Questo “best seller” del diciannovesimo secolo fu il primo romanzo di Anna Katherine Green, la quale detiene nel genere giallo-poliziesco certamente dei primati importanti. Prima donna, nel 1878, a scrivere un romanzo giallo dopo Gaboriau, Collins, e, naturalmente, Edgar Allan Poe, ma precedendo di quasi 10 anni l’arrivo sulla scena della letteratura di genere di Sherlock Holmes. Questo primato le è temporalmente insidiato da Metta Victoria Fuller Victor, che pubblicò The Dead Letter nel 1867 con lo pseudonimo di Seeley Regester, e da un racconto pubblicato nel gennaio 1866 sull’“Australian Journal”, The Dead Witness, apparso sotto lo pseudonimo di “W. W.”, che nascondeva l’identità e il sesso di una giovane scrittrice di origine irlandese di nome Mary Fortune.
Ma sono entrambe surclassate da Anne Green per un livello letterario e una capacità di intreccio di ben altro spessore. E non le può in nessun caso essere negato di essere l’ideatrice del termine “detective story” che appare come sottotitolo a The Leavenworth Case, tradotto in italiano con Il mistero delle due cugine. Fino a quel momento il termine “detective” era usato esclusivamente come aggettivo di “police” per indicare il corpo di agenti investigativi che nel 1843-44 era stato creato da Sir James Graham. Lo stesso Dickens per presentare il personaggio dell’Ispettore Bucket nel suo romanzo Bleak House usa il termine “detective” per identificare un agente investigativo o un investigatore privato.
Sempre ad Anna Green va ricondotto poi il primato temporale di avere introdotto la figura di un’investigatrice nella storia letteraria. Oggi non è più una novità, il genere giallo ci ha proposto brillanti e letterariamente notevoli investigatrici, dalla professionale Petra Delicado all’amatoriale Erika Falck (senza dimenticare fra quelle “storiche” Miss Murple o Penelope Poirot), ma quando venne introdotta Violet Strange, con la raccolta di racconti del 1915 Golden Slipper and Other Problems for Violet Strange, l’idea di un’investigatrice era davvero completamente originale. Da segnalare che i racconti che hanno per protagonista questa simpatica ed esuberante ragazza la quale, del tutto in incognito, collabora con un’agenzia investigativa, hanno conosciuto negli ultimi tempi belle traduzioni italiane (Non è un mestiere per uomini e Demoni del focolare).
La vena innovatrice e di grande originalità, unita alla cura del particolare giuridico-investigativo emerge già in questo primo romanzo dove viene introdotto il personaggio di Ebenezer Gryce, che non avrà forse i metodi aristocratici di un Philo Vance ma è certamente più raffinato dei suoi predecessori. Ed è anche perfettamente ambientato nell’atmosfera vittoriana che Anna Green interpreta con un modo di scrivere ricercato. Per inciso, la traduzione italiana che presentiamo in questo e-book di Aldo Sorani, del 1929 riesce a rispecchiare perfettamente lo stile dell’autrice.
L’evento criminoso è l’assassinio di un ricchissimo nobile e la storia inizia chiamando in causa il personaggio-narratore, avvocato Raymond, che si reca subito sulla scena del crimine, e consentendo a chi legge di trovarsi coinvolto in un processo-inchiesta istituito dal coroner sulla scena del crimine come era consuetudine alla fine del XIX secolo. La vittima ha due nipoti, tra loro cugine, adottate fin da bambine, per le quali ha disposto un testamento che appare ingiustificabilmente squilibrato. Abilissima l’autrice anche nell’utilizzare l’introduzione all’ultimo minuto dell’espediente narrativo che consente di leggere una sorta di seconda storia sottostante a quella che si poteva pensare di aver letto fino a quel punto.
Ebenezer Gryce si stacca dallo stereotipo dell’investigatore, interpretato alla perfezione dal Sergente Cuff di The Moonstone, e Anna Green lo mette subito in rilievo fin dal primo capitolo:
«Qui permettetemi di dire che il signor Gryce, il detective, non era l’esile e impassibile individuo dall’occhio acuto che sembra penetrare nel profondo del vostro essere e carpirne il segreto, come voi senza dubbio v’attendereste che fosse. Il signor Gryce era invece un personaggio corpulento, dotato d’un occhio che non solo non vi scrutava, ma neppur si posava mai su di voi. Se il suo sguardo si posava era sempre sopra un qualche cosa d’insignificante vicino a voi, un vaso, un calamaio, un libro o un bottone. Questi oggetti sembrava ammetterli alla sua confidenza, farli depositari delle sue conclusioni, ma voi, voi rappresentavate una nullità assoluta, non avevate niente da spartire con lui o coi suoi pensieri.»
E sul finire della vicenda Ebenezer Gryce propone addirittura una sorta di “manifesto” dell’investigazione che ricorderebbe in maniera sorprendente Holmes, ma è scritto dieci anni prima:
«Ora vi è un principio di cui ogni investigatore riconosce la fondatezza ed è che, se di cento circostanze importanti novantanove additano con certezza il reo, e una, altrettanto importante, lo scagiona, tutto l’edificio dei sospetti va all’aria.»
Poco prima lo stesso Gryce aveva affermato:
«Non bisogna andar a cercare le prove solo là dove vi aspettate di trovarle, bisogna andarle a cercare anche là dove non credete di poterle trovare.»
L’autrice ambienta gran parte del romanzo in una sorta di versione newyorkese di una casa di campagna inglese, piena di maggiordomi, cameriere, con cuoco ed amanuense e, naturalmente, l’eccentrico e solitario milionario e le sue bellissime nipoti orfane. Interessante anche che Green si sia dimostrata attenta alle dinamiche di classe della sua epoca. L’esempio che non può non balzare agli occhi è la presenza consistente di personaggi irlandesi. Si dice che nel 1890 ci fossero più irlandesi a New York che a Dublino, questo in seguito alla grande carestia dovuta principalmente alla peronospora delle patate che aveva gravemente colpito l’Irlanda nei lustri precedenti. Il segretario-amanuense, perfetto rappresentante della middle-class, è l’emblema invece della separazione classista e si muove in perfetta sintonia con questa netta distinzione. Lo stesso Ebenezer Gryce, quando persuade Raymond a “spiare” dice per scusarsi di non poterlo fare direttamente lui stesso:
«[…] avete un’idea delle difficoltà che un investigatore deve affrontare per compiere il suo lavoro? Per esempio, voi immaginate che io possa insinuarmi in ogni sorta di società, ma siete in errore. Per quanto strano questo possa apparire, io non ho mai avuto successo almeno presso una certa casta di persone. Non posso mai passare per un gentleman; i sarti e i parrucchieri non bastano a nascondere il detective… Voi, invece, non sentite certe difficoltà. Siete nato gentleman e scommetto che sapete anche invitare a ballare una signora senza arrossire […]»
Se vogliamo trovare un limite in questo, possiamo dire che Anna Green descrive i suoi personaggi in termini di implicazioni del loro status sociale piuttosto che con una caratterizzazione fisica e caratteriale effettiva. Si diverte anche con gli stereotipi stabilmente legati al “genere”. «Le donne sono un mistero» afferma uno dei collaboratori di Gryce.
Tra gli intellettuali italiani, sempre un poco “snob” nei riguardi del genere “poliziesco” o “giallo” piace ricordare l’interesse che manifestò invece Antonio Gramsci in Letteratura e vita nazionale.
«L’attività «giudiziaria» ha sempre interessato e continua a interessare: l’atteggiamento del sentimento pubblico verso l’apparato della giustizia (sempre screditato e quindi fortuna del poliziotto privato o dilettante) e verso il delinquente è mutato spesso o almeno si è colorito in vario modo.»
Gramsci stesso poco dopo sottolinea la competenza di Aldo Sorani, traduttore di questo romanzo che ora presentiamo in edizione elettronica:
«Il Sorani schizza un quadro della inaudita fortuna del romanzo poliziesco in tutti gli ordini della società e cerca di identificarne l’origine psicologica: sarebbe una manifestazione di rivolta contro la meccanicità e la standardizzazione della vita moderna, un modo di evadere dal tritume quotidiano.»
Gramsci si riferisce all’articolo di Sorani pubblicato su “Pegaso” nell’agosto del 1930 Conan Doyle e la fortuna del romanzo poliziesco che aggiungeremo presto a questa biblioteca Manuzio.
Sinossi a cura di Paolo Alberti
Dall’incipit del libro:
Da circa un anno appartenevo, come socio più giovane, allo studio legale di Veeley, Carr e Raymond, quando una mattina, durante l’assenza tanto del signor Veeley quanto del signor Carr, si presentò nel nostro ufficio un giovane la cui apparenza rivelava tanta premura e tanta agitazione, che io involontariamente balzai in piedi e gli andai incontro.
— Che cosa è avvenuto? – domandai. – Non avrete mica cattive notizie da darmi, spero…
— Sono venuto a cercare il signor Veeley, è in studio?
— No – risposi. – È stato chiamato all’improvviso questa mattina a Washington e non sarà di ritorno prima di domani. Ma se volete dire a me di che cosa si tratta…

