelli dannunziani e da leziosaggini pascoliane.
Il critico, avvezzo ormai alle delusioni continue del suo mestiere, apre con mano svogliata il volume recente, ma subito resta perplesso, legge, rilegge, sfoglia, freme commosso trascinato dalla bellezza pura di queste liriche che fanno la Guglielminetti sola ed eccellente nel tempo nostro.
Attraverso queste «Seduzioni», terzine e sonetti trattati spesso alla perfezione, tutta un’anima si rivela, audacissima anima di pagana e di sensoriale che si confessa e quasi gode delle sue confessioni. Tutto ciò che può far buona la vita ad una donna giovane e bella, viene esaltato in queste pagine armoniose. La giovinezza, la primavera, il desiderio, la menzogna, l’avidità di vivere, l’amore, tutto è cantato dall’autrice; tutto tenta la sua anima voluttuaria: i gioielli ed i frutti, la sete e una bella bocca virile, i profumi e i romanzi, i vagabondaggi e i poemi…
L’audacia è frequente nel volume, ma castigata e resa conveniente dalla signorilità altera della cantatrice. Cosicchè, se pur talvolta la nostra malizia incoraggiata abbozza, ad un verso, un sorriso di complicità maschile, subito la dignitosa alterigia della donna superiore ci riconduce alla serietà, ci costringe all’ammirazione e all’ossequio. Ecco un volume che si presta all’entusiasmo improvviso e che si presta pochissimo – oimè – alla citazione ed allo scorcio. La bellezza organica dell’insieme, l’armonia ciclica delle varie parti mal consentono il sunto schematico e la scelta dei luoghi. Tutto vi è bello, o quasi, tanto che G. A. Borgese, critico ben degno di dare di un’opera un giudizio definitivo e di essere ascoltato con rispetto, ebbe la temerità di proclamare in un massimo quotidiano d’Italia:
«Costei è un’artista di tale strepitosa forza che bisogna lasciarla sola».

